Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico

OLTRE IL SUMMIT

Perché Erdogan e Putin non saranno mai amici

Il malcelato compiacimento occidentale per il tentativo di golpe e la politica fortemente anti-Cremlino portata avanti da Obama e dai suoi alleati europei, però, hanno spinto Ankara e Mosca a cercare di riavvicinarsi. Ne è testimone il  recente incontro a San Pietroburgo fra Putin e Erdogan. Ma non è stata una vera intesa.

OBAMA, I GENERALI E QUEL PASTICCIO SULL'ISIS  di Gianandrea Gaiani

Esteri 16_08_2016
Putin e Erdogan

Il recente incontro a San Pietroburgo fra Turchia e Russia ha lasciato particolarmente sorpresi l’Europa e gli Usa, fino a poco tempo fa convinti che i due acerrimi nemici e storici rivali non avrebbero mai osato arrivare a tanto. Il malcelato compiacimento occidentale per il tentativo di golpe e la politica fortemente anti-Cremlino portata avanti da Obama e dai suoi alleati europei, però, hanno spinto Ankara e Mosca a cercare, almeno in questo momento, di riavvicinarsi e sotterrare, nel modo più mediatico possibile, l’ascia di guerra. 

Dal punto di vista del presidente turco Erdogan, questa svolta rappresenta l’unica carta a disposizione per cercare di uscire dal pericoloso isolamento in cui il Paese si era trovato in seguito alle purghe interne e, soprattutto, alle accuse mosse a Washington circa il coinvolgimento nel fallito colpo di Stato. Contemporaneamente, questa è anche l’occasione per dimostrare al mondo intero che la Turchia kemalista e morta e sepolta e che al suo posto ne sta nascendo una a immagine e somiglianza del leader islamista, pronto a cogliere ogni opportunità per rafforzare la posizione dello Stato e impedire la nascita di un Kurdistan indipendente. 

Questa scelta politica, però, è risultata anche particolarmente “costosa”, in quanto l’udienza con Putin è stata possibile solo grazie alla recita di innumerevoli mea-culpa sul caso dell’aereo russo abbattuto sui cieli siriani e a un parziale ammorbidimento sul futuro della Siria. Per quanto riguarda la Russia, invece, la visita del Sultano è una grande vittoria, a livello propagandistico perché le scuse di Ankara hanno raggiunto tutto il mondo e tatticamente poiché ha dato una decisa spallata alla già scricchiolante ala sud-orientale della Nato. Quest’ultima, infatti, è in particolare difficoltà sull’asse Mediterraneo-Mar Nero viste la crisi greca, l’impegno della Marina italiana in ambito umanitario (anziché anti-russo), la posizione altalenante della Bulgaria e, come anticipato, la defezione turca, tutti grattacapi che Washington dovrà risolvere in fretta per riuscire a strangolare il Cremlino. 

I due risultati più importanti del summit, comunque, sono quelli relativi alla maggiore cooperazione in materia di Difesa (la Turchia sta procedendo speditamente verso l’autarchia in questo campo) e la creazione di un fondo di investimento comune. Secondo le ultime dichiarazioni, inoltre, a San Pietroburgo avrebbero ripreso vita anche il Turkish Stream, monumentale gasdotto la cui costruzione era stata cancellata in seguito al già citato abbattimento del Sukhoi-24 da parte dell’aviazione turca. Come riporta il quotidiano belgradese Politika, Aleksandar Novak (Ministro russo dell’energia) in un’intervista televisiva ha infatti dichiarato che il progetto dovrebbe essere portato a termine entro il 2019 e che i piani per procedere alla costruzione sono già stati inviati ad Ankara. 

Per questo, Mosca dovrà sicuramente trovare il modo di blandire gli Stati balcanici, che verrebbero esclusi dal transito del gas e, di conseguenza, perderebbero i ricchi diritti che invece sarebbero spettati loro nel caso in cui a prendere vita fosse stato il South Stream, ufficialmente mai abbandonato da Mosca, ma ora superato dal gasdotto gemello destinato a terminare in Turchia. Come sottolinea giustamente Petroni su Limes, comunque, l’intesa raggiunta è «una sponda, non un’alleanza», poiché Turchia e Russia possono collaborare e andare d’accordo solo sul breve periodo e principalmente per quanto riguarda le questioni economiche. Dal punto di vista strategico, infatti, i due Stati continuano ad avere interessi contrari, che non potranno essere a lungo celati. 

Per Ankara, infatti, è fondamentale far sì che i curdi siriani smettano di avere qualsiasi forma di sostegno esterno e che i combattenti che dipendono dalla Turchia per finanziamenti e rifornimenti restino attivi e in grado di dare del filo da torcere alle truppe lealiste siriane. Per la Russia, invece, i curdi rappresentano un asset importante, in quanto unici combattenti non filo-Assad in grado di reggere gli scontri con l’Isis e le altre forze armate dall’Occidente. Oltre a ciò, Erdogan ha fortissimi interessi nei Balcani, nei quali si è erto a difensore dei bosgnacchi e degli albanesi, gruppi che sono direttamente in contrasto con i serbi, spalleggiati invece da Putin, che non disdegna di accogliere più volte l’anno i rappresentanti di Belgrado. 

Non meno evidenti, inoltre, sono le radicali differenze di vedute in merito alla sorte delle popolazioni turcofone e musulmane che vivono nella Federazione Russa, come tatari e genti del Caucaso. Ankara, infatti, forte del suo programma neo-ottomano, punta al ruolo di portavoce di quest’ultime, investendo in termini politici ed economici allo scopo di far sentire la propria presenza. Tale dinamismo, che la porta inevitabilmente ad intervenire negli affari interni di un altro Stato, non può che incontrare la totale contrarietà di Mosca, attenta a far sì che le popolazioni non ortodosse residenti nei sui confini continuino a non appoggiarsi a potenze straniere. 

In ogni caso, al momento attuale il riavvicinamento fra i due Stati sembra essere la soluzione migliore per l’immediato futuro, poiché, come già detto, porta vantaggi ad entrambi gli attori in campo. In prospettiva, comunque, la posizione turca potrebbe essere quella maggiormente interessante, poiché un suo prolungato “buon vicinato” con la Russia (e, di conseguenza, con l’Iran) potrebbe complicare notevolmente i piani occidentali in Siria e, soprattutto, ogni strategia della Nato volta a contenere la Russia all’interno del Mar Nero. Oltre a ciò, una situazione di questo tipo creerebbe non poche difficoltà anche alle Monarchie del Golfo, che si troverebbero costrette ad avvicinarsi ulteriormente all’occidente per salvaguardare i propri interessi. Per tale motivo, non è escluso che gli Usa possano decidere di chiudere un occhio sul crescente autoritarismo e dispotismo di Erdogan, sacrificando magari anche Gülen, allo scopo di fermare sul nascere questa deriva anti-occidentale.

Per quanto riguarda Mosca, invece, la partnership con Ankara può permetterle di indebolire l’Alleanza Atlantica, rafforzare la propria posizione in Siria e procedere alla costruzione delle infrastrutture energetiche che tanto le stanno a cuore, ma la pone anche nella difficile condizione di legarsi ad un Paese estremamente concentrato e determinato a raggiungere i propri obiettivi, che sono necessariamente contrari agli interessi russi.