Persecuzioni, la Cina rossa è sempre nemica di ogni fede
Una nuova indagine sulla libertà religiosa, stilata dal Dipartimento di Stato americano, registra i miglioramenti in Uzbekistan e ricorda la buona notizia della liberazione di Asia Bibi, cattolica pakistana. Rimane grave la situazione in Iran, dove il regime reprime con durezza i cristiani, e ancor più in Cina, dove il Partito Comunista non tollera nessuna religione.
Lo scontro fra l’Amministrazione americana guidata da Donald J. Trump e la Cina neo-post-comunista di Xi Jinping è di natura commerciale, ma non solo. L’oggetto del contendere è anche una concezione antitetica della convivenza umana e dell’esercizio del potere politico. Ovvero, gli Stati Uniti sono rimasti gli unici a contestare apertamente la Cina sugli incarceramenti ingiustificati, le violenze, le torture e le uccisioni con cui essa reprime milioni di cittadini, specialmente se credenti o appartenenti a minoranze etniche.
Fa testo il nuovissimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, stilato dal Dipartimento di Stato guidato da Mike Pompeo e di cui perno fondamentale è l’Office of International Religious Freedom diretto dall’ambasciatore degli Stati Uniti per la libertà religiosa nel mondo Sam Brownback, che proprio contro la Cina punta il dito.
Questo Rapporto non è peraltro da confondere con quello, altrettanto importante, pubblicato in aprile dalla Commissione statunitense sulla libertà religiosa nel mondo (United States Commission on International Religious Freedom), un organismo indipendente del governo, creato nel 1988 per monitorare la situazione internazionale. Assieme sono però, su questo argomento di importanza capitale, i due documenti più impegnativi.
Ora, nel Rapporto del Dipartimento di Stato non c’è evidentemente solo la Cina. Come ha detto il segretario Pompeo, l’Amministrazione Trump ha molto a cuore la libertà religiosa. E pure Pompeo stesso, che in pubblico, presentando il Rapporto, ha ricordato il proprio passato da catechista e da diacono protestante, cosa che «[…] potrebbe suonare strana a un mucchio di gente qui nella capitale. Ma sono uno dei milioni di americani e dei miliardi di persone nel mondo che vivono riconoscendo l’esistenza di un potere superiore. Spesso rifletto con umiltà sul modo in cui la Provvidenza di Dio mi abbia guidato a questo incarico, per difendere questa causa. E penso a come, da statunitense, ho avuto la benedizione di godere del diritto senza restrizioni alla libertà religiosa, che qui negli Stati Uniti è la nostra prima libertà». Parole importanti dall’uomo che, per alcuni versi, è, talvolta, persino più potente dell’uomo più potente del mondo, ossia l’inquilino della Casa Bianca.
Qualche buona notizia nel Rapporto comunque c’è. Seppur ancora molto ci sia da fare, per la prima volta in 13 anni l’Uzbekistan esce dal novero dei Paesi che destano particolare preoccupazione: negli ultimi 12 mesi 1.500 prigionieri per motivi religiosi sono stati liberati, e a 16.000 persone presenti nelle liste di proscrizione (sempre a motivo della fede) adesso è permesso viaggiare. In Pakistan - Pompeo lo ha ricordato apertamente - la cattolica Asia Bibi è stata prosciolta dall’assurda accusa di blasfemia, e la cosa le ha salvato la vita, benché altri 40 accusati di quello stesso reato siano stati condannati a morte o all’ergastolo. E la Turchia ha finalmente rilasciato il pastore Andrew Brunson, imprigionato solo per la fede che professa.
Le note dolenti riguardano invece l’Iran, dove il regime reprime con durezza i cristiani e il movimento Baha’i, la nuova religione nata in seno all’islam che conta milioni di appartenenti in tantissimi Paesi del mondo. O la Birmania, dove continua la persecuzione dei Rohingya. Né manca la Russia, dove per esempio i Testimoni di Geova vengono assurdamente trattati come terroristi. Ma appunto è la Cina a fare la parte del leone, occupando, nel Rapporto, la parte più ampia e ricca di dettagli.
Gran parte del tema è esaurito dallo Xinjiang, la vasta regione nordoccidentale dove uiguri e kazaki vengono perseguitati perché non abbastanza “cinesi” e perché musulmani. Il Rapporto cita i due milioni di persone detenute nelle strutture eufemisticamente chiamate “campi per la trasformazione attraverso l’educazione”, ma sono numeri relativi al 2018; oggi, a metà 2019, diverse fonti affermano che il numero è salito a tre milioni. E il vecchio stratagemma di giustificare la repressione con la scusa della lotta al terrorismo non tiene: solo una parte minima, e isolata, degli uiguri è riconducibile a organizzazioni terroristiche, e il sentimento filoamericano di tutta la diaspora uigura è palpabile. Del resto, se a difenderne la causa è il Dipartimento di Stato americano...
Poi ci sono le Chiese domestiche, ovvero tutta la galassia protestante che sfugge al controllo esercitato dal regime attraverso la Chiesa delle Tre Autonomie, una delle cinque sigle create da Pechino per addomesticare la fedi. La Chiesa delle Tre Autonomie fu organizzata per i protestanti nel 1951, ma ci sono anche l’Associazione buddhista cinese (1955), l’Associazione islamica cinese, l’Associazione taoista cinese e la ben nota Associazione patriottica cattolica cinese (tutte fondate nel 1957). La pressione sulle Chiese domestiche, per spingerle a conformarsi allo Stato, è enorme, e se esse un po’, fra vessazioni di ogni genere, resistono, lo si deve al fatto che il loro numero è enorme e la loro ramificazione estesissima.
Quindi ci sono i cattolici, oggetto dell’Accordo segreto e provvisorio firmato dalla Santa Sede e dalla Cina nel settembre 2018. Il Dipartimento di Stato non è pienamente convinto delle sue virtù e lo spiega citando le forti critiche espresse dal vescovo emerito di Hong Kong, cardinale Joseph Zen Ze-kiun. Del resto è semplice constatare come i cattolici continuino a essere arrestati, “rieducati” e vessati affinché aderiscano alla scismatica “Chiesa patriottica” e come le chiese continuino a essere demolite.
Infine ci sono le “religioni proibite” (come se le altre fossero “permesse”), ovvero quei nuovi movimenti religiosi che Pechino definisce malvagi, come se un regime ateo e materialista avesse il diritto di stabilire quali siano le “religioni buone”. Si tratta del Falun Gong, del gruppo religioso fedele alla dea Guanyin e dello Zhong Gong (una disciplina basata su pratiche ed esercizi collegati alla medicina tradizionale cinese e in parte alle arti marziali), ma anche di gruppi di derivazione cristiana come gli Shouters, la Chiesa di Dio Onnipotente, la Society of Disciples, la Full Scope Church, la Spirit Sect, la Chiesa del Nuovo Testamento, i Tre gradi di servitori, l’Associazione dei Discepoli, il gruppo Lord God, la Established King Church, la Federazione familiare per la pace e l’unificazione del mondo, la Famiglia dell’amore e la South China Church.
Alcuni di questi gruppi, diversi dei quali numerosi e diffusi, e per questo odiati e “temuti” dal Partito Comunista Cinese, patiscono violenze quotidiane in numero enorme senza che fuori dalla Cina se ne sappia granché. Torture raccapriccianti, stupri, umiliazioni corporali e psicologiche di ogni tipo, e diverse morti sospette in guardina si susseguono mentre il resto del mondo stringe accordi commerciali con Pechino. Il documento del Dipartimento di Stato americano li nomina tutti e prospetta di sostenerne la causa. Davvero il PCC, afferma in sostanza il Rapporto, non fa differenze teologiche e non discrimina il nome che i gruppi di credenti danno a Dio pur di perseguitare tutti proprio a causa di Dio. Accadrà qualcosa di nuovo sul fronte orientale ora che gli Esteri americani si sono pronunciati in modo tanto netto?