Più militari italiani in Iraq: arrivano altri 110 carabinieri
Si allarga la missione italiana in Iraq che si avvia a diventare una delle più importanti tra quelle che vedono impegnati i nostri militari all’estero. Entro l’autunno, 110 carabinieri italiani addestreranno le forze di sicurezza irachene ampliando l’operazione “Prima Parthica”, che supererà così i 600 militari.
Si allarga la missione italiana in Iraq che si avvia a diventare una delle più importanti tra quelle che vedono impegnati i nostri militari all’estero. Entro l’autunno, 110 carabinieri italiani addestreranno le forze di sicurezza in Iraq ampliando così l’operazione “Prima Parthica” e affiancando i 280 militari dell’Esercito e delle forze speciali che già operano con compiti addestrativi a Baghdad ed Erbil (Kurdistan) e i 220 militari dell’Aeronautica basati in Kuwait con 2 droni Predatori, un’aerocisterna e 4 bombardieri Tornado impiegati per compiti di ricognizione.
La notizia dell’invio dei carabinieri a Baghdad era stata anticipata la scorsa settimana in un'intervista dalministro della Difesa, Roberta Pinotti, è stata confermata lunedì dal ministro dell’Interno di Baghdad, Mohammad al-Ghabban, al termine di un incontro con il nostro ambasciatore a Baghdad, Marco Carnelos, e con il console generale a Erbil, Patrick Mora ed ha avuto le definitiva ufficializzazione ieri con la visita a Baghdad del ministro Pinotti. «Le parti», si legge in una nota del ministero degli Interni iracheno, «hanno discusso di cooperazione nell’ambito della sicurezza e degli sforzi che l’Italia sta compiendo nell’addestramento della polizia irachena. Il prossimo autunno il numero degli istruttori raggiungerà quota 110. Questi trasferiranno l’esperienza italiana alle nostre forze di sicurezza. Le procedure necessarie alla loro ricezione sono state già poste in atto». Il ministro, che ha voluto ringraziare Roma per aver mantenuto gli impegni assunti con Baghdad nel supporto alla lotta al terrorismo e ha voluto sottolineare che «tutti siamo di fronte alle stesse sfide del terrorismo», citando l’attacco al consolato italiano al Cairo.
«Siamo di fronte a una guerra su vasta scala», ha sottolineato al-Ghabban, «che richiede lo sforzo integrato di tutti per combatterla». Il maggior impegno di Roma nell’appoggio ai governi di Iraq ed Egitto contro lo Stato Islamico, oltre all’assunzione del comando dell’operazione Eunavfor Med che dovrebbe contrastare i trafficanti di esseri umani in Libia che sono tra i finanziatori dei jihadisti, potrebbero aver indotto i terroristi ad «avvertire l’Italia con l’attentato notturno al consolato italiano a Il Cairo. Un’ipotesi credibile considerata la crescente esposizione di Roma su due fronti strategici per l’Is quali Iraq e Libia. Resta da considerare che anche in questo caso l’impegno italiano si limita a ruoli addestrativi evitando di coinvolgere forze militari nazionali in operazioni belliche contro i jihadisti. Un limite tutto politico (i nostri Tornado in Kuwait sono gli unici aerei della Coalizione a non essere autorizzati a sganciare bombe sulle postazioni dello Stato Islamico) a cui forse si è voluto riferire il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che in visita al Cairo subito dopo l’attentato al consolato ha sentito il bisogno di precisare che ««l’Italia non è guerrafondaia». Una caratteristica che a quanto pare non ci fa considerare “meno nemici” dai jihadisti peraltro avvezzi a utilizzare la violenza come strumento quasi esclusivo del loro agire.
L’Italia aveva già inviato una decina di carabinieri a Baghdad per mettere a punto i programmi addestrativi richiesti dagli iracheni che hanno bisogno di formare robusti reparti di polizia con il compito di presidiare i territori liberati dalla presenza dell’Isis prevenendo violenze e discriminazioni a danno della popolazione sunnita e di respingere eventuali azioni offensive e terroristiche dei jihadisti. Con i carabinieri l’operazione “Prima Parthica” (dal nome di una legione romana istituita in queste terre) supererà i 600 militari, un contingente simile nelle dimensioni a quelli schierati in Afghanistan e Kosovo e numericamente secondo solo a quello dislocato in Libano. Negli anni scorsi i carabinieri hanno svolto un ruolo di primo piano nell’addestramento delle forze di polizia irachene nell’ambito della “Nato Training Mission – Iraq” che lasciò Baghdad nel 2011 quando si completò anche il ritiro delle forze statunitensi. Secondo fonti ben informate il ritorno dei carabinieri in Iraq (i 110 militari, tutti appartenenti alla Seconda Brigata Mobile di Livorno, saranno dislocati 80 a Baghdad e 30 a Erbil e saranno operativi entro fine settembre) sarebbe stato chiesto direttamente dal generale John Allen, l’inviato speciale della Casa Bianca presso la Coalizione anti-Isis che aveva apprezzato il lavoro di formazione effettuato dai militari dell’Arma in Iraq e Afghanistan.
Da tempo circolano inoltre voci che l’Italia possa seguire la Gran Bretagna estendendo il teatro operativo della lotta allo Stato Islamico anche al territorio siriano. Quasi tutti i Paesi occidentali della Coalizione operano con i loro velivoli solo nei cieli iracheni così come quasi tutti i Paesi arabi della Coalizione li impiegano solo sulla Siria. I tempi e i modi di un ulteriore impegno militare italiano sono tutti da definire tenuto conto che Roma sembra voler mantenere la prerogativa di evitare un coinvolgimento diretto nelle operazioni belliche.