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CONTINENTE NERO

Prendi i soldi e scappa...in Europa. Furti per emigrare

Un reportage in Sierra Leone realizzato dal giornalista Tim Whewell rivela che molti giovani africani commettono furti anche ai familiari per raccogliere i soldi necessari alla traversata del deserto e del Mediterraneo, per arrivare in Europa. Al loro rientro si sono bruciati i ponti e restano emarginati. Un'associazione, la Anaim, li aiuta in patria.

Esteri 20_11_2019
Freetown

Le Chiese africane da tempo cercano di far capire ai giovani e alle loro famiglie che l’Europa non è affatto un Eldorado dove c’è abbondanza di tutto per tutti, basta arrivarci, e che emigrare illegalmente affidandosi a organizzazioni criminali è estremamente rischioso. Le loro campagne di informazione hanno ottenuto dei risultati. Ad esempio, sembra che cresca il numero delle famiglie che non sono disposte a mettere insieme il denaro necessario per far emigrare un parente: meglio investire in progetti più sicuri.

Ma tanti giovani continuano a voler partire, contro ogni logica, e quindi lo fanno di nascosto, eventualmente informando i parenti quando hanno già lasciato il paese. Succedeva anche in passato, ma non di frequente come adesso, e inoltre sembra siano molti i casi in cui, per procurarsi il denaro necessario, lo rubino ai famigliari non più disposti ad aiutarli: “arraffano tutto il denaro su cui riescono a mettere le mani – spiega il giornalista della Bbc Tim Whewell – arrivando persino a vendere gli atti di proprietà delle terre di famiglia”.

Whewell è autore di un reportage realizzato in Sierra Leone grazie al contributo di Advocacy Network Against Irregular Migration (Anaim), una associazione di volontariato che aiuta a rifarsi una vita gli emigranti illegali di ritorno a casa, quelli che non sono riusciti a raggiungere l’Europa e hanno usufruito di programmi di rimpatrio assistito. Per molti di essi, di “ritorno a casa” in effetti non si può parlare: di loro i famigliari non ne vogliono sapere perché sono stati appunto derubati e ancora pagano le conseguenze del danno subito. 

Fatmata, 28 anni, ad esempio è arrivata a Freetown, la capitale, nel dicembre del 2018, grazie all’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, che ne ha pagato le spese di rimpatrio. Da allora non ha ancora visto sua madre nè sua figlia di otto anni. Suo fratello, al quale aveva telefonato per dire che era in città, le ha intimato di non osare presentarsi a casa: “dovevi morire là dove eri” le ha detto. Per poter partire Fatmata ha rubato a una zia 25 milioni di leones, circa 2.600 dollari al cambio attuale, che valevano molto di più due anni fa quando è andata via. Sua zia che si fidava di lei le aveva dato il denaro perché acquistasse una partita di tessuti da rivendere. Il furto ne ha mandato in rovina l’attività. Inoltre ha guastato i rapporti tra le famiglie della zia e di Fatmata perché la zia pensa ingiustamente che la mamma di Fatmata fosse al corrente del piano della figlia.  

Jamilatu, 21 anni, è tornata da due anni. Per procurarsi il denaro necessario a partire, ha rubato alla madre una borsa con l’equivalente di 3.500 dollari in contanti. Quei soldi non erano di sua madre. Glieli avevano prestati dei vicini di casa e facevano parte di un programma di microcredito. Dopo la partenza di Jamilatu, i creditori inferociti assediavano la casa della mamma, minacciando di ucciderla se non avesse restituito il denaro. Alla fine la mamma è dovuta scappare a Bo, la seconda città del paese, lasciando a casa il marito e gli altri tre suoi figli. Anche dopo che il giornalista della Bbc ha provato a farle incontrare, la donna ha detto che non vuole Jamilatu sotto il suo tetto finché non restituisce il denaro ai creditori. 

Alimamy ha 31 anni. È partito tre anni fa dopo aver rubato e venduto una macchina per l’imbottigliare l’acqua molto costosa di proprietà di uno zio che doveva servire ad avviare una redditizia attività. È stato rimpatriato nel 2017 e non ha ancora osato farsi vivo con la famiglia. Whewell ha cercato di convincere Sheik Umar, il fratello maggiore, a incontrarlo. I due erano molto uniti prima del furto. La sua risposta è stata che se mai rivedesse Alimamy farebbe in modo che fosse arrestato, processato e condannato come merita: “e se morisse in prigione – ha detto – non avrei rimpianti, sono certo che nessuno in famiglia ne avrebbe perché ci ha tutti disonorati”. L’attività che Alimamy avrebbe dovuto gestire poteva fruttare di che mantenere tutta la famiglia: “invece lui ha sprecato quella opportunità e adesso siamo tutti nei guai. Dovunque vada la gente mi prende in giro. Nostra madre si è ammalata, ha preferito andare a vivere al villaggio. Quell’attività doveva essere la nostra speranza e lui ha rovinato tutto”.

Molti dei circa 3.000 emigranti rientrati in Sierra Leone raccontano storie simili di famiglie rovinate, di danni economici spesso irreparabili che oltre tutto hanno creato insanabili contrasti famigliari. L’Oim, oltre a rimpatriare gli emigranti illegali che lo richiedono, offre loro un contributo pari a 1.500 euro grazie a un fondo di 347 milioni di euro finanziato principalmente dall’Unione Europea. Per evitare che venga sperperato o usato per restituire il maltolto, l’importo è erogato in mezzi per avviare una attività economica. Alimamy aveva ottenuto di che acquistare una motocicletta da affittare a gente che doveva usarla come un taxi. Ma dopo appena quattro mesi uno degli autisti è sparito con la moto e l’affare è andato a monte. Fatmata e Jamilatu invece non hanno ottenuto contributi  perché sono tornate passando dal Mali in un periodo in cui dei loro connazionali in Mali si fingevano emigranti provenienti dal Sahara per poter viaggiare sui pullman dell’Oim e ottenere il contributo. Quando se ne è accorta, l’Oim ha cancellato dal programma chiunque provenisse dal Mali. Entrambe adesso sono senza lavoro e dipendono interamente dall’Advocay Network. Insieme ad altri rimpatriati partecipano a eventi organizzati dall’associazione. Girano per le strade con altoparlanti per informare i giovani dei pericoli dell’emigrazione illegale e per esortarli a rimanere nella “dolce Sierra Leone”.