Prima la libertà: i limiti di uno stato d'eccezione
La storia ha dimostrato che le tirannie sono sorte sulla passività degli oppressi. Più dura e si radica lo stato di eccezione più pervasivi saranno i segni che lascerà nella civiltà. Fino al rischio di far passare l’idea che l’eccezione possa costituire un normale paradigma di governo. Così nascono le dittature.
Più leggo le acute riflessioni del filosofo Giorgio Agamben, più mi convinco che ha ragione.
La storia ha dimostrato che le tirannie sono sorte e hanno prosperato non tanto, o soltanto, sul terrore e la violenza, quanto sulla passività degli oppressi. Ecco perché risulta sconcertante l’atteggiamento remissivo degli italiani difronte alla sospensione a tempo indeterminato della loro libertà e delle loro garanzie costituzionali. Non è mai accaduto niente di simile in tutta le storia del nostro Paese, nemmeno nei periodi più cupi come quello della Seconda Guerra Mondiale o del regime fascista.
In maniera subdolamente progressiva, l’Italia è pericolosamente entrata in una terra di nessuno fra l’ordine giuridico e il fatto politico, fra la legge e la sua sospensione. È quello che il grande giurista tedesco Carl Schmitt definì Ausnahmezustand, ovvero “stato d’eccezione”. E che – tanto per intenderci – Hitler utilizzò per instaurare la sua dittatura.
In Italia sono ufficialmente sospese le garanzie costituzionali a tempo indeterminato. Sine die, come dicono i giuristi. Ne è prova il fatto che gli esponenti dell’attuale governo, a cominciare dal presidente del consiglio dei ministri, non perdono occasione per ricordare ai cittadini che è il coronavirus non solo non è stato debellato, ma continua pericolosamente a minacciare la salute pubblica. Già si parla di terza ondata, senza che si possa a priori escludere una quarta ondata in autunno, una quinta nella primavera del 2021, e via dicendo.
In tutta questa surreale situazione il dato agghiacciante è che ci sono fior di giuristi autonominatisi avvocati d’ufficio del governo, che difendono a spada tratta l’Ausnahmezustand dichiarato e imposto dall’attuale esecutivo, e la conseguente sospensione dello Stato di diritto.
Il pretesto per questa inedita quanto pericolosa operazione sarebbe dovuto al fatto che stiamo attraversando un’emergenza sanitaria. Ma, a ben vedere, l’obiezione non regge. In passato si sono registrate epidemie ben più gravi del Covid-19 – si pensi ad esempio alla “Spagnola” nel 1918 o alla “Asiatica” del 1957 – ma mai nessuno si è sognato di far piombare l’Italia in uno “stato d’eccezione” impedendo addirittura il diritto alla libertà di circolazione, di riunione, di culto, di impresa.
I giuristi filo-governativi si arroccano dietro la giustificazione che l’eccezionalità delle misure adottate sia legata ad una situazione temporanea di emergenza, passata la quale tutto tornerà come prima. Tale assunto non convince per almeno cinque motivi.
Primo, come già è stato rilevato, nessuno è in grado di garantire la transitorietà dell’emergenza, e considerando che l’Ausnahmezustand potrebbe prolungarsi per anni – se non addirittura decenni – è semplicemente assurdo non porsi il problema di un limite temporale alla sospensione delle garanzie costituzionali.
Secondo, lo stato di eccezione non prevede alcuna istanza superiore che abbia il potere di verificare la realtà o la gravità delle cause che hanno concorso a farlo dichiarare, tanto più se tali cause si fondano su un’emergenza sanitaria intorno alla quale la stessa comunità scientifica ha pareri e visioni discordanti.
Terzo, è sempre assai pericoloso far passare l’idea che in nome della cosiddetta “biosicurezza” si possano sospendere diritti, libertà e garanzie costituzionali, perché così facendo si consolida anche nell’opinione pubblica l’idea del primato di quello che i politologi americani definiscono “Security State”, ossia cioè uno stato in cui per ragioni di “sicurezza” – come ad esempio un’emergenza sanitaria – si può imporre qualsiasi limite alle libertà individuali.
Rischia così di passare il concetto che la vita valga più della libertà. E ciò può pericolosamente aprire a derive totalitarie. Facciamo un esempio. Se si stabilisse il principio che la salute fisica debba prevalere sulle garanzie costituzionali nel caso della diffusione di una malattia infettiva, quale autorità avrebbe il potere di decidere il tipo di patologia e i relativi criteri? Se, per esempio, un criterio fosse quello del numero dei deceduti, si potrebbe obiettare che la normale influenza di stagione causa ogni anno 650.000 morti.
Chi potrebbe impedire all’autorità pubblica, una volta consolidato il principio, di decidere che quel numero di decessi è eccessivo e quindi di considerare anche l’influenza stagionale una patologia in grado di legittimare la sospensione delle garanzie costituzionali? Non si può far passare il concetto che la libertà sia un bene sacrificabile rispetto alla vita. Quantomeno per rispetto di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà, e delle migliaia di martiri cristiani che hanno consapevolmente accettato la propria morte fisica pur di non rinnegare la fede, sacrificando la vita terrena in vista di quella eterna.
Quinto, non pochi dubbi sorgono circa la reversibilità allo status quo ante. Rischia, anche qui, di essere un’ingenua illusione pensare che, superata la fase emergenziale, tutto possa tornare come prima. La pandemia del Covid-19 – i cui effetti sono stati paragonati a quelli di una guerra – è impossibile che passi senza lasciare tracce, soprattutto dal punto di vista socio-culturale. Basta considerare, per esempio, il martellante ammonimento di chi oggi detiene il potere a livello nazionale e sovranazionale, circa la necessità di continuare ad osservare – anche ad emergenza superata – le direttive sul cosiddetto “distanziamento sociale”, che non a caso è stato definito come un «nuovo principio di organizzazione della società».
Per non parlare degli effetti irreversibili sullo smart-working, ovvero il telelavoro, sulla didattica a distanza, sul commercio online, e via dicendo. Più dura e si radica l’Ausnahmezustand più profondi e pervasivi saranno i segni che lascerà nella nostra civiltà. Fino al rischio di far passare nell’immaginario collettivo l’idea che l’eccezione possa davvero costituire un normale, più efficace e più moderno paradigma di governo. Così nascono le dittature.