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PERSECUZIONI

Preghiera per fermare il calvario dei cristiani

La Cei annuncia un giorno di preghiera per il 15 agosto, per fermare il calvario dei cristiani perseguitati in tutto il mondo. I casi più recenti di violenze in Libia, India, Indonesia, Bangladesh, sono sintomi di un dramma globale in corso, di cui l'opinione pubblica si disinteressa.

Esteri 04_08_2014
Cristiani in Libia

Il 15 agosto si svolgerà in Italia una giornata di preghiera per i cristiani perseguitati nel mondo. Lo ha deciso la Conferenza episcopale italiana. «Un autentico Calvario – si legge nel comunicato con cui la Presidenza della Cei annuncia l’iniziativa – accomuna i battezzati in Paesi come Iraq e Nigeria, dove sono marchiati per la loro fede e fatti oggetto di attacchi continui da parte di gruppi terroristici; scacciati dalle loro case ed esposti a minacce, vessazioni e violenze, conoscono l'umiliazione gratuita dell'emarginazione e dell'esilio fino all'uccisione. Le loro chiese sono profanate: antiche reliquie, come anche statue della Madonna e dei Santi, vengono distrutte da un integralismo che, in definitiva, nulla ha di autenticamente religioso. In queste zone la presenza cristiana – la sua storia più che millenaria, la varietà delle sue tradizioni e la ricchezza della sua cultura – è in pericolo: rischia l'estinzione dagli stessi luoghi in cui è nata, a partire dalla Terra Santa».

«L’Europa – prosegue il comunicato – è «distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani». Ma non si può restare in silenzio mentre la libertà religiosa, fondamento di tutte le libertà personali, viene violata e mentre la civiltà, la dignità dell’uomo e i suoi diritti vengono attaccati: «l'Occidente non può continuare a volgere lo sguardo altrove, illudendosi di poter ignorare una tragedia umanitaria che distrugge i valori che l'hanno forgiato».

Con questo spirito, conclude il comunicato, «invitiamo tutte le nostre comunità ecclesiali ad unirsi in preghiera in occasione della solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto) quale segno concreto di partecipazione con quanti sono provati dalla dura repressione. Per intercessione della Vergine Madre, il loro esempio aiuti anche tutti noi a superare l'aridità spirituale di questo nostro tempo, a riscoprire la gioia del Vangelo e il coraggio della testimonianza cristiana».

L’India è uno degli stati in cui i cristiani subiscono gravi, incessanti violenze, specialmente negli stati della federazione in cui i fondamentalisti indù sono più forti. La vittoria elettorale, lo scorso maggio, del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indù che ora è alla guida del governo, accresce la loro insicurezza. La mancanza di volontà politica di proteggerli è evidente. Spesso, anzi, le stesse forze dell’ordine si schierano con gli induisti. Il 27 luglio scorso, ad esempio, a Nagda, una cittadina dello stato del Madhya Pradesh, dei militanti del gruppo fondamentalista Vishwa Hindu Parishad hanno fatto irruzione in una chiesa durante il servizio domenicale con il pretesto che fossero in atto conversioni al cristianesimo. Al loro fianco c’erano agenti di polizia in assetto da combattimento.

Altre cattive notizie giungono in questi giorni dalle Molucche, Indonesia, dove le tensioni tra islamici e cristiani sono degenerate in scontri che hanno causato quattro morti e ingenti danni, richiedendo l’intervento di centinaia di militari, e dal Bangladesh, dove resta viva la preoccupazione nella diocesi di Dinajpur dopo che il 6 luglio i contrasti tra i bengalesi musulmani e i tribali cristiani sono culminati in un attacco notturno a una chiesa cattolica e a un convento femminile. Gli aggressori hanno rubato oggetti e atti di proprietà. Tre suore sono state picchiate e hanno subito un tentativo di violenza.

Un nuovo allarme inoltre giunge dalla Libia in guerra, lanciato dalla Chiesa cattolica. 13.000 lavoratori filippini, cristiani, sono intrappolati nel paese, presi di mira dagli estremisti islamici che il 20 luglio hanno decapitato un operaio perché “non musulmano” e il 30 luglio hanno rapito e violentato un’infermiera. Padre Amado Baranquel, parroco della chiesa di Maria Immacolata a Tripoli, per primo ha parlato per loro, chiedendo al governo delle Filippine di intervenire quanto prima e suggerendo di predisporre una partenza via mare perché i trasferimenti via terra sono troppo pericolosi a causa dei combattimenti. Il governo di Manila si era limitato a ordinare ai propri connazionali di lasciare il paese. Adesso il segretario degli Esteri filippino Albert del Rosario si trova a Tunisi per sovrintendere alla loro evacuazione.

Sarebbero rimaste in Libia, ma per ragioni di sicurezza sono state costrette ad abbandonare la missione e a lasciare il paese le sorelle di due congregazioni religiose femminili: le Suore di carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea e le Suore indiane della Santa Croce. Prestavano la loro opera in un ospedale e in una clinica. Due sorelle hanno raggiunto l’Italia il 25 luglio a bordo di un aereo militare, altre sei il giorno successivo, con un volo di linea. 

La congregazione dell’Immacolata Concezione era arrivata a Tripoli nel 1911 e a Bengasi nel 2012. Per 103 anni ha operato ininterrottamente. Nel bollettino in cui si da notizia dell’abbandono forzato della missione, le sorelle di Ivrea scrivono: «in Libia sono vissute suore sante, la cui vita, pur con tutti i limiti, è stata come luce del Vangelo in un luogo prettamente musulmano. Dai tabernacoli delle loro cappelle, tra i pochi rimasti aperti, Gesù copriva di benedizione l’intero paese. Ora la sofferenza più grande per tutte noi è proprio l’aver chiuso questi tabernacoli e aver lasciato soli i cristiani, destinatari della missione evangelizzatrice in Libia».