Popolo della Famiglia, una lettura diversa dei risultati
Puccetti: i voti sono stati pochi ma è l'inizio di un processo, il tradimento dei cattolici negli altri partiti giustifica il proseguimento dell'iniziativa.
Cascioli: le angolazioni con cui giudicare un voto possono essere diverse, ma i numeri restano comunque impietosi: il popolo dei Family Day non sentiva l'esigenza di un partito.
Caro direttore,
leggo l'articolo di Andrea Zambrano sui risultati elettorali del Popolo della Famiglia (PdF) e, mi permetto di dirti con tutta la sincerità che la nostra amicizia consente, di non condividerne il contenuto. Sono abbastanza fuori dalla querelle per non essere emotivamente coinvolto e sufficientemente dentro per conoscere la consecutio temporum delle decisioni. Non che la prospettiva dell'articolo non sia legittima, tuttavia non mi pare sia quella giusta. Zambrano sposa questa lettura: obiettivodel PdF era trasferire il successo dei Family day nelle urne, risultato: 0,6% a Roma; conclusione: fallimento.
Si tratta di una lettura legittima, tuttavia ad essa ne propongo un'altra. Ma chi l'ha detto che il trasferimento dalla presenza culturale alla rappresentanza politica debba essere un atto e non un processo? E in questa prospettiva prima di giudicare successi e fallimenti non è giusto dare alla valutazione il tempo necessario? Sarebbe poco saggio quel medico che vedendo che la febbre non cala dopo la prima compressa di antibiotico dicesse che la cura è sbagliata e va interrotta. Ed anche quando il miglioramento sembra che non arrivi, è sempre bene continuare ancora un po', in quello spazio che tra omissione e accanimento è occupato dall'insistenza terapeutica.
Ci si dimentica di citare un fatto: il tradimento totale dei cattolici del PD e del NCD. Ci si dimentica che, tanto per fare qualche nome che non guasta, un certo Edoardo Patriarca, già dirigente degli Scout Agesci, già portavoce del Forum del terzo settore, già editorialista di Avvenire e membro dei passati direttivi di Scienza & Vita, ha votato per divorzio breve e ha dato la fiducia al governo sulle unioni civili. Ci si dimentica che un certo senatore Lucio Romano, già vicepresidente del Movimento per la vita, già presidente nazionale di Scienza e Vita, mio collega d'insegnamento in bioetica, ha fatto altrettanto: sì al divorzio breve e alle unioni civili, anche per il viceministro Scalfarotto un matrimonio gay mascherato. Qualsiasi cosa mancasse loro per difendere il matrimonio e la famiglia con la forza della legge, non mi pare possibile sostenere che i succitati, che servono qui solo da esempio non affatto esaustivo, non sapessero quello che facevano, mancassero di formazione, o d'incentivazione e sostegno da parte del movimento di popolo.
L'analisi di quell'articolo continua a proporre come soluzione il pre-politico, una soluzione che funziona soltanto se esiste una solida cinghia di trasmissione col politico, cosa che i fatti di questa legislatura hanno mostrato essere del tutto assente. Continuando ad usare metafore a me congeniali, prescrive iniezioni senza avere siringhe. Come ha ricordato sprezzantemente Renzi, alla fine le leggi si fanno in parlamento e lui in parlamento ha i numeri. Il movimento di popolo ha funzionato in passato, ma per il combinato dei governi Berlusconi e dirigenza CEI di Ruini; oggi, dopo la pascalizzazione di quello che resta di Forza Italia e il collateralismo a Renzi della CEI galantinizzata, ha come bacino di possibili interlocutori soltanto due partiti organizzati: Lega e Fratelli d'Italia. Ma sempre come ospiti accettati, sempre necessitati a chiedere, soggetti all'umore e alle convenienze dei capi, con referenti che in qualsiasi momento possono non essere più disponibili. Senza mai una casa propria capace d'imporre in maniera contrattuale la difesa dei principi non negoziabili di cui in tanti conserviamo il prezioso insegnamento e senza potere contare sul sostegno implicito delle gerarchie.
Anzi, possiamo essere piuttosto sicuri che della nostra battaglia per la famiglia a lormonsignori non gliene frega un fico secco, come il "Matteo, sei fortissimo, i miei complimenti per tutto, vai avanti, tieni duro" del presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha rivelato in una telefonata tanto ignobilmente estorta, quanto rivelatrice. Il Popolo della Famiglia in 8 settimane ha raccolto quanto i radicali; senza Radio Radicale e senza il caravanserraglio dei testimonial radicalofili.
Molti amici hanno iniziato a cimentarsi in un campo per loro fino ad oggi del tutto estraneo, lasciamo che imparino un know how, che tessano relazioni sempre più fitte col mondo produttivo, con l'associazionismo, con i cittadini. Il PdF Ha consentito a tanti di potere esprimere un voto senza doversi turare il naso e la bocca. Non mi sembra così poco, lasciamo che crescano e che tempi e situazioni maturino. Nel frattempo portiamo avanti insieme al Popolo della Famiglia la grande battaglia referendaria che è già cominciata. Mi limito a parlare solo di chi conosco. Gianfranco Amato non è per me una conoscenza, è un amico, un grande amico, ha dato, dà e continuerà a dare tanto al movimento pro-life e pro-family. Quando ha detto di avere gettato il cuore oltre l'ostacolo, mostrava di essere ben consapevole degli ostacoli. Avremmo voluto che il parto del nuovo soggetto fosse meno travagliato, posso sbagliare, ma credo su questo molti che erano al Circo Massimo convengano, dentro e fuori dal PdF.
Tuttavia non è con le recriminazioni che si costruisce qualcosa di buono. Semmai errori ed omissioni devono insegnarci a non ripeterli e spronarci a migliorare. Come Gianfranco, vedo di fronte difficoltà immense e reiterate, tuttavia la sua intuizione che in questo contesto non sia più conveniente per la difesa di quei beni delegare, io la condivido totalmente. Se dopo avere scongiurato il tentativo di costituzionalizzare il renzismo si profilerà la possibilità di costruire una casa ancora più grande e parimenti solida sui principi, sono fiducioso che potremo contare sulla partecipazione degli uomini e delle donne del Popolo della Famiglia, così come della Bussola.
Renzo Puccetti
Caro Puccetti,
sicuramente ogni risultato può essere letto da diverse angolature, i numeri però restano impietosi. A Roma, con Adinolfi candidato sindaco e onnipresente su tv e giornali, e Amato capolista, il PdF non è arrivato a 8mila voti, lo 0,6%. Tanto per dare un'idea, a Roma c'era un'altra lista e un altro candidato sindaco che avevano un programma basato sui princìpi non negoziabili: Italia Cristiana con Fabrizio Verduchi. Su di loro non è mai stata scritta una riga, credo che a malapena qualcuno sapesse che ci fosse questa lista, nessuna associazione legata al Comitato Difendiamo i Nostri Figli l'ha supportato o ha mostrato un qualche minimo interesse per questa candidatura; non hanno neanche un loro giornale né qualcuno li ha mai intervistati o anche solo citati. Eppure hanno comunque raccolto più di 1500 voti. Al confronto è stato un trionfo.
Questo non toglie che qualcuno possa vedere nei voti raccolti dal PdF l'inizio di un cammino, ma il punto che vogliamo sottolineare è un altro. Quanti saranno stati i romani al Circo Massimo lo scorso 30 gennaio? 20, 30, 50, 100 volte più dei voti raccolti dal PdF. E lo stesso vale per i comuni andati al voto nelle altre parti d'Italia. Cosa significa questo? Anzitutto che non è vero che il popolo del Family Day nella sua globalità aspirava prima di tutto ad avere un partito di riferimento. E non è vero che il PdF è l'interprete politico unico di quella piazza. Ambedue sono i ritornelli che abbiamo sentito in questi mesi, clamorosamente smentiti dai risultati del voto.
Può essere che nei prossimi anni il PdF cresca e diventi un grande partito, per quanto personalmente ne dubiti molto, ma intanto bisogna ripartire da querlla che era la domanda fondamentale delle persone presenti ai Family Day e di quelle che lo avrebbero voluto: contare, incidere sulle decisioni politiche. Contare, non contarsi. Contare. Questo non significa necessariamente fondare un partito o spingere leader di associazioni varie a entrare in Parlamento. Proprio gli esempi che hai fatto, a cui potremmo aggiungere almeno un'altra decina di nomi di personaggi del mondo pro-family e pro-life entrati in Parlamento dal Family Day del 2007 in poi, dimostrano che certi ingressi a Montecitorio e a palazzo Madama hanno grandi probabilità di trasformarsi in delusioni.
Nell'articolo di Zambrano si citavano altre esperienze europee dove si è riusciti a contare pur senza avere un partito proprio. Forse riflettere maggiormente su queste esperienze, collegarsi con loro, sarebbe utile visto anche che la battaglia non è solo italiana: è europea, anzi mondiale.
Il che non toglie che sia legittimo pensare di fondare un partito e di perseguire questa via, ma per favore smettiamola con la pretesa che questo sia l'interprete unico autorizzato del pensiero e delle aspettative del vero popolo della famiglia.
Riccardo Cascioli