Polonia, ora l'aborto va bene anche se illegale
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Il partito di sinistra Lewica ha proposto una legge che mira a depenalizzare gli aborti illegali, anche se procurati in condizioni sanitarie lesive per la salute della donna. L’abortismo ha gettato definitivamente la maschera.
Aborto senza limiti. Questa espressione fa venire in mente a molti la possibilità di abortire fino al momento della nascita o per qualsiasi motivo. Accanto a queste interpretazioni purtroppo legittime, oggi dobbiamo aggiungerne un’altra: aborto senza limiti può voler dire anche aborto illegale. Senza limiti di legge.
La rivoluzione – perché è di questo che si tratta – viene dalla Polonia dove il partito di sinistra Lewica, che ha già depositato un disegno di legge per liberalizzare ancor di più la pratica abortiva, ha proposto una legge che mira a depenalizzare gli aborti illegali. La proposta di legge è al vaglio del Parlamento e l’8 novembre scorso ha ricevuto un primo voto a favore.
Più nello specifico questa proposta prevede l’abolizione del reato di aborto con il consenso della donna fino alla dodicesima settimana qualora l’aborto sia stato procurato da persone sprovviste di titoli medici adeguati e anche in condizioni sanitarie lesive per la salute della donna. Dunque, se passasse questa legge, chiunque potrebbe provocare un aborto e si potrebbe abortire dovunque, non solo in ospedale. Non solo: chiunque facesse propaganda per gli aborti illegali non finirebbe in carcere. Questa specifica è stata pensata per gli attivisti pro-choice (pro-scelta) che in Polonia fanno propaganda per le pillole abortive, vietate dalla legge. Infine pene mitigate per quei medici che, praticando l’aborto, hanno causato la morte della madre. Questa iniziativa parlamentare renderebbe di fatto identico per il medico procurare un aborto dentro o fuori dal perimetro legale. Nulla gli capita oggi sul versante giuridico se opera in seno alla disciplina normativa, nulla gli capiterà domani se opererà nell’illegalità. Idem ovviamente per la donna.
La proposta di legge è una svolta assai significativa nel panorama dell’abortismo perché anche il dogma dell’aborto legale, perché sicuro, cade. E con esso cade anche il pretesto della tutela della salute della donna. Per decenni la propaganda pro-choice aveva insistito sul fatto che occorresse strappare l’aborto alla clandestinità, perché quest’ultima è sinonimo di pericolosità per la salute delle donne. Legalizzare l’aborto avrebbe quindi significato tutelare la vita e la salute delle donne (eccetto quelle che sono nel ventre delle loro madri).
Il disegno di legge made in Polonia fa gettare la maschera a questa ipocrisia: ai sostenitori dell’aborto non importa nulla delle donne. Importa solo dell’aborto che deve essere praticato il più possibile. Ripetute constatazioni di questo asserto le abbiamo ogni volta che, dal comune più piccolo che esista sulla faccia della Terra a qualche organismo internazionale, viene avanzata la proposta di fornire aiuto economico alle donne con una gravidanza indesiderata. Tale proposta viene sempre attaccata dai pro-choice perché la intendono come un attacco all’aborto dato che offre alla donna un’alternativa allo stesso. Quest’ultimo deve essere allora la prima e unica scelta e quindi, come tale, non una scelta ma una imposizione, una condotta da diffondere il più possibile scavalcando anche i limiti legali. E dunque l’aborto deve attuarsi sempre anche al di fuori dei limiti di legge. Questa pratica viene quindi intesa da una parte come diritto riconosciuto dalla legge, ma su altro fronte come causa scriminante l’imputabilità per il medico, quasi fosse uno stato di necessità che scusa e legittima di fatto l’operato del professionista.
L’aborto perciò è un super diritto tanto super che merita di essere inserito nelle costituzioni nazionali e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e di essere tutelato anche al di fuori dei confini della legalità: da esercitarsi anche oltre il dato normativo e da tutelarsi anche quando si opera contra legem. Una vera contraddizione in termini che mette in luce come, per il fronte abortista, la legge è solo uno strumento da usare per i propri scopi e di cui disfarsi se non utile per questi stessi scopi.