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FINE VITA

Perché cibo e acqua non sono mai terapia

Su alimentazione e idratazione si gioca la battaglia decisiva del diritto alla vita. L'uso di metodi artificiali non cambia la natura dell'azione.

Attualità 23_03_2011
ospedale

Piergiorgio Welby, prima di farsi staccare il respiratore e così morire il 20 dicembre del 2006, suggerì nel suo libro “Lasciatemi morire” alcuni steps per giungere alla legalizzazione della dolce morte. Al secondo posto troviamo, dopo aver ottenuta una legge sul testamento biologico, la necessità di assegnare alla Commissione Sanità lo studio degli aspetti legati a nutrizione e idratazione. Welby, al pari di altri sostenitori del pensiero necroforo, aveva capito benissimo che attorno a idratazione e alimentazione si sarebbe giocata la partita decisiva sull’eutanasia.

Soluzione finale
Perché? Per due motivi. Primo: se tu puoi rifiutare acqua e cibo di conseguenza e a maggior ragione potrai rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, anche quelli salvavita. Secondo: per far uscire di scena le persone che versano in uno stato vegetativo, che ora si preferisce definire più correttamente “pazienti affetti da sindrome della veglia a-relazionale”, l’unico stratagemma sarebbe quello nella maggioranza dei casi di privarli di acqua e cibo. E’ stato il caso di Eluana. La Englaro non era in fase terminale né aveva nessuna patologia in corso, bensì presentava una grave disabilità. L’unico modo per provocare il suo decesso fu quello di toglierle idratazione e alimentazione necessarie per rimanere in vita. Non poteva che morire così. Trattasi realmente di soluzione finale, perché espediente estremo al fine di far morire qualcuno che non è affetto da alcuna patologia.


Possiamo rifiutare solo le cure
L’art. 32 della Costituzione afferma che un soggetto può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, eccezion fatta per quelli ritenuti obbligatori dalla legge. Allora i sostenitori dell’eutanasia si trovano nella necessità di qualificare idratazione e alimentazione come trattamenti sanitari. Se non fossero terapie di conseguenza non potrebbero essere oggetto di rifiuto. Ma acqua e cibo sono o non sono terapie? L’idratazione e l’alimentazione soddisfano sete e fame, che sono bisogni fisiologici e non patologie. Se non sono patologie ovviamente acqua e cibo non curano alcunché e quindi non sono terapie. Fame e sete, al pari del sonno e della “fame” di ossigeno, non possono con piena evidenza essere considerate delle malattie altrimenti almeno un paio di volte al giorno ci staremmo curando. Perciò quando un paziente deve essere aiutato nella nutrizione e idratazione con particolari strumenti – es. flebo o sondino naso-gastrico - queste particolari forme di idratazione e alimentazione non possono configurare un trattamento sanitario, bensì devono essere intese come mezzi di sostentamento vitale.

Detto ciò, quali sono invece le argomentazioni proposte dai filo-eutanasici per considerare acqua e cibo come terapie? Vediamone alcune qui di seguito:


Il medico
Secondo alcuni idratazione e alimentazione se fornite da un medico diventano vere e proprie cure. Non è così. Il medico infatti, ad esempio somministrando liquidi ad una paziente tramite flebo, aiuta questi nell’esplicare una funzione fisiologica, ma non modifica la natura dell’idratazione, cioè non fa diventare l’acqua una terapia.  Anche l’oculista ci aiuta a vedere nel darci un paio di occhiali: ma il vedere rimane comunque una funzione fisiologica.


I preparati artificiali
Altra obiezione: ai pazienti gravi non viene di certo dato un piatto di pasta o un buon Barolo. La nutrizione e l’idratazione vengono somministrare attraverso preparati artificiali. Questa trasformazione dei cibi comporta anche una trasformazione dell’alimentazione e idratazione da semplici mezzi di sostentamento ad autentiche terapie. Questa obiezione non regge almeno per due motivi. Il primo: anche un piatto di pasta e una bottiglia di vino sono un preparato artificiale dal momento che gli spaghetti, il pomodoro, l’olio, il vino etc. non si trovano di certo sotto queste sembianze in natura. Il secondo: sia i preparati artificiali ad uso ospedaliero che il piatto di pasta o un’ottima entrecôte  possono essere ridotti agli stessi elementi nutrizionali di base: carboidrati, zuccheri, proteine, sali minerali, etc. Ciò a dimostrazione che anche i preparati artificiali sono cibo al pari di quelli che quotidianamente assumiamo.

Le procedure artificiali
Poi si tenta di appellarsi al fatto che alimentazione e idratazione vengono somministrate in ospedale attraverso metodiche artificiali: il sondino naso-gastrico, la PEG (cioè un ago-cannula inserita nell’addome), etc. Risposta: tutti noi mangiamo o beviamo attraverso strumenti artificiali: posate e bicchieri per esempio. La maggior o minor artificiosità del mezzo di assunzione non fa mutare la natura dell’atto dell’idratazione e alimentazione. Una cosa è la natura di acqua e cibo, un’altra sono gli strumenti per assumere acqua e cibo. Questi ultimi possono essere sì trattamenti sanitari – vedi PEG – ma non hanno il potere di trasformare la nutrizione e l’idratazione anche’esse in cure.

Le funzioni vitali
Nel giugno del 2009 la Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), oltre ad elencare in suo documento dedicato all’alimentazione e idratazione artificiale tutte queste obiezioni abbastanza comuni, ne aggiunse un’altra che ha dell’incredibile. L’alimentazione artificiale è una terapia perché è finalizzata a “sostenere funzioni vitali”. E’ lapalissiano che mangiamo per rimanere in vita. Ma questo non fa del cibo una cura. Forse che la FNOMCeO intendeva che se mangiamo scampiamo alla malattia della morte? Ma la morte non è una malattia, bensì la conseguenza, l’effetto di una patologia letale.


In conclusione
Se dunque l’alimentazione e l’idratazione, seppur fornite in modo artificiale, non sono terapie ma mezzi di sostentamento non possono essere ricomprese sotto l’ombrello di garanzia dell’art. 32 della Costituzione e quindi non possono essere rifiutate.