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CON LA SCUSA DEL COVID?

Pericoli dello smart working e protesta dei sindacati

Pensare come il governo che lo smart working sia un bene è difficile: le imprese hanno sperimentato sui loro bilanci il peso delle perdite derivanti dal malfunzionamento della burocrazia. Alcuni lavoratori non hanno più limiti di orario, mentre i datori di lavoro non riescono a controllare i fannulloni. I sindacati sono sul piede di guerra e minacciano uno sciopero nelle prossime ore contro il decreto.

Attualità 24_10_2020

Il prolungamento dello stato d’emergenza fino al 31 gennaio 2021, salvo ulteriori proroghe, ha spianato la strada a una massiccia estensione dello smart working. Per ridurre i rischi di contagio, decongestionare i trasporti pubblici e consentire al Paese di andare avanti anche in epoca Covid, le imprese e le pubbliche amministrazioni hanno varato strategie di implementazione del lavoro a distanza.

Proprio qualche giorno fa, il Ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone ha firmato il decreto ministeriale sullo smart working, che attua le norme del decreto Rilancio, alla luce dei Dpcm del 13 e 18 ottobre 2020 che impongono nuove misure restrittive per il contenimento del Covid.

Il decreto segue il Protocollo tra Ministero per la Pubblica Amministrazione e Inail in merito all’applicazione del lavoro agile nel settore pubblico: "Ciascuna Amministrazione pubblica, con immediatezza –si legge nel decreto - assicura su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale lo svolgimento del lavoro agile 'almeno al 50%' del personale impegnato in attività che possono essere svolte secondo questa modalità. Può farlo in modalità semplificata ancora fino al 31 dicembre 2020. Gli enti, tenendo anche conto dell’evolversi della situazione epidemiologica, assicurano in ogni caso le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le loro potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato".

Il decreto introduce nella rotazione del personale "criteri di priorità che considerino anche le condizioni di salute dei componenti del nucleo familiare del dipendente, della presenza di figli minori di quattordici anni, della distanza tra la zona di residenza o di domicilio e la sede di lavoro, ma anche del numero e della tipologia dei mezzi di trasporto utilizzati e dei relativi tempi di percorrenza", come si legge nella nota del Ministero. Inoltre, "data l'importanza della continuità dell'azione amministrativa e della rapida conclusione dei procedimenti", vengono individuate "fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita rispetto a quelle adottate".

Il senso è chiaro: più lavoro agile per evitare un nuovo lockdown. Obiettivo del decreto, a fronte dell’escalation dei contagi, è trovare una sintesi tra l’esigenza di contrasto alla pandemia e la necessità di continuità nell’erogazione dei servizi pubblici per tutti i cittadini. La filosofia è quella di una massima flessibilità nello svolgimento delle attività professionali, con turnazioni e alternanza di giornate lavorate in presenza e da remoto, comunque nel rispetto delle misure sanitarie e dei protocolli di sicurezza. La flessibilità, come detto, riguarda in primo luogo gli orari in entrata e in uscita, anche per scaglionare gli ingressi negli uffici e le presenze a bordo di autobus, metropolitane e mezzi pubblici.

Ma per una serie di ragioni questi buoni propositi non sono stati sempre realizzati nei mesi scorsi e ben difficilmente lo saranno anche nel prossimo futuro. Spesso non è stata garantita l’accessibilità ai servizi, e anche la qualità nell’erogazione degli stessi ha lasciato molto a desiderare.  Anzitutto le imprese sono scettiche perché hanno sperimentato sui loro bilanci il peso delle perdite derivanti dal rallentato funzionamento della macchina burocratica statale, già in affanno prima della pandemia. In secondo luogo i sindacati sono sul piede di guerra e minacciano uno sciopero nelle prossime ore contro il decreto, che reputano “irricevibile”. In terzo luogo sono tantissimi i lavoratori che, per ragioni di scarsa connessione o per difficoltà logistiche o per analfabetismo digitale, non si sono ancora adeguati alle nuove modalità di svolgimento della loro attività.

Ma a preoccupare il Ministro Dadone è, ora come ora, l’agitazione minacciata dalle principali sigle sindacali del pubblico impiego. "Il provvedimento adottato - lamentano le rappresentanze sindacali dei dipendenti pubblici Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uilpa -  non dà risposte ai lavoratori sullo smart working, dà strapotere ai dirigenti su aspetti che oggi sono regolati dalla contrattazione, e non prevede che le misure siano adottate tramite accordi con il sindacato, ma si affida alla bontà del dirigente che potrà attivare il confronto con i rappresentanti sindacali".

La replica del Ministro non si è fatta attendere: "La situazione pandemica in questo momento rendeva difficilmente percorribile la strada di un accordo ad hoc. La sperimentazione sullo smart working era iniziata da molto tempo, eppure non si era ancora raggiunto il tetto del 10% disposto dai decreti Madia. Invece con la pandemia c’è stato un passo in avanti obbligato, abbiamo dovuto fare di necessità virtù. La digitalizzazione però è lo strumento, non è il fine: il fine è il lavoro di risultato. Non nego che ancora ci sia tanto cartaceo, ma nulla impedisce ai dipendenti di entrare a prendere i fascicoli che poi servono a lavorare da remoto. E’ il processo che va riorganizzato nel suo insieme".

Le preoccupazioni dei rappresentanti dei lavoratori non sono infondate. Da una parte c’è il rischio che i fannulloni la facciano franca lavorando da casa e organizzando le loro giornate in modo autonomo, opportunistico e parassitario, anche a causa della mancanza di un incisivo coordinamento delle funzioni, che spesso si può realizzare solo nei luoghi di lavoro. Dall’altra c’è il concreto pericolo che l’arbitrio di chi deve valutare il lavoro dei suoi dipendenti accresca le disuguaglianze, livelli ulteriormente le valutazioni e azzeri definitivamente ogni speranza di meritocrazia. Insomma, i parametri di misurazione della produttività e quindi di valorizzazione delle performance dovranno essere stabiliti in modo condiviso con le rappresentanze dei lavoratori e con criteri di equità e lungimiranza.

E poi ci sono tutta una serie di preoccupazioni per la gestione dei carichi di lavoro. Al lavoratore devono essere garantiti i tempi di riposo e la disconnessione, cioè il diritto di non essere reperibile fuori dagli orari stabiliti per contratto. E invece, soprattutto durante il lockdown, ci sono stati molti abusi nei riguardi di dipendenti pubblici e privati, che si sono visti contattare dal superiore gerarchico o dal datore di lavoro anche nei week-end per riunioni on line di riallineamento e perfino per l’erogazione di prestazioni ai clienti.

Infine, il tema della sicurezza e della privacy. In epoca Covid sono aumentati gli attacchi informatici e i furti di dati aziendali. Se troppi lavoratori accedono ai database aziendali da remoto è facile che si aprano delle falle e che informazioni riservate finiscano incautamente anche in altre mani, con inevitabili danni alla privacy. Non a caso i servizi di cybersecurity sono diventati sempre più strategici nelle dinamiche della Rete.