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COVID E PROPAGANDA

Pio Albergo Trivulzio, capro espiatorio fin dal 1992

Pio Albergo Trivulzio, per la seconda volta, dopo Tangentopoli nel 1992, entra nel mirino. Adesso la crisi riguarda il Covid. Accusato dalle inchieste de La Repubblica di aver mandato al massacro il personale e i suoi ospiti, il Pat viene assolto dalle accuse peggiori nel rapporto della Commissione di verifica. Quindi è politica, non ricerca della verità, come nel 1992. 

Editoriali 11_07_2020
Pio Albergo Trivulzio

Pio Albergo Trivulzio, per la seconda volta nella storia recente, la più celebre casa di riposo di Milano ha fatto scandalo. La prima fu nel febbraio 1992, con l’arresto del suo presidente Mario Chiesa, per un giro di tangenti. L’inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio fu il segnale di inizio della maxi-indagine poi chiamata “Mani Pulite”, inizio della fine dei partiti della Prima Repubblica. La seconda volta è invece tuttora in corso. Si inizia ad aprile, in piena emergenza Coronavirus, con una serie di articoli su La Repubblica, a firma di Gad Lerner, che parlano di morti taciute, di insabbiamenti, poi anche di ordini criminali da parte della dirigenza. Il Pio Albergo Trivulzio, fiore all’occhiello della Lombardia, era accusato di aver mandato deliberatamente al massacro i suoi anziani degenti e di aver abusato del suo personale. Ma esattamente come nel primo scandalo, anche in questo si delinea uno scenario differente: le accuse sono soprattutto politiche e non rifletterebbero tanto una sincera ricerca della verità e delle responsabilità, quanto la volontà di colpire la classe dirigente della Lombardia. Che ieri era socialista, oggi è leghista.

Sciveva Gad Lerner, il 5 aprile, in un articolo su La Repubblica, intitolato L’occultamento della dignità: «Non era mai successo nella lunga storia del Pio Albergo Trivulzio che la cappella dei funerali venisse adibita a deposito di bare perché la camera mortuaria non riesce più a contenere le salme avvolte nel sudario. È l’epidemia, certo. Ma è anche l’esito di quella “gestione sconsiderata dell’emergenza” affiorata solo grazie al coraggio dei medici e degli infermieri che continuano a prestare generosamente la loro opera di cura nonostante le direttive assurde e il clima intimidatorio imposti loro dai vertici. Ora toccherà alla Procura di Milano e agli ispettori del ministero della Salute verificare cosa è davvero accaduto nella più grande struttura geriatrica d’Italia» (…) «È grave a dirsi, ma sorge il dubbio che le case di riposo siano state trattate alla stregua di discariche umane. In Lombardia e nel resto d’Italia. L’emergenza non può essere usata come alibi per “nascondere” simili eventuali comportamenti».

È stata pubblicata, questa settimana, la relazione finale della Commissione di verifica della gestione dell'emergenza Covid-19 presso il Pio Albergo Trivulzio (Pat), istituita l'8 aprile da Regione Lombardia e Comune di Milano. Presidente della Commissione è il direttore sanitario dell’Ats di Milano Vittorio Demicheli. Il documento è stato redatto dopo 23 riunioni, 16 audizioni e l'analisi di oltre 1.400 documenti. La commissione è giunta a tre conclusioni che hanno di fatto assolto il Pat dalle accuse più infamanti.

Primo: «Nella documentazione disponibile non si sono reperiti riscontri circa gli asseriti ordini impartiti a taluni operatori di non indossare dpi (dispositivi protettivi individuali, come le mascherine, ndr) che non fossero stati forniti». Quindi, nonostante le accuse diffuse a mezzo stampa in aprile, in cui si parlava chiaramente di “ordini” di non indossare mascherine e altri dispositivi protettivi, la Commissione è giunta alla conclusione che non vi sono prove in merito.

Secondo: Damicheli spiega: «già alla fine di febbraio, pur non avendo una convalida diagnostica certa». Quindi cade l’accusa rivolta alla Regione Lombardia di aver provocato il contagio, ordinando alle strutture sanitare di trasferire degenti nelle Rsa. Quell’ordine già andrebbe ridimensionato nella sua portata: i trasferimenti avvennero solo su base volontaria e in strutture che avessero saputo isolare i pazienti, e sono stati molto pochi, in realtà.

Terzo: la mortalità registrata tra gli ospiti del Trivulzio (si parla comunque di circa 300 decessi solo nel periodo gennaio-aprile) è «molto inferiore» rispetto alla media delle altre Rsa del territorio dell'Ats Milano e «di poco superiore» alla media delle morti tra la popolazione generale over 70 della stessa Azienda territoriale.

La presentazione del rapporto della Commissione non pone ancora la parola “fine” alla vicenda. Come afferma lo stesso Demicheli, «Spetterà alla Procura evidenziare eventuali responsabilità» fra i dirigenti. Per ora di responsabilità ne emergono alcune, il rapporto parla di “fattori critici” esterni e interni. Esterni: «la scarsa disponibilità di dpi e la difficoltà di un loro reperimento»  e «l'indicazione ministeriale di effettuare i tamponi nasofaringei» per la ricerca del virus «solo all'ingresso in ospedale». Interni: «un elevato tasso di assenteismo del personale, anche prima dell'emergenza sanitaria, che ha raggiunto dimensioni tali da rendere difficoltoso non solo il rispetto di regole e procedure ma gli stessi livelli di assistenza». Su circa 900 operatori gli assenti all'inizio dell'emergenza erano il 30%. Mentre hanno raggiunto il 57% nel periodo dell'epidemia e i lavoratori Covid positivi, erano il 9%.

Sull’assenteismo, il sindacato Cgil difende gli operatori sanitari. «Alcuni lavoratori erano a casa perché convivevano con persone positive al Covid e quindi dovevano stare in isolamento», spiega Piero La Grassa, delegato della Cgil al Trivulzio, «altri erano in malattia per motivi non riconducibili al Covid ma non potevano rientrare senza un certificato che attestava non avessero il virus. Per rientrare bisognava aspettare l’esito del tampone, ma i tamponi non c’erano. Io ho avuto il test nella prima settimana di maggio, alcuni lavoratori sono stati costretti a restare a casa anche 40 giorni in attesa del tampone, lo definirei un assenteismo forzato».

Una caduta di stile per la Commissione quando si è detto che: «la malattia ha solo accelerato di qualche mese il decesso dei più fragili». E la reazione dei parenti delle vittime è stata comprensibilmente dura, soprattutto quella dei figli di genitori settantenni che godevano ancora di uno stato di salute stabile, prima di contrarre il Covid.

Però non c’è stato “insabbiamento”, neppure un “occultamento della dignità”. Dal rapporto sul Pat non emerge che la casa di riposo milanese fosse “una discarica”. E le colpe che sono finora emerse non coinvolgono la Regione, il suo presidente Fontana, il suo assessore Gallera. Non c’erano mascherine, perché mancavano in tutta Italia. Non c’erano i tamponi, perché non li si poteva fare a causa di direttive del governo centrale. Citare il Pio Albergo Trivulzio, ricordando i tempi di Tangentopoli, per cercare di travolgere il sistema politico lombardo è un’operazione puramente politica. Non chiamiamola ricerca della verità.