Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Leonardi a cura di Ermes Dovico
MULLER

Perché la preghiera cristiana è diversa dalle altre

"In tutte le religioni la gente prega. La differenza radicale però sta nel destinatario delle nostre preghiere. Nella preghiera posso rivolgermi direttamente a Dio, a Colui che è il mio Creatore e Redentore. Saprò cos’è la preghiera e come pregare soltanto quando Colui con cui voglio parlare rivela se stesso. E non possiamo pregare come o con i musulmani, perché la loro fede in Dio nega che Dio abbia un Figlio". La lectio magistralis del cardinal Muller sulla preghiera e l'impossibilità di pregare con altre fedi. 

Documenti 28_05_2019

Pubblichiamo ampi stralci della lectio magistralis tenuta da sua eminenza il cardinale Gerhard Müller a conclusione dei Percorsi di formazione Doctor Humanitatis sul tema “La Preghiera nella vita cristiana”. L’evento è stato promosso dall’Associazione Doctor Humanitatis, Sezione di Verona della Società Internazionale Tommaso d’Aquino.

In tutte le religioni la gente prega. E ci sono preghiere e formule di preghiera paragonabili tra loro, che nemmeno alle orecchie dei cristiani suonano del tutto estranee. Infatti, esse sono ovunque espressione dell’atteggiamento che gli esseri umani nutrono verso la contingenza dell’esistenza terrena in questo mondo, in vista della speranza che esista una potenza soprannaturale. La somiglianza delle preghiere sta nel fatto che tutti gli uomini devono affrontare le stesse sfide. Tutti vivono le speranze suscitate dalla nascita di una nuova vita e tutti sono terrorizzati dalla sofferenza e dalla morte. È tra questi due poli – la vita e la morte – che si svolgono i drammi e le commedie della nostra esistenza su questa terra.

Il destinatario cambia
La differenza radicale però sta nel destinatario delle nostre preghiere. È una differenza incolmabile se la trascendenza è il nirvana; se essa, negli dei pagani, riflette e codifica puramente l’essenza superiore dell’uomo; o invece se nella preghiera posso rivolgermi direttamente a Dio, a Colui che è il mio Creatore e Redentore.

Persino alcuni atei pregano. Senza negare in alcun modo il significato e la necessità della preghiera, il critico della religione, Ludwi Feuerbach, nella sua opera «L’essenza del cristianesimo» (1845), considera il Dio personale della fede ebraica e cristiana una mera proiezione dell’essere umano su una divinità ultraterrena, che immaginiamo come una persona umana assolutizzata. Se l’uomo stesso è un dio per l’uomo (homo homini Deus), allora egli prega rivolgendosi a se stesso sotto forma di una meditazione che ruota sempre intorno a lui: l’uomo è al tempo stesso il soggetto e l’oggetto della preghiera. Nella preghiera cristiana però, l’uomo si rivolge al tu di Dio, che non è il prodotto dei pensieri e dei desideri dell’uomo, ma un essere supremo in se stesso. A differenza del cristiano, l’uomo orante immaginato da Feuerbach non affida le sue preoccupazioni a Dio il Signore, mettendosi sotto la sua benevola protezione. Piuttosto, dinnanzi alle sofferenze e alle difficoltà della vita, egli trova conforto nella devota contemplazione del proprio essere superiore – e cioè divino –: "Il Signore Gesù, quando prega il Padre perché 'tutti siano una sola cosa, come io e tu siamo una cosa sola' (GV 17,21-22), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore. Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé." (Gaudium et spes 24). Però, questa ricetta dell’auto-redenzione mediante auto- divinizzazione non funziona, così come non funziona dare a un uomo in pericolo di vita, il consiglio di districarsi da solo dalle pastoie in cui si trova. Per Feuerbach, la preghiera è soltanto la consapevolezza della presunta immortalità della specie umana, di cui io, nella mia carne corruttibile, sono l’esempio mortale. Il ruotare su se stessi tipico della preghiera atea, è l’opposto della preghiera cristiana.

Un dialogo fisico
In quest’ultima, l’uomo si apre alla chiamata di Dio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza, rendendoci figli suoi in Cristo. Per questo, la salvezza si compie non soltanto in un gioco di pensieri, ma nella nostra esistenza fisica. Sapendo di essere mortali e corruttibili, non sogniamo di poter continuare a vivere nei geni trasmessi ai nostri discendenti o nei monumenti fatti di minerali e pietra, testimoni della fama degli antichi eroi. Infatti, veniamo «liberati dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).

Saprò cos’è la preghiera e come pregare soltanto quando Colui con cui voglio parlare rivela se stesso. Possiamo parlare con Lui soltanto se sarà Lui a parlarci prima nella sua Parola, in Gesù Cristo, effondendo in noi il suo Spirito Santo. «Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 26ss).

È questa la preghiera cristiana, che si differenzia dalle preghiere di tutte le altre religioni non solo nei dettagli, ma nella sostanza. Soltanto con la preghiera ebraica si colloca in un continuum dell’auto-rivelazione di Dio, che però ha raggiunto il suo culmine in Gesù Cristo. E riguardo a Cristo emerge anche la differenza, in quanto i cristiani possono chiamare Dio “Abbà” – Padre – soltanto per mezzo di Cristo nello Spirito Santo (Rm 8,15). È vero che possiamo adottare i salmi e altre preghiere dell’Antico Testamento letteralmente, ma noi li comprendiamo e recitiamo avendo come orizzonte la fede nel Dio trinitario, nell’incarnazione del Figlio e nell’effusione dello Spirito Santo nei cuori di coloro che credono in Lui.

La preghiera nell’Islam
Anche l’Islam conosce la fede nell’unico Dio, intesa però come fede naturale nell’esistenza di Dio e non come fede quale virtù infusa con speranza e amore, che ci rende partecipi della vita di Dio, facendo sì che noi rimaniamo in Lui e Lui in noi. Non possiamo pregare come o con i musulmani, perché la loro fede in Dio e la sua auto-rivelazione non è solo diversa dalla fede cristiana in Dio, ma ne nega addirittura la formula, sostenendo che Dio non abbia un Figlio, che, come Verbo eterno del Padre, è una persona divina, e, con il Padre e lo Spirito Santo, è il Dio unico e trinitario. Di conseguenza, i fedeli dell’Islam non sono figli adottivi di Dio per mezzo della grazia di Cristo, ma solo suoi sudditi. Possono pregare soltanto un Dio lontano, sottomettendosi alla sua volontà come a un destino ignoto. La loro preghiera esprime la cieca subordinazione al volere dominante di Dio. Il cristiano invece prega che sia fatta la volontà di Dio, volontà che compiamo in libertà e che non ci rende schiavi, ma figli liberi di Dio.

"Insegnaci a pregare"
Perciò, colui che ci insegna come pregare la preghiera del Signore è il Maestro divino. Il paternoster non è dunque soltanto una formula di preghiera e un modello per altre formule di orazione. Fa parte della Rivelazione di Dio, Signore e Salvatore del suo popolo eletto, come storia della salvezza compiutasi in Cristo. Gesù ci fa entrare nella sua preghiera con il Padre. Allo stesso modo in cui il Figlio come «Verbo che era presso Dio e il Verbo che era Dio» (Gv 1,1) parla con il Padre, essendo con Lui l’unico Dio trinitario nel dialogo e nella comunicazione eterna, ora anche noi possiamo chiamare Dio “Padre”, con il Figlio, per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo.

La preghiera, dunque, è parlare con Dio. Ma non è come il chiacchierare dei pagani che usano tante parole. Tutte le nostre parole, con le quali esprimiamo le nostre gioie e i nostri dolori, si uniscono nell’unica PAROLA, che è il Figlio, Colui che ha accolto la nostra umanità votata alla morte e al peccato, redimendoci e rendendoci liberi. In Cristo adoriamo Dio, onorando Lui soltanto, perché sappiamo di aver ricevuto gloria e dignità umana da Dio, nostro Creatore. In Cristo uniamo anche tutte le nostre suppliche, perché Egli si è caricato dei nostri pesi e delle nostre sofferenze, offrendo se stesso al Padre sull’altare della Croce come sacrificio per la salvezza del mondo.

Fonte e culmine di tutte le nostre preghiere è l’Eucaristia, la preghiera di Cristo e della Chiesa. La santa messa, in quanto ripresentazione sacramentale del sacrificio della Croce, è adorazione, ringraziamento e glorificazione di Dio. È la fonte dell’amore di Dio al di sopra di tutto e la forza della carità. In essa, possiamo chiedere a Dio tutto ciò di cui abbiamo bisogno spiritualmente, intellettualmente e fisicamente per una vita dignitosa da individui e come comunità. Chiediamo che si compia la nostra speranza nella rivelazione come figli in mezzo alle preoccupazioni, le sofferenze, le privazioni e le persecuzioni del mondo. Rafforzati dall’Eucaristia, possiamo anche partecipare al sacrificio della Croce in espiazione per i peccati del mondo, per i nostri errori e le nostre negligenze. E così possiamo dare compimento a «ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Parte del piano di salvezza
Nella preghiera non vogliamo chiedere a Dio la sospensione delle cause naturali e creaturali o che esse siano rivolte a nostro vantaggio. Facciamo parte del suo piano di salvezza, lasciando che Egli ci coinvolga nella sua attuazione nella Chiesa e nel mondo. L’autonomia dell’uomo, legata a Dio e compiuta in Lui, «è anche conforme al volere del Creatore. Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica».

L’«autonomia delle realtà temporali» sarebbe del tutto fuorviante se negasse il rapporto universale e intimo tra Creazione e Dio. «La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto, tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa».Alla vista della tenda del cielo, l’uomo orante, scosso dalla sproporzione tra la sua piccola esistenza e l’incommensurabilità del cosmo, esclama con stupore: «Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Ps 8,5).

Chi crede in Dio, Creatore del cielo e della terra (Gen 1,1), confessa anche la somiglianza di ogni singolo uomo a Dio (Gen 1,26s), al quale tutti, senza eccezione, devono la loro esistenza e il loro essere simili a Lui, facendo sì che ne cantino le lodi: «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani» (Sal 8, 6s).È questa la preghiera della fede.

Ma quale altro scopo potrebbero avere le riflessioni teologiche sulla preghiera se non la convinzione degli uomini, che la felicità che desiderano non può essere altro che il loro Creatore e Redentore: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio» (Sal 42,2). Abbiamo colto il senso della nostra vita quando preghiamo Dio, dicendo con sant’Agostino: «Tu ci hai fatti per Te Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te– quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec reqiescat in te».

*Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della fede