Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
IL CASO LICEO MONTALE

Preside riabilitata, ora serve chiarezza sul giornalismo

Al Liceo Montale «non c’è stata nessuna violazione del codice disciplinare» e la preside dell’istituto potrà restare al suo posto. Ora Sabrina Quaresima affiderà alle querele ogni valutazione sul gioco al massacro di cui è stata vittima.  Ma i consigli di disciplina dei giornalisti devono fare chiarezza sull'immotivato clamore mediatico scatenato.

Attualità 22_04_2022

La vicenda è ormai nota. Sabrina Quaresima, preside del liceo Montale, a Roma, viene accusata di aver avuto una relazione con uno studente 19enne. Repubblica dà fiato alle trombe del voyeurismo più sfrenato e pubblica le chat del presunto gioco erotico clandestino tra i due, e apriti cielo. Tutti i talk show si scatenano nella caccia al particolare hard, con il solo effetto di accrescere l’audience, calpestando i diritti della dirigente e infangandone l’immagine, senza aggiungere alcun particolare di interesse pubblico ad una vicenda probabilmente gonfiata.

Mercoledì l’Ufficio scolastico regionale del Lazio, dopo un’ispezione, ha deciso che nell’istituto romano Liceo Montale «non c’è stata nessuna violazione del codice disciplinare» e la preside dell’istituto potrà restare al suo posto: nei suoi confronti non scatterà alcun provvedimento.

Nessun rilievo disciplinare, solo un fastidiosissimo e inopportuno clamore mediatico, del quale portano la responsabilità alcuni giornalisti troppo disinvolti e sfrontati. «È la fine di un’angoscia mai provata. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli», ha commentato a caldo la dirigente, che ha aggiunto: «Auspico che la mia vicenda sia di esempio: non bisogna mai cedere davanti alla diffamazione, alla prepotenza e alla crudeltà».

La preside ha inoltre annunciato che chiederà «di accertare tutte le responsabilità civili e penali del mio caso», mentre le eventuali responsabilità disciplinari dovrebbero valutarle i consigli di disciplina dei giornalisti competenti per territorio.

Si era già capito che probabilmente qualche testata si era spinta troppo oltre quando il Garante della privacy, all’indomani della pubblicazione su Repubblica delle chat tra la preside e lo studente, aveva intimato ad altre testate di non pubblicare quelle conversazioni private, riscontrando chiare violazioni della riservatezza.

Tuttavia, quelle rivelazioni avevano innescato un vero e proprio gioco al massacro nei confronti dei protagonisti, con scritte intimidatorie e toni insinuanti. La privacy della preside è stata violata e il suo privato, vero o presunto che fosse, è diventato pubblico. Era così indispensabile sbattere il mostro in prima pagina? Le trascrizioni dei messaggi tra la preside e lo studente presentavano davvero i contorni di una notizia di interesse pubblico? Il diritto di cronaca giustifica queste violazioni?

Viene da chiedersi cioè se fosse davvero necessario pubblicare subito l’identità della preside, con relativa foto, provocando quella gogna mediatica foriera di danni incalcolabili alla privacy, alla dignità e all’onore di persone che non possono difendersi con la forza dei fatti ma che si vedono semplicemente costrette a parare i colpi dell’invadenza dei giornalisti.

E su questi ultimi qualche parola va detta. I principi della deontologia in casi del genere sono molto chiari: beneficio del dubbio significa piena applicazione del principio di presunzione di innocenza, con astensione dall’accanimento su fatti e vicende tutte da chiarire; essenzialità del racconto equivale a sobrietà nei toni e rispetto della dignità dei soggetti coinvolti. Ecco perché sarebbe opportuno che a fare chiarezza sulla vicenda e sulla (s)correttezza dell’operato dei cronisti che hanno raccontato quei fatti fossero i consigli di disciplina della categoria dei giornalisti.

Nel frattempo, però, si spengano i riflettori mediatici sulla preside e le si conceda quel diritto all’oblio che spetta a vittime di accuse ingiuste, costrette a vedere perennemente associato il proprio nome nel web a insinuazioni infamanti e infondate. L’ecosistema digitale ha delle regole ferree e ciniche: nello spazio virtuale nulla si cancella mai definitivamente e tutto ritorna ciclicamente nei motori di ricerca con riferimento a una parola chiave. Ecco perché la privacy di quella donna sarà sempre in bilico. Ma dovranno essere in primo luogo i giornalisti e le piattaforme a garantirla con professionalità e onestà intellettuale, evitando di riportare alla memoria collettiva fatti raccontati per sbaglio e con superficialità.