Preghiamo per tutte le 27 guerre nel mondo
In tutte le diocesi italiane si prega per la pace in Ucraina. A ben vedere sarebbe giusto che queste iniziative diventassero un appuntamento periodico, che ad esempio ogni mese i fedeli fossero invitati a momenti di preghiera per la pace. Tantissime infatti sono le guerre che devastano il pianeta: 27 secondo una stima aggiornata, considerando quelle maggiori.
In tutte le diocesi italiane si prega per la pace. Monsignor Riccardo Fontana, vescovo di Arezzo-Cortona-San Sepolcro, ha presieduto una veglia di preghiera la sera del 27 febbraio. Nella diocesi di Parma il 25 febbraio è stato acceso un cero nella Cappella dei caduti a conclusione della messa celebrata da monsignor Enrico Solmi. A Ivrea monsignor Edoardo Cerrato ha invitato i fedeli a un’ora di adorazione eucaristica e preghiera per la pace, che si terrà la sera del 1° marzo, e ha chiesto a tutte le parrocchie della diocesi di organizzare altri momenti di preghiera. A Como, sempre il 1° marzo, monsignor Oscar Cantoni reciterà il rosario insieme ai fedeli in cattedrale. Il vescovo di Bolzano Bressanone, monsignor Ivo Muser, ha disposto che tutte le campane della diocesi suonino a mezzogiorno del 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri, “in segno di pace, riconciliazione e solidarietà”. Nello stesso giorno tutti i santuari mariani della diocesi di Torino e Susa dedicheranno un momento di preghiera a Maria, Regina della pace.
Sarebbe giusto che queste iniziative, pensate per l’Ucraina in guerra, diventassero un appuntamento periodico, che ogni mese, ad esempio, i fedeli fossero invitati a momenti di preghiera per la pace, magari di volta in volta ricordando una delle tante, tantissime guerre che devastano il pianeta, combattute in decine di paesi: 27 secondo una stima aggiornata al 2021 e limitando il conto ai conflitti maggiori.
Sono quasi tutti conflitti interni a uno stato, tra eserciti nazionali e milizie armate – separatiste, jihadiste, antigovernative… – oppure tra gruppi antagonisti, per lo più su base etnica o religiosa (non di rado entrambe le cose), che si contendono il controllo di territori, di risorse, dell’apparato statale. La guerra più lunga in corso è quella tra clan in Somalia, iniziata nel 1991. Ha smembrato il paese, con la secessione di Somaliland, Puntland e altre regioni, e l’occupazione di vasti territori a sud della capitale Mogadiscio da parte del gruppo jihadista al Shabaab, autore di continui attentati nella capitale. La più recente è quella in Etiopia, dichiarata contro il governo nel novembre del 2020 dal Tplf, il partito dell’etnia tigrina, nel tentativo di riprendere il controllo dello stato perso nel 2018, dopo averlo detenuto con mano durissima per quasi 30 anni.
Forse le guerre più “dimenticate”, una espressione usata non sempre a ragione, sono quelle in Yemen e in Myanmar. In Yemen si combatte dal 2014, da quando cioè il movimento sciita Houthi si è rivoltato contro il governo sunnita, con una escalation a partire dall’anno successivo in seguito all’intervento di Arabia Saudita e di altri stati sunniti in favore del governo. In Myanmar il conflitto attuale segue il colpo di stato militare del febbraio del 2021. È in corso una repressione durissima della rivolta armata organizzata dalle Forze di difesa popolare e che si salda con i gruppi di resistenza etnici.
L’elenco delle guerre è lungo. Molte si combattono in Africa dove il solo jihad è presente in almeno dieci paesi con gruppi affiliati ad al Qaeda o all’Isis ed è in grado di compiere attentati in molti altri.
Oggi, per tentare di mantenere la pace nel mondo, sono attive 12 missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Dal 1948 ne sono state approvate ben 71. Di quelle attuali, tre sono in Medio Oriente (Golan, Libano e Medio Oriente con sede a Gerusalemme), sei in Africa (Sahara Occidentale, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana), una in Asia (Pakistan-India), due in Europa (Cipro e Kossovo). Impiegano complessivamente 87.572 uomini messi a disposizione da 121 paesi: 63.889 militari, 7.266 agenti di polizia e 16.457 civili. Il bilancio finanziario per il periodo che va dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 è di 6,38 miliardi. Finora nelle 12 missioni in corso sono morte 1.500 persone (ma le perdite in totale, dal 1948, sono 4.161).
È da ricordare anche quanti soldati italiani sono impegnati in missioni all’estero. L’impiego complessivo è di 9.449 militari come consistenza massima e 6.511 come consistenza media, per un totale di 40 missioni: nove svolte in ambito NATO, 12 in ambito Unione Europea, sette in ambito Onu, tre nel contesto della forza multinazionale in Iraq chiamata “coalition of the willing” e le rimanenti esclusivamente nazionali. Nel 2021 il bilancio per sostenere queste missioni militari è stato di 1,25 miliardi di euro. L’Africa è stata la principale destinazione dei militari italiani, presenti in 19 missioni, seguita dall’Europa con 11 missioni e dall’Asia con dieci.
Le perdite in vite umane causate dalla guerra ogni anno sono decine di migliaia – il calcolo per il 2020 è di oltre122mila – molte delle quali civili. Enorme è il numero di persone costrette a mettersi in salvo fuggendo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, pubblicato nel giugno 2021 e relativo al 2020, i rifugiati, vale a dire le persone che per mettersi in salvo hanno superato i confini dei loro paesi e hanno chiesto asilo, sono 26,4 milioni. I profughi interni, rimasti entro i confini nazionali, sono 48 milioni, a cui si aggiungo 4,1 milioni di richiedenti asilo. Incalcolabili sono altri danni della guerra: perdita del lavoro e di ogni mezzo di sussistenza, famiglie divise, violenze e abusi, bambini arruolati nei combattimenti, decine di migliaia di scuole chiuse, infrastrutture distrutte… è un elenco infinito.
Sempre, non solo quando la guerra si fa vicina, sarebbe buono e giusto pregare per la pace.