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NUOVE DIPENDENZE

Poker on line: azzardo chiamarlo gioco

Dal 18 luglio è possibile giocare on line puntando soldi veri. "Che male c'è?" qualcuno osserva, eppure sono ci sono 700.000 dipendenti patologici.

Attualità 25_07_2011
poker

Un po’ di poker per tutti. Nei giorni scorsi un decreto del governo ha stabilito che si possono puntare soldi – e soldi veri, non quelli del Monopoli – giocando a poker sulla rete internet. E insieme al poker, arrivano anche altri giochi d’azzardo. Come tutti i provvedimenti che liberalizzano il male, anche in questo caso lo Stato ostenta il suo lato materno dettando qualche limite: c’è un tetto alla cifra che ogni utente può lasciare sul tavolo. Ma, a parte questa pietosa pecetta, resta la svolta epocale: incoraggiare la gente a spendere tempo e denaro nel gioco d’azzardo, cavandoci sopra dei soldi attraverso le tasse.

Il fenomeno aveva da molto tempo una sua legittimazione attraverso le Case da Gioco legali. Ma c’è una bella differenza fra la creazione di luoghi fisici per permettere di giocare con la roulette o il poker, e la possibilità di fare la stessa cosa collegandosi da casa propria o dall’ufficio. La stessa differenza che passa fra l’esistenza delle “case chiuse”, e la possibilità di accedere alla pornografia con un semplice clic.

Una volta il poker era un fenomeno esclusivamente cinematografico: faceva parte dell’arredamento nei vecchi saloon dei film western, dove c’era sempre qualche sfida epica al tavolo da gioco, ravvivata da qualche sparatoria finale per punire il solito baro. D’accordo, anche nel mondo reale c’era qualcuno che “giocava i soldi”. Ma si trattava di una minoranza esigua, costretta a fare le ore piccole in ambienti non sempre raccomandabili, e colpita da una solida e diffusa riprovazione sociale. Insomma: il poker non era cosa per gente normale.

Oggi ci risvegliamo in un’Italia profondamente trasformata anche sotto questo profilo: è arrivato il poker nazionalpopolare. Da qualche annetto si è cominciato a vedere in tv o sui siti dei quotidiani nazionali una singolare attenzione dei mass media per il fenomeno: rubriche, cronache “sportive”, trasmissioni sull’argomento, corsi on line per imparare tutti i segreti del gioco. Una stranezza che aveva il suo perché: introdurre quanta più gente possibile al poker. E a giocare soldi, facendo la fortuna di qualcun altro.

E’ facile notare che anche in questo caso il cambiamento dei costumi non segue una sua spontanea e ingovernabile direttrice, ma viene sapientemente orientato da chi si vuole arricchire sui vizi della gente. Costumi e consumi vanno di pari passo, e la società liberale – che non ha costruito gulag e campi di sterminio – rivela il suo volto inquietante e totalitario proprio in questa forma di sottile, terribile manipolazione delle coscienze. Ovviamente, tutti rimangono liberi di continuare a giocare a scopone e a tresette e di ignorare il poker on line. Però, intanto il sistema offre nella enorme vetrina di Internet un nuovo, appetitoso, prodotto. Un prodotto che solo fino a qualche decennio fa sarebbe stato rigettato come profondamente, intrinsecamente immorale, in base a un ragionamento molto semplice, che riprendiamo da una vecchia Filotea, di quelle che usavano le nostre nonne, nei tempi in cui le nonne non leggevano Novella 3000. Il gioco d’azzardo – spiegava il libro di preghiere – è moralmente illecito perché – checché se ne dica - non si fonda sulla bravura dei protagonisti, ma sulla fortuna. E la fortuna, nell’azzardo, non c’entra nulla con la Provvidenza. Ognuno deve guadagnarsi il necessario per vivere con il suo lavoro, e non con mezzucci ed espedienti di vario genere. Senza dire che nel poker, e soprattutto in quello on line, si annidano sempre i furbacchioni e i profittatori. Ed è qui, nei grandi numeri della rete, che i professionisti dell’imbroglio potranno fare caccia grossa, e spennare un gran numero di polli.
Ovviamente, oltre a questa lineare e semplice constatazione, si deve aggiungere che l’azzardo apre nella vita di moltissime persone una voragine terribile: quella che deriva dalla possibilità, tutt’altro che remota, di perdere un sacco di soldi sul tavolo verde. Giocare soldi significa fare debiti, e fare debiti significa diventare schiavi.

Ma alla società liberale fanno comodo uomini-schiavi. Schiavi dei loro vizi, delle loro passioni, delle cattive abitudini che trasformano una singola esperienza innocente in una droga di cui non si può fare a meno. Un rapporto Eurispes rivela che in Italia ci sono almeno 700.000 individui patologicamente dipendenti dal gioco d’azzardo online, la stragrande maggioranza dei quali è un adulto maschio over-40. Nel solo 2010 il numero di giocatori è aumentato di quasi il 30% ed è destinato a salire. Ora, di fronte a uno scenario così inquietante, una società sana interverrebbe per impedire una condotta che riduce la gente ad automi in preda al demone del gioco. O, quanto meno, non farebbe nulla per incentivarlo. Ma il famoso stato laico e secolarizzato è tutt’altro che neutrale. Predica un’idea di libertà basata sull’autodeterminazione del singolo: ogni atto che è voluto da un individuo è, per ciò stesso, morale. Che poi le conseguenze di questo atto siano devastanti per lui, per la sua donna, per i suoi figli, non importa. La scelta è già etica. E’ da questa stessa radice che si dipartono i rami contorti e orribili dell’aborto, del diritto al suicidio e all’eutanasia, e, appunto, del diritto a rovinarsi giocando soldi. L’infaticabile Tentatore osserva soddisfatto lo spettacolo di un’umanità resa indifesa di fronte a qualunque lusinga.

Se mai il diavolo ha una casacca, il suo sponsor deve essere un breve, interrogativo slogan: “Che male c’è?” La stessa domanda che si fanno gli uomini prima di iniziare la loro prima partita a poker on line.