Perché Renzi deve puntare tutto sul referendum
Renzi è stato esplicito: «Se perdo la partita delle riforme, ho fallito». Con questa frase ha chiarito che l’appuntamento più importante per il suo futuro e per la stabilità del quadro politico è il referendum confermativo della riforma del Senato che, con ogni probabilità, si terrà nel mese di ottobre.
Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio è stato esplicito: «Se perdo la partita delle riforme, ho fallito». Con questa frase ha chiarito che, dal suo punto di vista, l’appuntamento più importante per il suo futuro e per la stabilità del quadro politico è il referendum confermativo della riforma del Senato che, con ogni probabilità, si terrà nel mese di ottobre. Renzi sa bene che quella consultazione popolare, che non necessita di quorum, ben difficilmente lo deluderà, visto che sarà direttamente lui a spendersi elettoralmente (lo ha preannunciato) e che la maggioranza degli italiani voterà quasi sicuramente “si” a una riforma “anti-casta”, che taglia i costi della politica e supera l’ingessato bicameralismo paritario, considerato un freno ai processi decisionali.
Enfatizzando la portata del referendum di ottobre, il premier ha implicitamente detto che non attribuisce analogo significato all’appuntamento elettorale delle amministrative. Si voterà a giugno inoltrato (con altissimo rischio astensione) nelle più importanti città italiane (Milano, Roma, Torino, Bologna, Napoli), dove il centrosinistra ha solo da perdere, visto che già amministra tutti quei capoluoghi di regione. Renzi vuole evitare di legare il futuro del suo governo all’esito delle urne, considerato che potrebbe perdere qualcuna delle sfide cittadine e uscire ridimensionato. Ha quindi lasciato intendere che mentre il referendum sul nuovo Senato è una sua partita, le elezioni amministrative sono affare dei sindaci e investono problematiche locali. Un modo come un altro per evitare di fare da parafulmine di un’eventuale sconfitta elettorale del Pd, considerata probabile soprattutto nella capitale.
In quasi tutte quelle città, infatti, nonostante le primarie, il centrosinistra potrebbe dividersi e presentare più candidati. É vero, ai ballottaggi la convergenza su un solo nome sarà inevitabile, ma bisognerà misurare l’effettivo tasso di conflittualità tra le diverse anime della sinistra. Sinistra Italiana e alcune frange dem sembrano quasi sperare in una sconfitta di Renzi alle amministrative per indebolirlo anche sul piano nazionale. Di qui il tentativo di Palazzo Chigi di neutralizzare il “fuoco amico” e di gettare segnali distensivi ai ribelli interni, rilanciando la battaglia per l’approvazione in tempi rapidi della legge sulle unioni civili, che potrebbe far dire ai dissidenti anti-Renzi che il premier «ha finalmente fatto qualcosa di sinistra».
Quindi per Matteo Renzi, che alle elezioni di midterm non ci metterà la faccia, la vera campagna elettorale sarà quella referendaria, prologo a quella per le elezioni politiche, previste per il 2018. Se, però, il referendum di ottobre dovesse rivelarsi un plebiscito in favore delle riforme e quindi del governo, non è escluso che il premier prema sull’acceleratore per andare alle urne già nella primavera 2017, Mattarella permettendo. Con l’abolizione del Senato elettivo, anticipare la fine della legislatura significherebbe per Renzi sfruttare l’onda lunga dell’entusiasmo referendario, risparmiarsi le tribolazioni di altri 8-10 mesi di Senato con maggioranza in bilico, numeri risicati, difficoltà di approvazione dei provvedimenti e ricatti pre-elettorali di senatori disperati e in cerca di riconferma, e riempire le liste elettorali per la Camera di parlamentari a lui vicini per “blindarsi” a Palazzo Chigi fino al 2022.
Il tutto, è evidente, passerebbe attraverso una vittoria nelle urne. Con l’Italicum raggiungere il premio di maggioranza potrebbe non essere una passeggiata. È vero, però, che anche alle europee dell’anno scorso i sondaggi davano un testa a testa tra Pd e Movimento Cinque Stelle, ma alla fine lo scarto fu di quasi 20 punti in favore dei democratici. In definitiva, la seconda parte del 2016 per Renzi sarà più decisiva della prima e già alla fine del prossimo anno potremo sapere con ampi margini di attendibilità quando andremo a votare per le politiche.
É innegabile che le incognite sull’Italia, soprattutto dal punto di vista economico, sono numerose. Quest’anno, nonostante il quantitative easing, il cambio favorevole euro-dollaro e il calo del prezzo del petrolio, la crescita è stata pari allo 0,8%. L’anno prossimo si punta a raddoppiare questa percentuale, ma con la minaccia terrorismo e l’appannamento della fiducia sui mercati non è detto che il traguardo possa essere raggiunto. Il premier dovrà quindi misurarsi anche con le insidie dell’economia, oltre che con quelle della politica. Il suo proverbiale ottimismo potrebbe non bastare. Occorreranno determinazione e capacità di fare squadra, anche con un dialogo più aperto e costruttivo con le opposizioni non populiste.