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EDITORIALE

Più che l'islam è da temere il relativismo

La cultura relativista rende incapaci di difendere e affermare qualsiasi punto fermo, per questo il terrorismo islamico fa così paura e si è così incapaci di affrontarlo. È l'atteggiamento degli occidentali a renderlo più pericoloso di quel che sarebbe. E tocca ai cristiani far persistere tutto il meglio della cultura occidentale. 

Editoriali 20_06_2014
Problema di identità

Essendo una cultura che rende incapaci sia di difendere che di affermare qualsiasi punto fermo, il relativismo è un lusso che ci si può permettere solo quando si è così potenti da non dover temere nulla da nessuno. Diremo, parafrasando un detto famoso di quel tale, che il relativismo è una malattia senile dell’imperialismo. Non è però questa la situazione in cui ci troviamo adesso. Sempre che non dilagasse troppo, il relativismo poteva essere sostenibile finché durava quella stagione di predominio assoluto dell’Occidente che simbolicamente terminò con i clamorosi attentati dell’11 settembre 2001 (ma che nei fatti si era conclusa già prima). Questa stagione comunque è finita. E quindi anche in piccole dosi il relativismo è oggi un pericolo. Figuriamoci dunque quanto è pericoloso nelle dosi massicce in cui ci viene attualmente propinato dall’ordine costituito sia della stampa che della pubblicità.

Una significativa conseguenza di tale stato di cose è il curioso cocktail di astrazione e di panico con cui viene trattata la questione dell’integralismo islamico. Come tutti i fenomeni analoghi che li hanno preceduti, dagli anarchici del secolo XIX ai terroristi “rossi” della fine del secolo XX, anche i terroristi di matrice integralista islamica possono fare del male ma non costituiscono un pericolo alla scala globale. Sono come il leone fuggito dal circo, che è un rischio grave per i passanti in cui s’imbatte ma non per la città nel suo insieme. E alla fine infatti non è il leone che si mangia la città. È la città che, per così dire, si mangia il leone. 

Rispetto alle dimensioni gigantesche e all’enorme superiorità tecnica, scientifica e organizzativa della società e dell’economia sviluppate contemporanee, qualsiasi movimento terrorista non ha la minima prospettiva di vittoria. Potrebbe venire spazzato via senza grandissime difficoltà; e anche la sua possibilità di nuocere è intrinsecamente limitata. Paradossalmente siamo solo noi che con il nostro comportamento e con il nostro atteggiamento la possiamo aumentare al di là dei suoi limiti propri. 

Ferma restando la necessità, anzi il dovere della vigilanza e della legittima difesa, il nocciolo della questione sta nel nostro campo. Un singolo assassino anche molto armato può venire rapidamente sopraffatto da una grande massa anche inerme. Se però questa grande massa fosse composta da persone tutte quante del tutto indisponibili al minimo sacrificio per salvare non solo se stesse ma anche gli altri, l’azione dell’assassino non troverebbe alcun altro limite se non quello dell’esaurimento delle sue munizioni.

Più che dall’integralismo islamico con tutte le sue farneticazioni, in quanto area di massima diffusione del relativismo l’Occidente ha pertanto da temere solo da se stesso. Di qui una correlativa responsabilità, anzi di una vocazione che  i cristiani occidentali hanno insieme a tutti coloro che comunque in Occidente fanno riferimento a ideali che si fondano sul cristianesimo: quella di far persistere tutto il meglio della cultura occidentale, che è poi l’architrave della cultura umana in genere, anche per conto della massa estenuata che li circonda.