Presentato come tecnico il dibattito è solo politico
Il dibattito sulla legge elettorale viene presentato come un modo per garantire maggiore governabilità, ma nei fatti è puramente ideologico.
Il tema della riforma elettorale sta prepotentemente ritornando al centro del dibattito politico e all’attenzione dell’opinione pubblica. In Italia i ragionamenti sulla legge elettorale, così come le relative iniziative referendarie, sono, ormai da molti anni, caratterizzati da una impostazione “decisionista”, solo apparentemente “aideologica”. Un’impostazione sottesa, nella buona sostanza, dal pensiero che il fine dei sistemi elettorali debba essere, solo ed esclusivamente, quello di garantire un meccanismo capace di produrre il maggior tasso possibile di decisionismo e di governabilità.
La tendenza, più volte riaffermata, di tutte le iniziative referendarie susseguitesi in questi anni, dal referendum del 1991 a quello del 1994 fino all’attuale, va in questo senso. In questo senso vanno anche le leggi elettorali approvate per le elezioni amministrative, sia a livello comunale che regionale. Fino ad oggi, la logica implicita nella progressiva evoluzione del nostro sistema politico è, “ideologicamente”, in senso bipolare e bipartitico.
Ora, se è fuori discussione che un sistema elettorale debba essere in grado di produrre capacità di decisione e governabilità, è anche fuori discussione che deve pure essere capace di garantire rappresentatività e partecipazione che costituiscono - e certo in misura non minore di governabilità e decisionismo - il fulcro di una moderna democrazia. Il prezzo che si rischia di pagare, trascurando questo equilibrio, è quello di un oggettivo impoverimento del tessuto democratico, e di una caduta verticale della partecipazione e dell’interesse della gente nei confronti della politica. Esattamente ciò che, da tempo, sta accadendo in Italia.
Il dibattito sui sistemi elettorali è stato, fino ad oggi, volutamente connotato in senso tecnico, quasi si trattasse di scelte di “ingegneria istituzionale” esclusivamente finalizzate al più efficiente funzionamento dei meccanismi decisionali. Ma non è questa l’ottica giusta. La scelta del sistema elettorale ha infatti pesanti implicazioni storiche, ideologiche, culturali e politiche. È giunto il momento di togliere queste implicazioni dal cono d’ombra in cui sono state relegate e ragionarne a fondo. È questo il vero cuore del problema.
Ci accorgeremo, allora, che il dibattito sulla legge elettorale è, in realtà, quanto di più ideologico e politico possa esservi; che ogni differente sistema elettorale è strettamente collegato e funzionale ad uno specifico assetto sociale, ad uno specifico progetto di società, ad un preciso equilibrio di forze e di interessi in campo, ad una specifica logica culturale e storia nazionale.
La Fondazione Italiana Europa Popolare ha alimentato nelle scorse settimane, sul suo sito www.eupop.it, un dibattito su questi temi continuando un percorso che già da anni la contraddistingue, cercando così di focalizzare alcuni punti centrali.
Sono intervenuti autorevoli esponenti della cultura politica, del mondo associativo cattolico, esperti di relazioni internazionali che analizzano anche sistemi elettorali di altri Paesi europei. I risultati del dibattito saranno oggetto di una pubblicazione e di un Forum che si terrà a Roma il 24 maggio p.v..
Il tema della riforma elettorale è stato sollevato anche durante i lavori della 46a Settimana sociale dei cattolici italiani a Reggio Calabria (14/17 ottobre 2010).
E nel documento conclusivo, presentato alla stampa nelle scorse settimane, si dice testualmente: “in maniera altrettanto convinta ci si è pronunciati per la revisione della legge elettorale a tutti i livelli e per tutte le istanze. Occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo”.
Non ci fermeremo certamente qui avendo come obiettivo primario quello di evidenziare e, se possibile, porre rimedio ad uno dei temi centrali della crisi politica in Italia: quello della caduta verticale della partecipazione.