Pornografia diritto umano? Possibilità che inquieta
A un detenuto in Slovacchia vengono sequestrate delle riviste pornografiche. Lui ricorre alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando la violazione di vita privata e libertà d’espressione. La Cedu ha deciso di pronunciarsi sul caso. E già questo preoccupa perché il buonsenso, il dovere degli Stati di proteggere la morale, il legame pornografia-violenza e la relativa Convenzione europea avrebbero suggerito di rigettare direttamente il ricorso.
La pornografia può essere un diritto umano? Questa è la domanda a cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha accettato di rispondere e già questa scelta dovrebbe inquietarci.
I fatti di cui parliamo sono molto semplici. Un detenuto di un carcere slovacco lamenta il sequestro delle sue riviste pornografiche. E la Cedu ha deciso di pronunciarsi sul fatto, cioè se le prigioni possano legittimamente vietare il possesso di tale materiale. Il ricorrente sta scontando una pena detentiva in Slovacchia per un duplice omicidio. E lamenta di essere stato punito per aver infranto la regola carceraria relativa appunto al divieto di avere riviste pornografiche. Secondo lui, la proibizione e il conseguente sequestro violano la sua vita privata e la sua libertà di espressione.
La Cedu giudicherà quindi se l’accesso alla pornografia in prigione sia un diritto garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cui aderiscono tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa (Coe).
Il centro di studi giuridici Eclj (European centre for law and justice) ha pubblicato recentemente un dettagliato dossier (“Pornografia e diritti umani”) per informare la Cedu sulle tante ricerche scientifiche che rilevano come l’uso ripetuto della pornografia causi un rischio di dipendenza, numerose patologie psicologiche e disturbi delle relazioni. L’Eclj ricorda che «la pornografia è intrinsecamente immorale. Di conseguenza gli Stati possono, come indica la Convenzione europea, limitare alcune libertà per proteggere la morale, così come la sicurezza, la salute o i diritti degli altri. La protezione della morale è una prerogativa dello Stato riconosciuta dalla Convenzione negli articoli 8, 9, 10, 11 e 21». Inoltre, la pornografia «svaluta sistematicamente le persone e stimola la violenza, l’aggressività e persino il sadismo o il masochismo. L’umiliazione e gli abusi verso le donne - aggiunge l’Eclj - sono quasi sistematici nella pornografia», dove le donne sono presentate come “cose” sulle quali sfogare violenze e depravazioni di ogni genere.
Il buonsenso avrebbe voluto che la Cedu rifiutasse di trattare questo caso, anche perché è più che legittimo proteggere i prigionieri dagli effetti perversi della pornografia in quanto, come rileva ancora l’Eclj, «la loro solitudine e l’ozio aumentano il rischio di dipendenza. L’istigazione alla violenza impulsiva causata dalla pornografia è ancora più problematica per i detenuti colpevoli di violenza sessuale». Anche per questo, «non impedire la diffusione di materiale pornografico nei luoghi di detenzione sarebbe una violazione del dovere dello Stato di garantire la buona salute e la sicurezza dei suoi detenuti, nonché la loro riabilitazione».
Tra i tanti dati presenti nel dossier dell’Eclj sul legame intrinseco tra pornografia e violenza sessuale, si ricorda che un’analisi «dei 50 video pornografici più popolari ha rivelato che l’88% delle scene contiene violenza fisica, il 49% contiene almeno un’aggressione verbale; l’87% degli atti aggressivi perpetrati sono contro le donne e nel 95% dei casi le loro risposte sono neutre o espressioni di piacere… Questi stimoli ormonali ed esempi di comportamento violento sono ciò che porterà una parte significativa degli utenti ad aumentare i comportamenti aggressivi e dominanti. Questa conseguenza deve essere particolarmente presa in considerazione per un prigioniero in un ambiente carcerario».
È tutto drammaticamente così ovvio da far venire il sospetto sulle ragioni che hanno indotto la Cedu a dare seguito alla richiesta del detenuto slovacco. Preoccupa che negli ultimi decenni la Corte europea abbia fatto «un’applicazione molto limitata della protezione della “morale”», adducendo come ragione la tutela della vita privata delle persone.
La decisione di Strasburgo cade in un momento grave per l’industria pornografica online. Il gigante canadese del porno, PornHub, è stato recentemente costretto a rimuovere milioni di video dal suo sito (la maggior parte di quelli che erano disponibili), dopo che un’indagine aveva scoperto appunto una quantità scioccante di video con abusi su minori e vittime del traffico di sesso ospitati e sfruttati dal medesimo sito.
Questa e altre recenti vicende hanno contribuito a far crescere in tutto il mondo la consapevolezza sulla nocività della pornografia e la necessità di proteggere le persone che vi sono coinvolte, in particolare i giovani e i più vulnerabili. Lo stesso organo ‘consultivo’ del Consiglio d’Europa (Assemblea Parlamentare) è in procinto di discutere due progetti di risoluzione che raccomandano agli Stati membri di esercitare un maggiore controllo su queste piattaforme di video online, per proteggere specialmente i diritti delle donne e dei bambini.
Le preoccupazioni di Gregor Puppinck e dell’Eclj, che saranno parte ‘terza’ a sostegno del pieno rispetto della morale e dei diritti nazionali a farla rispettare, sono dunque più che fondate. Perché la Corte ha deciso di accettare il caso del prigioniero slovacco? Nella decisione delle prossime settimane non c’è solo in gioco il ‘diritto’ di possedere una rivista pornografica in cella: c’è qualcosa di ben più grave, di cui tutti dobbiamo preoccuparci.