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L'INTERVISTA

«Potenziamento e resistenza, i rischi ignoti del vaccino»

«Le criticità dei vaccini anti-Covid sono legate a due fattori: il potenziamento della malattia e la vaccino-resistenza, i tempi rapidi a scapito dello studio dei rischi non ci permettono di escluderli». La Bussola intervista Loretta Bolgan, chimica farmaceutica di Rinascimento Italia. «L’efficacia non è ancora nota perché i vaccini sono stati testati d’estate, quando l’epidemia era già finita». C'è un rischio alterazione del DNA? «No, ma c'è un rischio di sviluppo di nuove malattie autoimmuni o degenerative». La variante inglese? «Il mutante inglese è comparso dopo l’inizio della campagna vaccinale, potrebbe essere una vaccino-resistenza».

Attualità 25_01_2021 English Español

Ci sono ancora tanti aspetti che non conosciamo dei vaccini anti-Covid, la cui campagna mondiale si sta effettuando in maniera massiccia in tutto il mondo. A cominciare da diversi rischi per la salute che non sono stati del tutto esclusi dalle case farmaceutiche come, ad esempio, il potenziamento della malattia e la vaccino-resistenza.

La Nuova Bussola Quotidiana ne parla con Loretta Bolgan (in foto), consulente scientifica per Rinascimento Italia e chimica farmaceutica.

Dottoressa, lei ha studiato in maniera approfondita le principali piattaforme vaccinali attualmente in uso ed è in grado di fare una panoramica sugli antidoti in fase di approvazione. Che cosa emerge?
Le criticità dei vaccini Covid-19 sono legate a due fattori, uno dipendente dal tipo di tecnologia utilizzata per costruire l’antigene vaccinale e l’altra dal tipo di virus. Gran parte degli sforzi si sono concentrati nel produrre i vaccini su larga scala e in tempi molto rapidi a scapito dello studio dei rischi associati al tipo di virus, cioè quelli del fenomeno del potenziamento della malattia. 

Che cos’è il potenziamento della malattia?
Quando la persona vaccinata si infetta dopo la vaccinazione, gli anticorpi vaccinali, invece di bloccare il virus e impedire l'infezione delle cellule, lo facilitano. Si ha una replicazione esagerata del virus e questo porta a uno scatenamento della malattia. Il rischio è che la persona sviluppi il Covid nella polmonite grave fatale.

Ha riscontri di quello che dice?
Sì, si tratta di un rischio concreto. Ho studiato e sto tuttora studiando il meccanismo d’induzione del danno causato dal SAR-Cov-2 e dei vaccini correlati, ed è documentato che ci sono vaccini contro la Sars che non sono stati registrati proprio per questo motivo. Negli studi preclinici sugli animali, il gruppo dei vaccinati sviluppava la complicazione grave fatale e questi tipi di studi sono tuttora in corso per i vaccini contro il SARS-Cov-2 nonostante alcuni siano in già in commercio.

Quando dovremmo aspettarcelo?
Sto ricevendo personalmente diverse segnalazioni da parte di famigliari e operatori sanitari di vaccinati, sia con l’antinfluenzale che con il vaccino COVID-19, che a breve distanza dal vaccino sono diventati positivi al test molecolare e poi hanno sviluppato i sintomi della malattia. Questo potrebbe essere spiegato in due modi: o la persona aveva già in atto la malattia che poi si è manifestata in concomitanza con la vaccinazione o il vaccino ha riacutizzato un’infezione pregressa da SARS-Cov-2. Ci sono adesso studi che dimostrano che il virus è in grado infettare i batteri intestinali e di permanere nel microbiota per lungo tempo, a sostegno dell’ipotesi dell’infezione cronica. Per chi invece non ha mai contratto l’infezione, il potenziamento potrebbe manifestarsi alla reinfezione durante il picco epidemico.

Che riscontri abbiamo sul rischio di potenziamento?
Gli studi sugli animali non permettono ancora di rispondere a questa domanda, nonostante sia stato espressamente richiesto dall’EMA valutare questo rischio prima della commercializzazione. Purtroppo, sarà necessario attendere che le persone vaccinate contraggano l’infezione per poterne conoscere l’incidenza, perché negli studi clinici fatti finora gran parte delle persone, sia vaccinate che no, non si sono infettate.

Ha letto alcuni studi?
Ad oggi sono in fase di sperimentazione ben 289 vaccini, di cui circa 70 in fase clinica avanzata. Quello di Oxford e Astrazeneca è stato il primo di cui ho revisionato lo studio preclinico sugli animali e con questo studio la ditta ha ottenuto dall’EMA l’autorizzazione a procedere in forma accelerata.

Che cosa ha scoperto?
Andando a leggere bene lo studio, si scoprono cose interessanti: ad esempio che hanno infettato gli animali vaccinati per studiare l’efficacia del vaccino con un virus che aveva la stessa sequenza della spike dell’antigene vaccinale, in modo da poter ottenere degli anticorpi neutralizzanti, però si è visto che l’animale si infettava comunque e quindi poteva trasmettere il virus, cioè il vaccino non era sterilizzante, caratteristica necessaria per bloccare il contagio. Gli animali non sono quindi stati infettati con il virus circolante, che era ed è oggi ancora più mutato rispetto al virus del vaccino. Questo non ha permesso di valutare l’efficacia e la pericolosità del vaccino, come è stato fatto per i vaccini contro la SARS. In più c’è il fatto che hanno utilizzato i primati, che però non sviluppano la complicazione grave fatale.

Le agenzie regolatorie stanno accettando questi studi però…
Accettano studi che ad oggi riportano risultati non conclusivi, non possono affermare che è dimostrato che non si sviluppa il potenziamento della malattia perché non è ancora stato studiato nella maniera corretta.

E allora perché si parla di 95% di efficacia per il vaccino Pfizer-Biontech e per quello di Moderna è ancora più alta?
Il 95% di efficacia è relativo alla protezione di un numero molto piccolo di persone che hanno sviluppato la malattia nei due gruppi, vaccinati e non vaccinati, ma se si va a calcolare i valori della riduzione del rischio, in particolare il rischio assoluto, esce che per proteggere dalla malattia 13 persone ne devo vaccinare 1000. Quindi di fatto l’efficacia non è ancora nota perché i vaccini sono stati testati principalmente d’estate, cioè in un periodo in cui l’epidemia era già finita e quindi i vaccinati non sono più stati esposti al virus.

Perché alle agenzie questo va bene?
Perché loro ragionano secondo il criterio della valutazione rischio-beneficio, cioè si confrontano quante persone muoiono di covid e quante ne muoiono da reazione avversa. Basta dire che sono sempre di più quelle che muoiono di covid. Ma il numero delle persone morte di covid non è un dato reale perché sappiamo bene che sono stati raggruppati nei decessi Covid anche tanti decessi, quanti esattamente non lo sappiamo, dovuti a complicanze per altre malattie. Quindi non possiamo utilizzarlo per la valutazione rischio-beneficio.

Quali sono le principali novità emerse dal suo studio?
Sto studiando le varie piattaforme vaccinali in maniera approfondita anche se non esaustiva perché il numero di vaccini in corso di studio è impressionante.

Tra questi ci sono anche quelli di nuova tecnologia che utilizzano mRNA?
Non sono tantissimi. La maggior parte sono vaccini a virus inattivati che usano degli adiuvanti o a subunità proteiche, cioè i vaccini classici. E poi ci sono quelli a nanoparticelle. Ci troviamo di fronte a qualcosa che non ha precedenti, per nessuna malattia abbiamo avuto un investimento del genere sullo sviluppo di piattaforme vaccinali per un solo virus.

Che idea si è fatta?
La mia impressione è che il vaccino a mRNA abbia problematiche che non consentano il suo utilizzo su larga scala. La necessità di rispettare la catena del freddo con una temperatura così bassa, -80°C, un tempo di scadenza di soli 6 mesi lo rende un prodotto commerciale molto difficile da gestire.

E qui entra in gioco il danno al Dna.
Hanno costruito mediante ingegneria genetica un pezzettino del virus che è in grado di formare anticorpi e l’hanno inserito in un vettore che permette alla cellula di riconoscerlo perché produca la proteina. È un’informazione per la cellula per produrre gli anticorpi. Sono le stesse tecniche con cui si costruiscono gli OGM, e devono rispettare la normativa applicata agli OGM. Tuttavia, questo non significa affatto che il vaccino agisca integrandosi nel DNA e modificandone la sequenza, cioè non si tratta di una terapia genica.

Quindi non ci sono modifiche al nostro Dna?
Il vaccino per funzionare non deve integrarsi nel DNA. L’mRNA non ha bisogno di entrare nel nucleo per formare la proteina. Avviene tutto nel citoplasma dove ci sono i ribosomi.

Che cosa potrebbe succedere?
Un evento, anche se poco probabile, che potrebbe accadere e che non è stato escluso dagli studi è che questo mRNA possa essere retrotrascritto e possa comunque integrarsi andando a produrre una reazione avversa. La retrotrascrizione e l’integrazione nel DNA di virus a RNA è ben descritta in letteratura e anche per il SARS-Cov-2 è stato dimostrato che nelle cellule di persone che hanno sviluppato il Covid si possono trovare integrati nel DNA dei frammenti del virus. 

Allora non funziona mutando la genetica, ma potrebbe lo stesso inserirsi?
Sì, purtroppo mancano studi effettuati per verificare in maniera accurata l’incidenza di questa potenziale reazione avversa. Il rischio più serio a mio avviso è la modificazione dell’espressione genica, cioè l’alterazione epigenetica. Se il vettore ad acido nucleico, in particolare quello ad adenovirus, entra nel nucleo, pur non integrandosi, può interagire nel DNA e interagire sulla sua capacità di espressione. È una modificazione epigenetica, che non modifica la sequenza del Dna, ma questa è potenzialmente più probabile dell’integrazione. 

Quali possono essere le conseguenze di questa modifica della capacità di espressione del DNA?
La conseguenza è lo sviluppo di nuove malattie autoimmuni o degenerative perché si potrebbero produrre proteine difettose o potrebbero non essere prodotte affatto. Se viene bloccata l’espressione di un gene fondamentale per la vita della cellula è evidente che ci sarà un danno.

Che motivazioni ha dato l’Ema sul fatto che questi test non sono richiesti?
Che il vaccino viene somministrato una tantum, al massimo uno o due richiami e non è in grado di causare ad esempio il cancro perché si parte dal presupposto che il cancro per svilupparsi debba avere un’esposizione continuativa nel corpo, ma questo va dimostrato con studi appropriati sulla capacità di causare mutazioni e di indurre tumori, cioè con studi di oncogenicità. Non sappiamo in realtà quanto sono in grado di permanere nel corpo questi vaccini e se si distribuiscono nei vari organi. 

Quali sono le tempistiche sulla protezione dall’infezione?
Per la protezione il problema è duplice: da quello che si è visto gli anticorpi sono di breve durata. E sembra che durino due o tre mesi e tendono a decadere nel tempo. Ma poi: che tipo di anticorpo si forma? Se questi anticorpi sono deboli è molto rischioso, perché favorisce il potenziamento della malattia soprattutto se uno viene vaccinato a ridosso dell’infezione. Ma come ho già spiegato prima questo è un dato che ancora non abbiamo.

Si dice però che le verifiche sull’efficacia è inevitabile che avvengano in una fase di post marketing…
Sì, è vero, e questo vale per tutti i vaccini. Anche l’antinfluenzale ha un’autorizzazione accelerata tutti gli anni e con uno studio clinico molto ridotto. Il post marketing ha però un problema: le reazioni avverse vengono raccolte per segnalazione passiva. Significa che o il vaccinato fa segnalazione di sua spontanea volontà o lo dice al medico che a sua volta segnala all’Aifa e agli enti regolatori come l’Ema. Purtroppo, i medici che segnalano alle agenzie le reazioni avverse riportate dai loro pazienti sono 1 su 10, o anche meno, cioè abbiamo una sottostima del 90% di segnalazioni di reazioni avverse.

Veniamo alla mutazione del virus. Possono influire sull’efficacia del vaccino?
Sì. Influiscono per due motivi: il primo è che sono mutazioni che avvengono nella zona della spike, la proteina utilizzata dal sistema immunitario per la produzione di anticorpi. Se la mia proteina a causa delle mutazioni ha una conformazione diversa, c’è una modificazione nella modalità con cui l’anticorpo si lega alla proteina e quindi si lega in modo molto più debole. In secondo luogo, c’è già molta letteratura sul fatto che i virus a RNA come anche il SARS-Cov-2 sono in grado di formare delle popolazioni mutanti. Gli anticorpi vaccinali prodotti da vaccini ad acidi nucleici (mRNA e adenovirus) sono molto specifici e quindi saranno favoriti nella replicazione quei mutanti che non si legano all’anticorpo. In questo modo si rischia una vaccino-resistenza.

È il caso dell’Inghilterra?
Il fatto che il mutante inglese sia comparso dopo l’inizio della campagna vaccinale, potrebbe essere una vaccino-resistenza. Questo fenomeno è molto simile all’antibiotico-resistenza, perché i virus a RNA formano una popolazione di mutanti nel corpo della persona infettata che entrano in competizione tra di loro e saranno favoriti quelli che non si legano agli anticorpi del vaccino. Questo può portare allo sviluppo di mutanti che potrebbero essere anche più contagiosi e aggressivi. La vaccinazione di massa di tutta la popolazione, in questo caso anziché portare all’effetto gregge rischia di portare all’effetto opposto, cioè alla rapida vaccino-resistenza.