Pnrr senza sussidiarietà a scuola: soldi troppi e mal spesi
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Non sarebbe stato meglio lasciare alle scuole la libertà di utilizzare i fondi del PNRR - che non sono "a gratis" - per interventi di risanamento edilizio, sicuramente più indispensabili? Invece verranno spesi per la digitalizzazione e per l'attuazione dell'Agenda 2030 che è un pot-pourri di luoghi comuni politicamente corretti che finiranno per demolire il tessuto economico e sociale.
Un interessante articolo pubblicato in questi ultimi giorni su un settimanale cattolico, lancia una domanda provocatoria: “E se i soldi del PNRR fossero troppi?”. Non è la prima volta, né è l’unico organo di informazione, che pone domande scottanti su questo tema. Il fatto è che sui fondi elargiti dall’Unione Europea pesano molte incognite – poiché c'è il rischio concretissimo che questi miliardi “piovuti dal cielo” possano non essere spesi o spesi male - e vi sono, all’opposto, poche certezze.
Di sicuro, ogni giorno che passa ci si rende sempre più conto che l'idea secondo cui, grazie ai miliardi "a gratis", l'Italia avrebbe rivissuto una crescita economica paragonabile a quella degli anni Cinquanta e Sessanta, era totalmente infondata. Sia perché (come ormai tutti sanno ma ancora si fa finta di non saperlo) i soldi arrivati dall'Europa sono solo prestati, e dunque vanno restituiti (ben 122,6 miliardi di debiti!); sia perché la logica con cui questi fondi arrivano e, dunque, devono essere spesi, non rispetta le esigenze reali del singolo paese cui sono destinati, ma rispecchia le priorità e gli obiettivi della Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che è un pot-pourri di luoghi comuni politicamente corretti che, se attuati, finiranno per demolire definitivamente il tessuto economico e sociale europeo.
Prendiamo, per esempio, il caso concreto della scuola statale italiana, che in questi giorni, anzi mesi, è alle prese con la progettazione per il rinnovamento digitale di aule e laboratori proprio “grazie” ai fondi del PNRR: un mare magnum di problemi, complicazioni, pastoie burocratiche, soprattutto contraddizioni. Sì, perché chi ha minimamente a che fare con la situazione della scuola italiana, non può non rendersi conto che la prima e inderogabile necessità, per ridare ossigeno al pachidermico e asfittico sistema nostrano di istruzione, sarebbe quello di una maggiore libertà e semplificazione: troppa burocrazia, troppi progetti, troppe parole d’ordine veicolate dal mainstream che poco o nulla hanno a che fare con una sana e fruttuosa formazione/educazione dei giovani; troppi docenti obbligati a fare di tutto fuorché insegnare, per poi essere accusati dell’analfabetismo di ritorno delle nuove generazioni.
E poi, ciliegina sulla torta, l’obbligo di spendere centinaia di migliaia di euro per la digitalizzazione di aule, laboratori immersivi di realtà virtuale, megalavagne digitali e visori ottici per la realtà aumentata e altre amenità tecnologiche, quando gran parte degli edifici dell’obsoleto patrimonio edilizio scolastico italiano è caratterizzata da muri cadenti, servizi igienici mal funzionanti, fatiscenti e poco dignitosi, porte e infissi malridotti, etc….
Non sarebbe stato meglio lasciare alle scuole la libertà di utilizzare questi fondi, ove necessario, per la realizzazione – ad esempio - di interventi di risanamento edilizio, sicuramente più durevoli e indispensabili, offrendo agli alunni ambienti e servizi efficienti e decorosi, anziché destinarli obbligatoriamente a tecnologie che nel giro di pochi mesi diventano già superate?
Queste ingenti somme - che, ripetiamo, dovranno essere restituite - finiranno per essere spese per cose che magari non servono realmente o sulla cui efficacia dal punto di vista educativo e didattico permangono ancora tante perplessità, costringendo i docenti a utilizzare metodologie (quando non addirittura contenuti) di cui non sono convinti e spostando il rapporto alunno-insegnante sempre più a un livello marginale.
Il problema di fondo è, ancora una volta, come ha giustamente sottolineato in una recente intervista l’ex ministro del lavoro Sacconi, che Il Pnrr segue una logica statalista e non è realmente sussidiario perché «non consente di mobilitare la società» e andrebbe dunque «riorientato su obiettivi più utili e realizzabili». Insomma, al noto e consolidato statalismo centralista del ministero si aggiunge, ora, quello di una Unione Europea sempre più incline a imporre parole d’ordine coniate in centri di potere avulsi dalle reali necessità delle persone.
La scuola, invece, da parte sua, dovrebbe essere messa in condizione di far solo e far bene – nella libertà e responsabilità - ciò per cui ha ragione di esistere, cioè istruire ed educare, senza sovraccaricarla di compiti e oneri che non le competono e che finiscono invece per concorrere a quella omologazione dei cuori e dei cervelli che pare essere, ormai, il vero obiettivo della cultura dominante.