Popolo sovrano solo se vota come piace a lorsignori
Rispetto al numero di coloro che hanno votato la Brexit, le tre milioni di firme raccolte per un nuovo referendum sono poca cosa. Sintomatiche, però, di quel sentire degli ambienti di sinistra, per i quali, come nota il sociologo Luca Ricolfi, «Il popolo è sovrano se vota “come deve». Cioè come piace a chi detiene il potere.
«Il popolo è sovrano se vota “come deve”»: così s’intitolava ieri su Il Sole 24 Ore un sorprendente intervento in prima pagina di Luca Ricolfi. Fondatore nel 2002 a Torino dell’Osservatorio del Nord Ovest (un istituto di ricerca che conduce rilevazioni sugli atteggiamenti della gente comune riguardo a economia, società, cultura e politica), Ricolfi è un sociologo di sinistra, ma non di rado sanamente critico anche nei confronti dell’area politico-culturale in cui si riconosce.
Commentando il comune sentire di questi giorni a Torino, la città dove è nato e dove vive, Ricolfi nota come la sconfitta di Piero Fassino alle elezioni comunali e l’esito del recente referendum popolare in Gran Bretagna abbiano dato spunto negli ambienti della sinistra torinese a quella che egli chiama una diffusa «animosità contro il suffragio universale». Gli stessi «che parlano con sufficienza, talvolta con disprezzo”, osserva il sociologo, «del popolo che vota Cinque Stelle o sceglie Brexit, sono prontissimi a lodarne la saggezza, la maturità democratica, la lungimiranza quando il popolo vota nel modo giusto. Gli stessi che invocano a ogni occasione la necessità di passare dalla fredda Europa dei tecnocrati, autoritaria e burocratica, alla calda Europa dei popoli, luminosa e democratica, immancabilmente si spaventano non appena, con un referendum, ai popoli viene concesso di dire la loro su qualcosa di importante». C’è insomma qualcosa che non torna sul piano della logica. «E questo qualcosa, ho l’impressione», conclude Ricolfi, «ha a che fare proprio con il concetto di popolo». E anche, aggiungeremmo noi, con l’idea stessa di democrazia.
Tutto questo vale in effetti non solo per Torino, spunto immediato delle sue osservazioni, ma per tutta l’Italia se non per tutta l’Europa. Al venir meno dei consensi proprio nel mondo di cui pretendeva di essere il rappresentante privilegiato, ovunque la sinistra reagisce mostrando il bastone: «la sinistra dice di amare il popolo, ma il popolo non ama più la sinistra. I ceti alti e medi prediligono la sinistra che però dice (o finge?) di rappresentare i ceti bassi», osserva Ricolfi. Su un giornale come Il Sole 24 Ore non si poteva pretendere che il sociologo facesse anche l’esempio delle affermazioni apertamente neo-autoritarie cui si sono lasciati andare al riguardo personaggi come l’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napoletano o Mario Monti, sua creatura politica.
A questo però nel nostro piccolo già l’altro ieri avevamo provveduto noi (clicca qui). La cosa tuttavia non riguarda la sola Italia, né soltanto personalità di primo piano. É significativa la petizione lanciata in Gran Bretagna perché si ripeta il referendum, benché il primo ministro Cameron avesse già in precedenza affermato che ciò è da escludere. Rispetto al numero di coloro che avevano votato “No” alla Brexit i tre milioni e cento mila firme sin qui raccolte con un appello via Internet non sono poi gran cosa. Tuttavia, sono sintomatiche di quel comune sentire degli ambienti di sinistra di cui si diceva. Per ambienti come questi, che comunque vanno anche al di là di tale area, il voto, la democrazia è solo una tecnica di organizzazione del consenso. Non si interpella il popolo per sapere quale sia la sua volontà. Lo si interpella perché approvi ciò che il potere vuole.
Un altro elemento sul quale sarebbe interessante che commentatori autorevoli e non prevenuti si soffermassero è lo schieramento pancia a terra per il “no” alla Brexit di tutti o quasi i grandi mass media. La vicenda ha di nuovo confermato che il grosso del sistema massmediatico internazionale si pone ormai come “cinghia di trasmissione” (per dirla con le parole di Lenin) delle decisioni di lor signori. La stampa italiana è ahimè ai primi posti di tale sconfortante graduatoria. Ciò che tuttavia ci deve preoccupare di più non sono in effetti le difficoltà del momento quanto piuttosto la mancanza di visione del ceto politico, sia di governo che di opposizione. Non si può reagire alla crisi con degli aggiustamenti. Se si vuole che l’Unione Europea non si sfasci occorre rifondarla, consegnando alla storia non solo gli attuali trattati ma prima ancora la filosofia politica elitaria, anti-democratica e tecnocratica su cui si fonda. Non basta andare a Bruxelles, e prima ancora a Berlino, a proporre novità di agenda ma senza discutere sulla struttura dell’Unione e sulla sua filosofia.
Di fronte all’entità della sfida nulla di adeguato invece viene dal centro-sinistra al governo, ma nemmeno dall’opposizione. Con il suo tipico impasto di buone intenzioni di generica matrice cattolica da un lato e dall’altro di una visione del mondo del tutto subalterna alla cultura post-giacobina, il premier Matteo Renzi brandisce adesso come grande motore della riforma dell’Ue nientemeno che il manifesto scritto a Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e altri ispirandosi alla filosofia di Kant: ossia al primo seme della crisi odierna. In realtà o si riprende la strada delle origini, quella della libertà e non della tecnocrazia, quella della storia comune e dei suoi valori prima che degli interessi, quella insomma di Adenauer, di Schuman e di De Gasperi, o si continuerà a procedere verso il baratro.