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TERRA SANTA

Pierbattista Pizzaballa torna a Gerusalemme

Dopo dodici anni di custodia della Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa viene mandato, da Papa Francesco, di nuovo a Gerusalemme. Questa volta in veste di amministratore apostolico del patriarcato latino della città santa. Una scelta che lascia l'amaro in bocca al clero arabo, "Tuttavia so bene che è Lui che chiama e manda e in Lui confido", risponde Pizzaballa

Ecclesia 25_06_2016
Pizzaballa e Papa Francesco

«Molti mi chiedono del mio futuro, quali programmi faccio. Sono un frate ed - è vero - come tutti faccio dei programmi, ma un frate è anche figlio dell’obbedienza. Verrà il momento in cui qualcun altro mi dirà come Gesù a Pietro dove andare. Ed è bene che sia così».

Pochi giorni fa il Christian Media Center di Gerusalemme (da lui fortemente sostenuto in questi anni) mandava in onda al posto del suo settimanale TgTerraSanta uno speciale dedicato a padre Pierbattista Pizzaballa. Un ringraziamento al Custode per i suoi dodici anni conclusi alla guida della provincia francescana di Gerusalemme a cui per motivi è affidato il ministero pastorale nei Luoghi Santi. E che si apriva con un'intervista di bilancio in cui era lo stesso francescano bergamasco a parlare in questi termini del suo futuro. Nonostante fossero già girate voci su un suo possibile futuro al patriarcato latino di Gerusalemme, lui le aveva smentite. E - mentre registrava quell'intervista – probabilmente non immaginava che quell'obbedienza l'avrebbe portato di nuovo così in fretta nella Città Santa.

Da ieri, dunque, padre Pierbattista Pizzaballa è il nuovo amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme. Così ha deciso papa Francesco con una scelta che - non è un mistero - ha lasciato dell'amaro in bocca tra il clero arabo locale, deluso per il ritorno a una guida «esterna» dopo gli episcopati di Michel Sabbah e Fouad Twal. Non è passato inosservato ieri il silenzio di Twal, del tutto inusuale in una circostanza del genere. E lo stesso Pizzaballa, nel messaggio inviato ai fedeli del patriarcato latino di Gerusalemme subito dopo la diffusione della notizia della sua nomina, ha evocato questo tipo di freddezza: «Posso comprendere le tante vostre domande e forse anche qualche perplessità - scrive -. Tuttavia so bene che è Lui che chiama e manda e in Lui confido. “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12, 9). Torno a Gerusalemme con il desiderio di servire innanzitutto il clero locale e tutta la comunità, chiedendo a tutti comprensione, amicizia e collaborazione». 

Giunge, dunque, alla guida del patriarcato padre Pizzaballa, ma da amministratore apostolico sede vacante. Il che - nel linguaggio del diritto canonico - significa «fino alla nomina di un nuovo patriarca». Elevandolo però alla dignità di arcivescovo (verrà ordinato a Bergamo il prossimo 10 settembre), papa Francesco gli ha affidato lo stesso un mandato forte e pieno. Ha scelto un traghettatore, papa Francesco, per la Chiesa latina della Terra Santa. Un uomo ancora giovane (51 anni), ma già di grande esperienza per via degli anni trascorsi alla guida della Custodia. Ma soprattutto un uomo che - in un contesto così difficile come il Medio Oriente di oggi – ha sempre dimostrato una grandissima libertà, al di là di ogni appartenenza.

Quando dodici anni fa venne eletto Custode una delle prime sue affermazioni che fecero sobbalzare i cristiani della Terra Santa fu che i francescani non sarebbero stati il ministero delle costruzioni. Erano gli anni del grande esodo dei cristiani da Gerusalemme e in quel contesto la Custodia si era fatta promotrice dell'edificazione di appartamenti su terreni di sua proprietà per scoraggiare la fuga delle famiglie cristiane. Quella frase non era in realtà l'annuncio dell'abbandono di una strategia (le case poi le costruì anche lui); ma ciò che stava a cuore a padre Pizzaballa era mettere l'accento sull'assunzione di responsabilità da parte dei cristiani. E sulla necessità di una presenza dei frati che puntasse realmente sulle «pietre vive» della Terra Santa.

Con il suo arrivo al patriarcato la scena in qualche modo si ripete. Il Medio Oriente sta cambiando e  anche Gerusalemme si trova a dover fronteggiare sfide nuove. Gli estremismi - di ogni matrice - sono in crescita nella Città Santa, come mostrano drammaticamente l'intifada dei coltelli ma anche le ripetute profanazioni delle chiese da parte di movimenti della destra ebraica. Anche il volto stesso della comunità latina della Terra Santa sta cambiando: a differenza di quando nel 1987 Giovanni Paolo II nominò Michel Sabbah come primo patriarca non italiano, oggi la Chiesa di Gerusalemme non è più solo araba. È fatta anche da decine di migliaia di lavoratori immigrati cattolici filippini, indiani, cingalesi, sudanesi che in Israele hanno preso il posto dei palestinesi. Come tenere insieme davvero questo volto nuovo con le parrocchie della Palestina o con le comunità della Giordania, in prima linea nell'accoglienza ai profughi in fuga dalle guerre vicine? Come non restare imprigionati nei progetti sulle strutture e diventare invece anche a Gerusalemme una Chiesa realmente «in uscita»?

Il Papa mostra di aver fiducia nell'autorevolezza e nella libertà di padre Pizzaballa per far crescere un'unità nuova intorno a Gerusalemme. Ma è una sfida che non si prospetta né facile né breve per l'ex Custode. «La salvezza ha la “forma” dell’incontro - ha scritto ieri in un altro passaggio del messaggio ai fedeli del patriarcato -. Assecondando l’invito di Papa Francesco, vorrei che ripartisse da Gerusalemme, da questa Terra santa e ferita, per noi e per tutta la Chiesa, la capacità di incontrarci e di accoglierci gli uni gli altri, costruendo strade e ponti e non muri: tra noi e il Signore, tra vescovi e preti, tra preti e laici, tra noi e i fratelli delle diverse chiese, tra noi e i fratelli e amici ebrei e musulmani, tra noi e i poveri, tra noi e quanti hanno bisogno di misericordia e di speranza. Solo così potremo rispondere pienamente alla speciale vocazione universale della Chiesa di Gerusalemme, Chiesa dei Luoghi Santi». Non sembra affatto il programma di qualcuno destinato a rimanere per un breve periodo di supplenza sulla cattedra del patriarcato.