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SETTIMANA SANTA / LUNEDI'

Perché credo che i morti risorgano

Non è affatto indifferente vivere con la gioia della speranza che un giorno risorgeremo. Cristo è la via per raggiungere la piena felicità.

Attualità 02_04_2012
Caravaggio - Incredulità di Tommaso

Qui sotto una riflessione tratta dall'ultimo libro di mons. Girolamo Grillo "Perchè credo. I miei interrogativi sulla fede" (Marietti, pp. 300 euro 28), un volume che si rivela «un ottimo manuale di apologetica» come scrive nella prefazione mons. Luigi Negri.
Le parole di mons. Grillo ci accompagneranno ogni giorno della settimana santa.


Non è certamente ben piccola cosa vivere avendo nel cuore la speranza della resurrezione finale. Vivere con questa speranza, infatti, significa, oltre tutto, andare incontro al sonno della morte non come incontro a una inesorabile condanna, ma come l’avvio verso un passaggio obbligato per entrare nel possesso della felicità eterna, cioè della vera felicità. Tutti gli uomini, sulla terra, vanno alla ricerca della felicità perduta; gran parte di essi, purtroppo, angosciati da questa ansia, specialmente nell’epoca contemporanea, si impantanano in mille rivoli fangosi, cadendo spesso nella più fosca delusione e nella più tetra depressione: potere, fascino del sesso più sfrenato, distruzione della famiglia tradizionale ecc. Perché mai tutto questo? Non può che esserci una sola risposta: la vita è di breve durata; del domani non c’è certezza; occorre cogliere l’attimo fuggente; con la morte finisce tutto. Così la pensa il mondo di oggi ricaduto, purtroppo, in uno spaventoso paganesimo. E invece tutta la nostra vita dovrebbe essere un continuo allenamento ad affrontare la morte con la gioiosa certezza del premio futuro, perché, quando avremo conseguito questo traguardo, saremo pervenuti al cuore della sapienza più autentica.

La felicità potrà essere conseguita soltanto attraverso un’unica strada: quella indicataci da Cristo. Noi sappiamo, d’altronde, dai Vangeli che Gesù ha risuscitato Lazzaro già morto da quattro giorni. Questo, afferma sant’Agostino, ci basta per comprendere che, se Egli lo volesse, potrebbe risuscitare tutti i morti. Ed è proprio quello che accadrà alla fine del mondo. «Ha risuscitato un corpo in decomposizione, ma nell’ultimo giorno, con una parola, renderà la vita alle molte ceneri» (Dal Trattato 49 su Giovanni). Esiste, allora, uno stretto legame tra la ricerca della felicità insita nella vita di tutti gli uomini e quanto accadrà un giorno, ad opera di Colui che ha creato il cielo e la terra. È sufficiente anche un pizzico di razionalità per riuscire a comprendere tutto questo. La felicità, cioè, non potrà mai essere ricercata nell’effimero che, di sua natura, non può avere radici consistenti. Va cercata altrove. Ma, senza una particolare illuminazione proveniente dalla fede nel Cristo morto e risorto, ciò non potrà mai avvenire.

Nessuno di noi è esente dal desiderio di poter soddisfare tutte le proprie aspirazioni, soprattutto quelle che aiuterebbero a realizzare il proprio progetto di umanità in ordine a tutti gli aspetti della vita. Tali progetti sono numerosissimi. C’è chi ripone tutto nella forza dell’eroismo, chi nei piaceri sessuali e nel libertinaggio o, al contrario, nella contemplazione, nella sapienza o nella santità. Basterebbe dare uno sguardo alle varie religioni esistenti per vederne la varietà di proposte: si pensi all’induismo, al buddismo, all’islamismo ecc. o alle varie filosofie derivanti dal pensiero classico e dello stesso cristianesimo. Ma per quanti hanno la fede nel Cristo morto e risorto, esiste soltanto una strada per raggiungere la felicità: «farsi soggetto della verità», secondo un’espressione di Kierkegaard, cioè orientarsi a Cristo come termine ultimo del proprio viaggio nella vita.

Ecco perché nell’attuale periodo, in cui prevale il dominio della scienza e della tecnologia, si cerca la felicità nel raggiungimento di certi valori economici e materiali, nel soddisfare nuovi bisogni, nel procurarsi nuovi piaceri e soddisfazioni, provocando guasti quasi irreparabili all’ambiente... Come si può notare, c’è di mezzo la concezione stessa della vita. Soltanto il cristianesimo accettato e vissuto offre all’uomo un traguardo eterno, attraverso la partecipazione alla stessa vita divina con l’anima e con il corpo glorificato con la resurrezione alla fine dei tempi. Il cristiano, quindi, situa il conseguimento della felicità non su questa terra, ma oltre la vita presente. Affermava Jacques Maritain che «nella vita cristiana vi è come un decentramento il quale fa sì che la definizione tradizionale “etica della beatitudine” non sia giustificata se non a condizione che tale beatitudine venga compresa come la felicità che implica contemporaneamente, benché come secondo termine, l’unione trasformante con un Altro da me che amo più di me stesso, l’ingresso nella sua stessa vita per il pieno compimento della sua volontà».

È pienamente comprensibile,
allora, perché la verità di fede «credo nella risurrezione dei morti» sia di primaria importanza. Da essa, infatti, dipende la concezione stessa della vita dell’uomo e ad essa stessa è ancorata la maniera di vivere la vita. Non ci si può meravigliare se, allorché si affievolisce la fede, sia quasi impossibile continuare a credere nella nostra vita oltre la morte e soprattutto nella resurrezione finale. Ma nessuno meglio di san Paolo può aiutarci a comprendere, in qualche modo, in che cosa consista questa felicità. Nella Prima lettera ai Corinzi possiamo leggere, infatti, quanto segue: «Fratelli, qualcuno dirà: Come risuscitano i morti? Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. [...] Così anche la resurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale» (1 Cor 15,35-44).