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EDITORIALE

Perché escludere un altro Family Day?

La discussione in Commissione Giustizia al Senato sul disegno di legge anti-omofobia, mette in rilievo che il treno della «legge subito e radicale» ha fortemente rallentato. La battaglia condotta fuori dal Parlamento sta producendo i suoi effetti.

Editoriali 07_12_2013
Parlamento

Urgente ma non troppo: potrebbe riassumersi così l’andamento dei lavori del Senato sulla legge cosiddetta anti-omofobia. Intendiamoci, in Commissione Giustizia, davanti alla quale il provvedimento è pendente, la discussione generale si è esaurita in un paio di sedute, fra ottobre e inizio dicembre, ma il termine per gli emendamenti è stato fissato con relativa calma al 20 dicembre: il che vuol dire giungere al voto in Commissione a metà gennaio. Poi si andrà in Aula.

Chi è intervenuto nella discussione, anche fra gli esponenti dei partiti più spinti in favore della legge, ha annunciato emendamenti al testo proveniente dalla Camera: il che lascia prevedere, in caso di approvazione, un ritorno all’altro ramo del Parlamento.

Insomma, in un quadro che resta problematico – che senso ha impegnare in via prioritaria Commissione e Aula quando ci sono provvedimenti che hanno una oggettiva impellenza, valga per tutte la voce carcere? – sembra però di cogliere una musica differente rispetto all’ansia da risultato normativo che ha segnato l’iter alla Camera. Tanto per cominciare, le posizioni critiche sono più numerose, e tutte ben motivate. 

La sen. Laura Bianconi, del Ncd, ha pronunciato l’intervento nel merito più completo e consequenziale. Intanto negando che il parametro della discriminazione su base etnica, sul quale si basa la “legge Mancino”, sia così facilmente adattabile alla discriminazione su base di orientamento sessuale: «Mentre l'origine etnica – sono state le sue parole in Commissione – è un dato oggettivo che riguarda la persona nella sua individualità, l'omosessualità è un dato soggettivo che afferisce alla sfera delle relazioni sociali». Ha denunciato che «tale proposta sembra poi costituire l'antefatto all'introduzione nell'ordinamento del matrimonio tra persone dello stesso sesso e prelude alla legittimazione delle adozioni e delle "maternità surrogate" per gli omosessuali». E, dopo aver sottolineato «la limitazione della libertà di espressione che si verificherebbe con l'introduzione di quello che si può definire a pieno titolo un nuovo reato di opinione, il quale impedirebbe a chiunque di manifestare opinioni di senso contrario a orientamenti che diverrebbero dominanti, in aperta violazione dell'articolo 21 della Costituzione», ha anche sostenuto che la cosiddetta «clausola di salvaguardia è ambigua, anche perché fa riferimento alle opinioni espresse all'interno di organizzazioni sociali, senza tuttavia indicare i criteri secondo i quali queste possono essere individuate». Si tratta della norma che, su proposta di Scelta Civica, era stata introdotta alla Camera con la pretesa di tutelare la libertà di espressione. «Necessario non è tanto – ha detto ancora la sen. Bianconi - approvare nuove leggi penali, quanto avviare un percorso educativo che valorizzi il rispetto tra diverse persone», paventando «il rischio che, a seguito dell'approvazione di nuove fattispecie incriminatici, si possano verificare i già evocati fenomeni di discriminazione "a rovescio"».

Di spessore e sulla stessa lunghezza d’onda le considerazioni del sen. Maurizio Sacconi, pure di Ncd: «Non può essere definito comportamento omofobico il diritto di manifestare il proprio pensiero a favore della tutela della famiglia tradizionale quale società naturale fondata sul matrimonio. Del pari, non possono essere tacciate di omofobia idee che non riconoscono l'esercizio di tutti i diritti familiari alle coppie di fatto ovvero convincimenti contrari al riconoscimento del diritto di adozione alle coppie omosessuali».

Un allarme sui rischi derivanti dalle nuove disposizioni è venuto anche dal sen. Lucio Malan, di FI, già Pdl: «A Parigi, pacifiche manifestazioni in favore della famiglia tradizionale e contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono state fermamente represse dalle forze dell'ordine a danno dell'esercizio della libertà di riunione. (…) nel Regno Unito, (…) un innocuo predicatore ha dovuto giustificare dinanzi all'autorità giudiziaria le proprie idee, manifestate in pubblico e ispirate ad alcuni passi della Bibbia. (…) non possono essere perseguiti o puniti semplici convincimenti o orientamenti di pensiero come quelli a favore della famiglia tradizionale».

Perfino due ex socialisti, come il relatore, il sen. Lucio Barani, del Gal (eletto col Pdl), ed Enrico Buemi, del gruppo delle Autonomie, hanno avanzato riserve sul provvedimento. Il primo, sulla scorta di una parere dell’Ufficio studi del Senato, ha descritto la “clausola di salvaguardia” come eccessivamente riduttiva, e tale da non garantire la libertà di opinione. Buemi, oltre a ritenere – e con ragione – più consistente il fenomeno del bullismo, ha anch’egli avanzato dubbi sulla tutela della possibilità di esprimersi liberamente. Non pervenute le posizioni delle formazioni di centro Scelta civica e Udc: in Commissione nessun loro esponente ha preso la parola.  

Da segnalare la richiesta, più volte ribadita fin dall’avvio del dibattito, del sen. Carlo Giovanardi, del Ncd, che il Governo fornisca una relazione sulle violenze in danno di persone omosessuali. Domanda più che legittima, tesa a capire, prima di legiferare, il profilo qualitativo e quantitativo del fenomeno. Domanda rispetto alla quale il Governo, col sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, ha dapprima preso tempo, impegnandosi a fornire le informazioni, poi – nell’ultima seduta, quella del 3 dicembre – ha, come si legge nel verbale, manifestato «una certa difficoltà nell'intendere come reperire i dati richiesti» (sic). Denunciare la difficoltà, addirittura nella raccolta dati, a inquadrare la realtà oggettiva che, nella descrizione mediatica, dovrebbe imperiosamente spingere a varare le nuove norme non insinua il dubbio, al di la delle appartenenze, che non tutto sia così scontato?

Come spiegare un tratto e una cautela così differenti in questo ramo del Parlamento? Certo, i senatori di cui ho riassunto gli interventi sono un po’ di più dei deputati che, spesso solo in due – Alessandro Pagano ed Eugenia Roccella – hanno con coraggio condotto la battaglia alla Camera. Ma sull’aria leggermente diversa non può non avere inciso il richiamo alla consapevolezza culturale che tante associazioni nelle ultime settimane hanno organizzato, con convegni, conferenze, testimonianze di vario tipo nelle piazze. Prima dell’estate alla Camera l’iter del provvedimento pareva un treno ad alta velocità, pronto a raggiungere la destinazione senza alcun intoppo. Il merito di chi lo ha motivatamente contrastato a Montecitorio è stato quello di averlo costretto a qualche sosta in stazioni intermedie, esigendo attenzione su quanto si stava facendo. Ora il convoglio ha ripreso la marcia, ma ad andatura moderata, e in tanti si chiedono se la direzione sia quella giusta.

È la conferma che il lavoro svolto fuori dal Parlamento comincia a dare frutti. Non c’è da cullarsi: la pressione mediatica e lobbystica è così forte da poter vincere le maggiori resistenze finora emerse dentro al Palazzo. Se tuttavia finora ha avuto senso affrontare il tema omofobia, famiglia e ideologia del gender non con slogan semplicistici ma con ragionamenti chiari, fondati antropologicamente, non con affermazioni fideistiche ma con la serena consapevolezza che sono in gioco scelte di civiltà, non raccogliendo le provocazioni ma mostrando quella pazienza che deriva dalla serenità di fare quel che è giusto fare, se è vero tutto questo, gli sforzi vanno intensificati. E se infine le manifestazioni pro legge sono riprese in piazza con rabbia, perché da questa parte escludere un bis del Family day?