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CINA-ITALIA

Prato, una ricetta contro altre stragi

Prato è diventata la Lampedusa di terra: ci si accorge del suo problema di immigrati (cinesi, in questo caso) solo quando capita la strage. Per evitare lacrime di coccodrillo, si deve intervenire a livello governativo.

Editoriali 05_12_2013
Sequestro in un'azienda cinese

Prato, cioè la Lampedusa di terra. Con tante differenza fra l’isola a Sud della Sicilia e la città toscana, il destino che le accomuna è che se ne parla solo all’indomani delle tragedie: quando, dopo qualche giorno, il rullo mediatico passa ad altro, tutto finisce nel dimenticatoio. Come per Lampedusa, anche Prato non può farcela da sola. Ha necessità di una operazione ad alto impatto, che veda impegnato in prima linea il governo nazionale, insieme con tutte le istituzioni del territorio. Provammo ad avviarla qualche anno fa, con Maroni ministro dell’Interno, stabilendo un raccordo stretto fra Prefettura, Comune, Provincia, Regione e i Ministeri a vario titolo interessati (sono tanti); l’approfondimento dei punti critici di quell’area fece emergere problemi anche più consistenti di quelli che si immaginavano all’inizio. Si stava passando dalla fase necessaria dello studio a quella degli interventi coordinati; cambiò il governo e, come altre voci dell’agenda sicurezza – a cominciare dal “modello Caserta” – anche questa fu lasciata cadere, e non è stata più ripresa.

Perché l’indignazione non suoni ipocrita e “a tempo”, quel lavoro va ripreso, coinvolgendo tutti con pari dignità a responsabilità e perseguendo obiettivi chiari:

Giudizi rapidi e sanzioni effettive per i criminali. Sembra uno slogan, ed è destinato a rimanere tale se non si individuano, per iniziativa dei ministri dell’Interno e della Giustizia, rinforzi ad hoc. L’ordinamento ha gli strumenti per costituire squadre rinforzate di polizia giudiziaria e magistrati inquirenti e giudicanti applicati agli uffici giudiziari di Prato, il cui organico oggi è del tutto insufficiente per fornire risposte celeri. È accaduto così in passato per tante zone ritenute “a rischio”, individuate come prioritarie per gli interventi: e questi, dal Casalese al Gargano, dal Reggino al Nisseno, non sono mancati, seguiti da risultati significativi. Ha un senso richiamare le misure adottate contro la camorra o altre mafie, perché le associazioni criminali che gestiscono i traffici illeciti di e con cinesi non sono meno pericolose e spietate;

Non solo carcere per gli sfruttatori e gli schiavisti, ma anche sequestri e confische dei beni. Senza scendere nel dettaglio tecnico, può essere necessaria qualche rettifica normativa per colpire con maggiore efficacia su questo fronte: non si lascino gli operatori della giustizia privi di questi strumenti! L’esperienza di contrasto nei confronti di delinquenti di origine cinese presenti in Italia rivela che, quando si passa ai fatti, loro preferiscono lasciare tutto e fuggire: se finora sono rimasti a Prato è perché, nel calcolo costi-benefici, preferiscono pagare una modesta ammenda per rientrare in possesso dei capannoni nei quali fanno svolgere il lavoro in condizioni disumane. Sottrarre loro i capannoni in via definitiva avrebbe un altro effetto;

Rinforzi quantitativi non solo sul fronte stretto delle forze di polizia e della magistratura, bensì pure su quello dei vari enti accertatori. Un conto è che in un capannone vadano un giorno ispettori della Asl, un giorno dell’Inps, un giorno ancora dell’Agenzia delle entrate, e così via, disperdendo tempo e lavoro, un conto è che un gruppo misto, rappresentativo di tutte le realtà abilitate a controlli, sottoponga a sistematiche ispezioni i luoghi di lavoro. Per fare questo sono necessari uomini e risorse, e a Prato oggi mancano gli uni e le altre.

Rimandare a casa i clandestini. È uno dei passaggi più complicati; ci sono difficoltà nei rapporti con la Cina, che spesso rifiuta di riconoscere come propri, e quindi di riprendere, cittadini identificati in Italia come cinesi irregolari. Ma le difficoltà restano insormontabili se non le si affronta con decisione e pazienza; e qui spetta alla capacità di pressione che può essere azionata dal Ministero degli Esteri e dalla Presidenza del Consiglio. Sullo stesso versante, manca in Toscana un Centro di identificazione e di espulsione: come si può immaginare di realizzare le espulsioni necessarie mandando cinesi irregolari in giro per i Cie siciliani o pugliesi?

Lavorare sulla reale integrazione dei regolari. Il che vuol dire anzitutto frequenza scolastica dei bambini: se vanno a scuola non lavorano nei sottoscala, imparano qualcosa e fanno una vita meno isolata. Vuol dire anche piena funzionalità di quell’accordo di integrazione che la legge prevede per ogni migrante regolarmente presente in Italia, e la cui piena applicazione permette di fruire di strumenti come la conoscenza della lingua.

L’operazione non è impossibile. Richiede un’azione di governo condotta con mano continuativa, non delegata a burocrati, pronta a fornire tutti i sostegni necessari – se è una priorità, non possono mancare – e ferma nell’esigere a scadenze ravvicinate il resoconto sul raggiungimento degli obiettivi. Richiede un governo che operi senza le distrazioni delle divisioni interne all’una o all’altra forza politica. Certo, è più facile commuoversi di fronte a ogni tragedia, e poi girarsi dall’altra parte: ma per questo non è necessario il governo. A Prato come a Lampedusa.