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ACCORDI DIGITALI

Pornografia online: l'Islanda mette paura ai colossi del web

Le grandi multinazionali del web stanno stanziando ingenti somme per affrontare il problema della pedopornografia online. Ma è una mossa per evitare il "contagio" dell'iniziativa islandese che vorrebbe bloccare tutto il porno.

Esteri 23_06_2013
L'ex ministro dell'interno islandese O. Jonasson

Come mai Google ha deciso di stanziare 2 milioni di euro per sviluppare software in grado di “bloccare” la pornografia online con minori? (cfr. David Barrett, Google builds new system to eradicate child porn images from the web, in The Telegraph, 15 Jun 2013). E perché una ventina di altre multinazionali del web, fra cui BT, Facebook, Twitter e Microsoft, improvvisamente annunciano simili intenzioni ed investimenti? (cfr. Matt Warman, Web child porn summit: 'zero tolerance' to be announced by internet giants, in The Telegraph, 18 Jun 2013).

Ufficialmente la risposta è: perché il governo Cameron ha chiesto loro un impegno in questo senso. Forse, però, un tale attivismo e connessi roboanti annunci serviranno  ad insabbiare la ben più risolutiva proposta di soluzione al problema, che si avrebbe col bando coattivo per i minori all’accesso di contenuti pornografici in internet che un governo di sinistra, quello islandese in carica fino al 23 maggio scorso, aveva con determinazione annunciato, suscitando le reazioni delle multinazionali del web e dei vari centri ed istituti finanziati ed “affiliati” alle stesse.

Il nuovo governo di Reykjavik, formato da una coalizione fra il liberal-centrista “Partito Progressista” e l’euroscettico “Independence Party”, infatti, non si è ancora pronunciato in merito e, sul sito ufficiale del capo del governo islandese, sono del tutto assenti notizie e comunicazioni sul tema dei minori e del porno on line. Eppure il punto centrale della politica del nuovo esecutivo presieduto dal leader del “Partito Progressista” Sigmundur Davíð Gunnlaugsson consiste nel «miglioramento della condizione della famiglia islandese», un obiettivo destinato a creare, come si legge sul sito del primo ministro islandese, «un valore aggiunto per il benessere della nazione nel suo complesso» (cit. in New Icelandic Government takes office, 23.5.2013). E allora quanto di meglio per aiutare a conservare l’integrità della famiglia islandese che fornirgli uno “scudo protettivo”, per i propri figli minori, contro l’accesso alla pornografia violenta su internet? E quindi non solo interdizione alla visione di contenuti web pornografici nei quali dei minori sono coinvolti (è quello che promettono di fare le multinazionali del web), bensì un bando totale all’accesso, da parte dei minori, di qualsiasi filmato pornografico in internet, come nel febbraio scorso aveva preannunciato il ministro dell’interno del precedente governo, Ögmundur Jónasson. Il ministro “rosso-verde” aveva all’uopo istituito un gruppo di lavoro che aveva predisposto il relativo progetto di legge con l’obiettivo di bandire totalmente ai minori la pornografia online.
E allora ecco perché l’accelerazione di iniziative ed annunzi in Gran Bretagna, perché quanto succede in Islanda è da sempre osservato con grande attenzione da parte dell’opinione pubblica britannica, Paese con il quale l’isola nordica è strettamente collegata dal punto di vista sia culturale sia economico. Quindi, se il bando al porno on line fosse stato approvato dal Governo islandese, niente di più facile che anche nel Parlamento britannico si sarebbero fatte avanti proposte del genere, considerate dalle multinazionali del web una interferenza alla propria libertà di gestione (e di guadagno).
I precedenti in tale senso non mancavano perchè, per esempio, nell’aprile 2012, è stata approvata a grande maggioranza a Londra la relazione finale dell’Inchiesta Parlamentare sulla “Child Online Protection” e, in tale occasione, fu pressoché unanime fra gli operatori e l’associazionismo impegnato nel settore la conclusione è che i Provider di Servizi Internet (ISP) e il governo avrebbero dovuto fare molto di più per tenere al sicuro i bambini durante la navigazione in rete (cfr. John Flynn, Internet e pornografia. Un rapporto britannico richiede nuove misure, in “Agenzia Zenit”, 30 aprile 2012).
Tutto quello che le multinazionali del web invece propongono, per cercare di tacitare e convincere che il problema è sotto controllo senza l’intervento della politica, è l’introduzione di “splash pages”, cioè di pagine Internet che gli utenti dovranno per forza visualizzare prima di accedere a qualsiasi altra risorsa presente in quei siti censiti dalle stesse multinazionali come pedopornografici. Insomma, una sorta di equivalente informatico dell’inutile pecetta che i governi hanno fatto mettere sui pacchetti di sigarette per “salvarsi l’anima” (e non rimetterci nei processi) informando che fumare “Nuoce gravemente alla salute”. Con la differenza, però, che si sta trattando in questo caso della crescita psico-fisica delle nuove generazioni!