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VOCAZIONE

Preti, i medici della vita al fianco dei sofferenti

Al mondo i preti hanno sempre fatto di tutto, condividendo il destino della gente. Guerra e pace, prosperità e miseria, festa e lutto e anche in questi giorni di alluvione. «Liberi dalle cose e da sé stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità» dice Papa Francesco.

Editoriali 17_11_2014
Mons. D'Ercole dopo il terremoto de L'Aquila

Nei giorni critici del mese di novembre nei quali veniamo preservati (per quanto ancora?) dall’acqua alta che solitamente da noi invade strade e piazza, sentiamo e vediamo storie di città e paesi colpiti da alluvioni e frane. Famiglie sfollate, negozianti avviliti, folle di spalatori di fango.

Chissà i preti, mi domando: dove sono, cosa fanno, cosa dicono. Al mondo i preti hanno sempre fatto di tutto, condividendo il destino della gente. Guerra e pace, prosperità e miseria, festa e lutto, conflitti e riconciliazione. Il prete di campagna – e in altro modo il prete di città – è stato tutto e ha fatto di tutto per il suo popolo. Non c’è nulla a cui il prete possa sottrarsi: l’immagine di Gesù appassionato per il suo popolo gli attraversa il cuore. Preti nelle chiese, preti nelle case, preti in piazza, preti nei locali pubblici: ascoltano, parlano, consolano, sostengono, invitano, perdonano, anche protestano. A loro appartiene l’altimetria dei sentimenti della gente e la planimetria delle situazioni che accadono. Un prete non può sottrarsi al dolore e al lutto delle persone, non può non condividere il dramma di una calamità o la gioia di una speranza; l’attesa di una novità o una preghiera di condivisione. Non solo per la parte ‘spirituale’ della vita. Anche nei lavori materiali il prete si butta, magari da incompetente o da manovale, e non solo come ‘direttore dei lavori’. È un’immagine passata? Adesso il prete è più raffinato e più distaccato? Il mondo è individualista, le persone non lo cercano più e sembrano non averne più bisogno? La sua figura è soppiantata da specialisti, dai psicologi prontamente chiamati a sostenere le persone ferite? Eppure c’è una sanità della vita, c’è una giustizia delle opere e una saldezza del cuore, che non possono essere procurate dagli apparati e dagli impiegati degli uffici ingolfati in pratiche burocratiche che non fanno guardare in faccia le persone.

Mentre fuori piove a dirotto, questi intrigati pensieri vengono sorpresi dal messaggio di Papa Francesco ai vescovi italiani riuniti ad Assisi, dove parla dei preti: «Quanti ne abbiamo conosciuti! Quanti con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione!... Nella memoria riconoscente ciascuno di noi ne conserva i nomi e i volti. Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che “separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande” (L. Tolstoj). Liberi dalle cose e da sé stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità; e che la gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta….»