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IL GIUBILEO LETTERARIO / 5

Petrarca al Giubileo senza Papa

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Fu un singolare Anno Santo quello del 1350, indetto da Clemente VI che però rimase ad Avignone. E fu singolare anche per il poeta che, diviso interiormente, vi sperimentò un profondo cambiamento interiore.

 

Cultura 02_12_2024

Per tanti decenni Petrarca vive una spaccatura interiore: da un lato il poeta vorrebbe amare Gesù e seguire con fedeltà la strada che ha intrapreso con gli ordini minori, dall’altro sente che il suo io è tutto trascinato dalla passione per Laura che lui sente peccaminosa.
Il Canzoniere delinea la storia ideale del Petrarca, dal peccato alla conversione in un percorso ideale dell’homo viator dalla selva oscura fino all’incontro con Cristo.

C’è un sonetto nella raccolta in cui emerge forte la contrapposizione tra il poeta che vive il proprio pellegrinaggio sulla terra solo alla ricerca di Laura e un pellegrino che con fede e risolutezza parte per Roma per vedere il santo volto di Cristo sul sudario chiamato Veronica, prima di morire. Si tratta di Movesi il vecchierel canuto et biancho (Canzoniere XVI).

Il vecchierello è mosso da un desiderio vivo, espresso dal ritmo rapido del primo verso, dal quel verbo «movesi» in cui la particella atona «si» appoggiandosi in maniera enclitica al verbo non ferma il ritmo, ma al contrario lo ravviva. Nella mente del lettore si stampa la tenera immagine del vecchio, sottolineata dalla forma vezzeggiativa e da quella dittologia sinonimica («canuto et biancho») che è senz’altro una delle cifre più caratteristiche della poesia petrarchesca. La stanchezza ben presto sembra prendere il sopravvento per il peso degli anni: «rotto dagli anni, et dal camino stanco», il vecchio cerca di sopperire alla mancanza di forze con la volontà.

L’equilibrio e l’armonia del verso sono il tentativo del poeta di trovare quella serenità cui tanto aspirava nella vita reale. Nelle terzine il vecchierello giunge finalmente a Roma a contemplare quel volto di Gesù che spera di rivedere in Paradiso. Non vi è traccia di Laura o del sentimento amoroso del Petrarca finora.

Il finale ci riserva una sorpresa. Il poeta paragona quel vecchierello che va in pellegrinaggio per contemplare il volto di Gesù a se stesso che gira per le strade o per i luoghi conosciuti per cercare «la disïata […] forma vera» di Laura, la sua «Veronica». La similitudine è quasi sacrilega e Petrarca sembra esserne cosciente, perché dedica undici versi al vecchierello e tre versi a se stesso. L’uomo medioevale è cosciente di essere un pellegrino verso la vera patria, in un viaggio lineare, ascendente che lo porterà al Cielo. Petrarca sembra incapace di intraprendere questo viaggio, calpestando strade in un percorso circolare che lo induce a ritornare negli stessi luoghi, in maniera quasi ossessiva alla ricerca di quel volto che ha idolatrato.

Uscirà mai da questa situazione? Che cosa può strapparci dal nostro io che rimarrebbe così fermo, irretito dai propri idoli e incapace di muoversi?
Solo un fatto, un avvenimento, un incontro rimettono la sua persona in cammino, lo strappano dalla sua tristezza e lo rinnovano. Lo racconta Petrarca in una lettera appartenente alle Seniles in cui si sofferma sulla grazia ottenuta dal Giubileo:

Già da molti anni, ma spezialmente dal Giubileo in poi, da cui questo che corre è il diciassettesimo, benché ancora robusto delle forze, io da quella peste così libero sono rimaso che l’ho adesso in abbonimento ed in odio mille volte più di quanto prima mi piacque: per modo che se quelle turpitudini talora mi tornano alla mente, io mi sento compreso di vergogna e di orrore. E che io dica il vero lo sa Cristo mio liberatore, che dalle frequenti mie lacrime commosso, stese a me misero e piangente la destra, e si degnò a sé sollevarmi.

Sono passati ben diciassette anni dal Giubileo del 1350 cui Petrarca ha partecipato. Al papa Clemente VI Petrarca aveva scritto chiedendo di riportare la curia a Roma e di indire il Giubileo per il 1350. Proclamato da papa Clemente VI con la Bolla Unigenitus Dei filius, pubblicata nel 1349, il secondo Giubileo della storia concede il perdono a quanti si rechino a Roma a visitare le Basiliche di San Pietro, di San Paolo e di San Giovanni in Laterano. La stessa Bolla stabilisce che il Giubileo venga celebrato ogni cinquant’anni. Le ragioni, sostiene il pontefice, sono legate alla brevità della vita dell’uomo, che deve avere la possibilità di purificarsi e rimettere i peccati durante la sua vita. Anche gli Ebrei, tra l’altro, hanno sempre celebrato il Giubileo con questa cadenza temporale.

Nel 1350 dopo la terribile peste nera gli abitanti di Roma ammontano a ventimila, molti dei quali danno la disponibilità per ospitare i pellegrini attesi per quell’anno: circa un milione e duecentomila.
Il Papa indice il Giubileo da Avignone. La curia papale si trova lì dal 1305. A Roma si recano il re d’Ungheria I, santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena. Anche Francesco Petrarca, incoronato poeta nel 1341, il personaggio più noto del secolo, secondo il suo celebre biografo Wilkins, vi si reca in pellegrinaggio. Papa Clemente VI, invece, non si reca a Roma per il Giubileo, inviando al suo posto il cardinale Annibaldo Caetani di Ceccano. Per questa ragione il secondo Giubileo è noto come il «Giubileo senza Papa».

In una lettera delle Familiares (XI,1) indirizzata a Boccaccio Petrarca annota:

Venni a Roma per la prima volta 14 anni fa, non meno per un incalzare di coincidenze che per il desiderio di vederla; qualche anno dopo il dolce desiderio – forse immaturo – dell’incoronazione poetica mi attirò a Roma per la seconda volta; ragione del terzo e quarto viaggio fu la pietà per amici illustri […] Questo è il mio quinto pellegrinaggio romano, di tanto più felice degli altri quanto è più nobile la cura dell’anima che del corpo, e tanto più desiderabile la salvezza eterna che la gloria umana.

Durante il viaggio iniziato da Avignone, il poeta è colpito dal calcio di un cavallo che gli rompe la tibia ed è costretto a fermarsi a Viterbo per alcuni giorni. Poi riprende la strada verso Roma.

Nella lettera delle Seniles Petrarca ricorda bene il cambiamento che ha provocato in lui l’Anno Santo. Per anni ha sentito il passaggio del tempo: gioiva se era considerato più giovane di quanto fosse, mentre si rattristava se gli avessero attribuito più anni. Ora ha raggiunto da tempo la vecchiaia. Ricorda infatti Petrarca che Cicerone aveva posto il principio della vecchiaia a quarantasei anni, altri lo avevano posto a cinquant’anni, sant’Agostino a sessanta (forse perché era forte e in salute). Naturalmente oggi non parleremmo più in questi termini sull’inizio della vecchiaia. Petrarca scrive la lettera a sessantasette anni quando ormai vive da tempo la piena vecchiaia (in base a quell’epoca). Eppure può confessare che ha trovato piacevole questa età «feconda per me di buoni frutti, quanto quella [la giovinezza] era ricca di vaghi fiori».

Il poeta riconosce che ora non teme più la vecchiaia e la morte: «Tutto mi affido a Colui che me inconsapevole chiamò a questa vita, m’ebbe caro fin nella chiostra dell’utero materno, mi coperse finora del manto della sua misericordia».
Ora guarda la morte come effetto naturale e trova il suo conforto nella speranza dell’immortalità e della risurrezione.



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