Giornale e Libero nel mirino. Libertà di stampa a senso unico
Ascolta la versione audio dell'articolo
Manifestazione pro-Pal e di estrema sinistra alla sede de Il Giornale e Libero. Invocano la censura e insultano i giornalisti. Se fosse successo lo stesso, ma con militanti di destra, oggi si parlerebbe di squadrismo.

Giovedì mattina un gruppetto di militanti di estrema sinistra, dichiaratamente pro Palestina, ha inscenato una protesta sotto le sedi dei quotidiani Il Giornale e Libero, in via dell’Aprica a Milano. La manifestazione, annunciata da giorni sui social, ha visto la partecipazione di 36 persone, un numero non dichiarato ufficialmente né dalla Questura né dagli organizzatori, ma ricostruito da un conteggio indipendente.
Non è stato tanto il numero dei manifestanti o il contenuto dello striscione esposto a dare rilievo all’evento. Lo striscione recitava: “Contro la criminalizzazione del dissenso e la legittimazione della repressione. Diciamo no ai professionisti della menzogna”, ed era firmato “Potere al Popolo e Cambiare rotta”. A destare perplessità è stato piuttosto il modo in cui i manifestanti hanno deciso di esprimere il loro dissenso, ovvero mostrando volti di giornalisti delle redazioni sotto accusa, tra cui i direttori Alessandro Sallusti e Mario Sechi, e altri cronisti, ritratti in bianco e nero con il berretto di poliziotto e la scritta “Al servizio della menzogna”. Un chiaro intento intimidatorio, che ha fatto precipitare la protesta in una vera e propria aggressione simbolica nei confronti dei giornalisti in carne e ossa.
L’accusa mossa dai manifestanti era quella di essere complici delle forze dell’ordine per aver dato spazio alle ricostruzioni del Viminale su presunte infiltrazioni di agenti nelle fila di Potere al Popolo, notizia ripresa anche da altri organi di stampa. In aggiunta, gli attivisti contestavano alle testate di sostenere in modo incondizionato le politiche di Israele e di essere corresponsabili dello spargimento di sangue a Gaza. Slogan come “Non siete giornalisti, siete servi dei sionisti, avete le mani sporche di sangue” o “Siete tra i maggiori tifosi del criminale Netanyahu e complici del genocidio in Palestina” echeggiavano sotto le finestre delle redazioni, insieme a urla che definivano i quotidiani “organi di propaganda e di polizia al servizio del governo”.
Il momento più simbolico è stato quando i manifestanti, scesi dal marciapiede, hanno strappato copie cartacee di Libero e Il Giornale, accompagnando l’azione con slogan al megafono: «Strappiamo le pagine dei vostri fogliacci schifosi, che leggono solo un pugno di milionari, quelli che vi pagano e di cui siete schiavi». Il presidio è durato circa un’ora, sotto la sorveglianza di camionette della polizia, senza che si registrassero incidenti, sebbene vi sia stato un confronto acceso ma pacifico con alcuni giornalisti. A caldo è arrivata la replica di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, che ha liquidato la protesta definendola «più tenerezza che paura», e accusando i manifestanti di essere «quelli che hanno le mani sporche di sangue, cioè i loro amici palestinesi». Sallusti ha poi sottolineato il silenzio preoccupante di chi, a parole, si definisce paladino della libertà di stampa ma che in questa occasione non ha mosso un dito: «Più che i ragazzi, mi ha fatto paura il fatto che nessuno dei campioni mondiali della libertà di stampa abbia detto che andare a zittire un giornale non è bello».
A questa osservazione si è unita la pungente ironia di Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero, che sui social ha descritto i manifestanti come Comunisti e disagiati sotto la sede di Libero, accompagnando il post con fotografie della protesta. Capezzone ha sottolineato come non sia ammissibile che editori, direttori e firme di testate vengano indicati come bersagli, né come nemici da delegittimare, e ha posto una domanda retorica: «Voi ve lo immaginate se la metà della metà della metà di queste cose fossero capitate davanti a un quotidiano progressista da parte di militanti di destra? Si sarebbe gridato allo squadrismo, all'intimidazione della stampa libera».
Questo è esattamente il punto che l’evento mette drammaticamente in luce: il silenzio assordante delle organizzazioni dei giornalisti e di buona parte del mondo politico e culturale progressista di fronte a un atto che, se fosse stato compiuto da gruppi di estrema destra contro giornali di sinistra, avrebbe scatenato un’eco mediatica enorme, indignazione pubblica e mobilitazioni in difesa della libertà di stampa. In quel caso, si sarebbe parlato senza esitazioni di squadrismo fascista, di attacchi alla democrazia e alla libertà di informazione, con appelli, manifestazioni di solidarietà, denunce da parte della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e interventi del Parlamento. Al contrario, quando le vittime sono giornalisti di testate non allineate al pensiero progressista dominante, la reazione si fa timida o inesistente, e anzi la protesta, per quanto grave e violenta nei modi, viene quasi giustificata come espressione di dissenso legittimo o addirittura ignorata.
Un esempio eloquente è la totale assenza di una presa di posizione ufficiale delle organizzazioni dei giornalisti che, in questo caso, non hanno mosso un dito per condannare pubblicamente l’intimidazione. Così facendo si aggrava una già pericolosa doppia morale, dove la libertà di stampa non è più un principio universale da difendere con la stessa forza e coerenza, ma un valore da applicare a senso unico, a seconda di chi sia percepito come vittima o carnefice.
Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha denunciato con forza questo clima inquietante, sottolineando che la manifestazione ha assunto toni intimidatori e che non si può consentire la creazione di un ambiente ostile verso il giornalismo libero e indipendente, soprattutto quando ciò avviene da parte di chi vorrebbe imporre un pensiero unico attraverso la piazza e la pressione politica. Ha ribadito che la libertà di stampa è un pilastro della democrazia e chi la attacca mette a rischio le fondamenta stesse della convivenza civile. Quanto avvenuto sotto le sedi de Il Giornale e Libero non è dunque solo un episodio isolato di protesta scomposta, ma un segnale allarmante di come la libertà di stampa possa essere compressa con metodi di intimidazione e violenza simbolica senza che chi dovrebbe tutelarla si mobiliti, a meno che la vittima non appartenga a un certo schieramento politico. Eppure, la libertà di stampa non dovrebbe conoscere colori né bandiere: è un valore da difendere sempre, senza se e senza ma, con pari vigore.
La protesta di giovedì mattina ha palesato la fragilità di questo principio e l’ipocrisia di una parte del sistema dell’informazione e della politica, che riserva trattamenti differenti in base alla fazione che subisce l’attacco. Questi fatti dovrebbero spingere a una riflessione profonda e a un impegno comune per riaffermare la tutela dei giornalisti come cittadini e operatori di diritto, contro ogni forma di intimidazione, indipendentemente dal fronte politico da cui provenga la minaccia. Perché una democrazia che tutela la libertà di stampa solo quando fa comodo e a seconda di chi è sotto assedio, non è una democrazia pienamente libera, ma un gioco pericoloso di potere e interessi, dove la verità rischia di essere l’ultima vittima.