Prima infame e poi santo: l'Innominato
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Il personaggio dell'Innominato, nei Promessi Sposi, è stato inventato da Manzoni? Potrebbe essersi ispirato alla figura leggendaria francese di "Roberto il Diavolo". Ma Manzoni afferma di aver raccontato un personaggio reale, vissuto a cavallo fra '500 e '600: Bernardino Visconti. Che era un suo lontano parente.
Quando Manzoni era un ragazzino, circolava una storia popolare francese relativa a Roberto il Diavolo. Ritiratosi in una rocca protetta in modo naturale con un gruppo di uomini, i più scellerati di quelle terre con i quali compie misfatti e sopraffazioni, Roberto si converte, dopo aver ucciso degli eremiti, uno dei quali gli si rivolge con queste parole proprio prima di morire: «Io muoio innocente e senza alcun turbamento. Possa Iddio perdonarti come ti perdono io».
Ritornato alla masnada dei suoi collaboratori, Roberto viene accolto con ossequio e venerazione, come un capo. Parla loro mostrando la condizione deplorevole in cui sono caduti, indicando la via della virtù ed assicurandoli che li proteggerà dalla pubblica vendetta. Roberto diviene guerriero della Chiesa, pronto a sbaragliare eserciti di Saraceni. È probabile che il romanziere conservasse in particolar modo la memoria della redazione del 1787, quando aveva solo dodici anni, e se ne avvalga quando racconta la vicenda dell’Innominato. Ne è convinto il letterato francese Littré, amico del Fauriel, che ne parla nella sua Historire lettéraire de la France (1852).
Certamente la lettura della storia popolare, pur sottolineando le somiglianze con la vicenda dell’Innominato, ne evidenzia anche le differenze: non solo nell’intreccio, ma anche nei toni, che spesso nella storia francese sono di tipo fiabesco. Manzoni creò un personaggio ben più vivo, concreto, reale, una figura che, pur se frutto dell’ingegno artistico, attinge la sua fonte ispiratrice da un uomo realmente esistito.
«L’Innominato è certamente Bernardino Visconti. […] Ho trasportato il suo castello nella Valsassina. La Duchessa Visconti si lamenta che le ho messo in casa un gran birbante, ma poi un gran santo». Così scrisse Manzoni a Cesare Cantù probabilmente nel 1832, quando questi stava lavorando al saggio Sulla storia lombarda del secolo XVII; ragionamenti per commento ai Promessi sposi. La duchessa Visconti è Maria di Kevenhüller, figlia del conte Emanuele, moglie di Carlo Visconti di Modrone.
L’Innominato è, quindi, un personaggio realmente esistito. Conferma l’affermazione la marchesa Margherita Provana Di Collegno, che conosceva bene Manzoni e che annotò sul suo diario: «Sentii da Manzoni che l’Innominato è un Visconti, ed è personaggio verissimo». L’identificazione più attendibile dell’Innominato è, quindi, con Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Gera d’Adda. Manzoni, discendente di Bernardino da parte di madre, è, quindi, parente dell’Innominato.
Per documentarsi sul personaggio, Manzoni lesse le Historiae patriae decades in latino dello storico seicentesco Giuseppe Ripamonti e la Vita di Federico Borromeo del canonico Francesco Rivola. Le fonti sono, come in altri casi nel romanzo, esplicitate direttamente dall’autore nel capitolo XIX quando racconta che per ottenere Lucia don Rodrigo «s’era risoluto di cercare il soccorso d’un terribile uomo. Di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d’un libro (libri stampati, dico) di quel tempo. Che il personaggio sia quel medesimo, l’identità de’ fatti non lascia luogo a dubitarne; ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore. Francesco Rivola, nella vita del cardinal Federigo Borromeo, dovendo parlar di quell’uomo, lo chiama "un signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile per nascita" e fermi lì. Giuseppe Ripamonti, che, nel quinto libro della quinta decade della sua Storia Patria, ne fa più distesa menzione, lo nomina uno, costui, colui, quest’uomo, quel personaggio».
Nato nel 1579 in provincia di Bergamo, a soli diciassette anni Bernardino Visconti avviò la sua attività criminale insieme con un gruppo di facinorosi, tutti subordinati ai suoi ordini: Pompeo, Camillino di Salomone di Parma, G. B. Boldono, Cesare Zavattino, Domenico Rozzono detto il Pelato proveniente da Treviglio, G. B. Nicoletto di Caravaggio e Casale da Bagnolo di Cremona. Già nel 1603 il governatore di Milano Fuentes emise una grida contro di lui e la masnada che si accompagnava con lui. Fuggito nel cantone dei Grigioni, ritornò più tardi in Italia stabilendosi nel castello di Chiuso. Nel 1615 si convertì durante la visita pastorale di Federigo Borromeo nel lecchese. Scrive Ripamonti: «costui [Bernardino Visconti] volle presentarsi al cardinale, una volta che si trovava in visita pastorale non lontano dalla sua terribile dimora: egli fu trattenuto in colloquio due buone ore; che cosa abbiano detto in verità non lo sappiamo, perché né alcuno di noi osò domandarne al cardinale, né egli aprì bocca: certo però successe in lui tale improvviso cambiamento d’animo, di vita e di costumi che quel fatto nuovo, grande e mirabile s’attribuì con certezza all’efficacia di quel colloquio, ed opera del cardinale lo riteneva tutta quella masnada di banditi».
Ripamonti riferisce di aver conosciuto Bernardino Visconti ormai vecchio, privo ormai della «fierezza primitiva», che portava però «quei segni che la natura conserva in noi a testimonianza dei nostri vizi». Il suo aspetto era ormai mansueto e la sua natura era vinta e domata.
L’altra fonte riportata da Manzoni, il Rivola, racconta invece che fu il cardinale a recarsi in visita dal Visconti: «Giunto in quelle parti Federico, la sua diocesi visitando, volle con esso abboccarsi per vedere pure di distorlo dalla mala vita e di ridurlo a porto di salute, e tanto disse rappresentandogli con pastorale zelo il suo stato miserabile, e il pericolo della estrema dannazione, che lo dispose all’ammenda e fece sì che da quel giorno innanzi, con meraviglia di quanti erano dei suoi depravati costumi molto bene informati, deposta ogni presuntuosa alterigia e ferocia, tutto mite piacevole ed ossequioso verso di tutti dimostrossi; né fu mai più alcuno che d’un minimo suo eccesso potesse ragionevolmente lagnarsi».
Bernardino Visconti morì nel 1647 lasciando tutta la sua eredità all’oratorio di Santa Maria delle Grazie a Bagnolo Cremasco.