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DIRITTO ALLA VITA

Per l'Onu non abortire è una tortura

Le Nazioni Unite bacchettano l'Irlanda perchè la strada per non abortire sarebbe troppo tortuosa. Ma l'aborto non è affatto un "diritto umano".

Attualità 16_11_2011
Onu
Una volta c’era quella che si chiamava sovranità nazionale. Uno Stato si dava delle regole di convivenza e nessun altro stato poteva metterci becco. Poi arrivò l’ONU e la Comunità Europea (oggi UE) e questa regola aurea iniziò a scricchiolare. Una riprova l’abbiamo avuta di recente e riguarda l’Irlanda. Nel report del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu d’inizio ottobre contenuto nell’Universal Periodic Review i signori delle Nazioni Unite vedono di buon occhio le prossime riforme costituzionali irlandesi che, se passeranno, permetteranno il “matrimonio” omosessuale e la depenalizzazione del reato di blasfemia. E incoraggiano il governo a far presto nel novellare la Costituzione secondo queste direttrici. Ma ecco un secondo caso di pressione indebita negli affari interni di una nazione da parte di un organismo sovranazionale.

La Commissione ONU contro le Torture nel suo ultimo Rapporto bacchetta l’Irlanda in tema di libero accesso alle pratiche abortive. Per farlo prende spunto dalla sentenza del dicembre 2010 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo laddove affermava che sul suolo irlandese non sono chiare le procedure per stabilire quando una gravidanza può ledere lo stato di salute psicofisica della donna. Anzi se medico e donna non rispettano alcuni paletti previsti dalla normativa irlandese sull’aborto rischiano di essere sottoposti ad indagine e sanzioni penali. E già a leggere queste commenti la donna e il medico vengono dipinti come vittime di una persecuzione legale degna del miglior Kafka. La conclusione è d’obbligo: «Avvertendo il rischio di un processo penale e di una detenzione a danno sia delle donne che dei medici che le assistono, il Comitato esprime la preoccupazione che questa situazione potrebbe sollevare ostacoli i quali costituirebbero una violazione della ‘Convenzione contro la tortura, e altri crudeli e inumani o degradanti trattamenti o punizioni».

Il sillogismo argomentativo della Commissione ONU è palese. L’aborto deve essere considerato un diritto. Se è un diritto non bisogna limitare l’accesso ad esso. In Irlanda non solo la strada per abortire è assai tortuosa ma è disseminata di divieti e relative sanzioni. Ergo una libertà civile è minata nelle sue fondamenta e dunque il carcere – che, a dire la verità, è l’extrema ratio per il governo irlandese in tema di aborto – appare essere una punizione degradante per la donna e il medico, se non addirittura una tortura. Il paradosso ha sempre un andamento circolare.

Un tempo l’aborto era considerato un delitto. Poi venne il tempo della tolleranza: un atto che certamente è un danno per il bene comune, un atto quindi illegittimo ma che lo Stato per vari motivi preferisce non punire (è il caso della Germania). Successivamente si diffonde l’idea secondo la quale le pratiche abortive devono essere qualificate come atti da tollerare sempre e comunque. E’ talmente estesa la tolleranza che qualcuno inizia a sostenere che la soppressione del bambino che si porta in grembo è un diritto se non formale – cioè non previsto nero su bianco in un testo di legge – almeno sostanziale, cioè implicito (è il caso della nostrana 194). Poi ci si spinge ancora oltre: in molti documenti ONU si parla esplicitamente di diritto formale alla “salute riproduttiva”, una foglia di fico linguistica per dire “diritto all’aborto”.

Ora se l’aborto è un diritto formale, mettere dietro le sbarre chi esige il rispetto di questo diritto significa violare la dignità della persona, trattarla in modo disumano, esponendola contro la sua volontà non solo alla detenzione ma anche a rischi gravi per la sua salute per averle impedito di abortire. Viene quasi da immaginare un parallelo tra un malvivente malmenato da poliziotti senza scrupoli e sottoposto a tortura anche psicologica perché parli, e la donna che subisce i danni fisici e psicologici di una gravidanza non voluta nel buio di una cella. Al di là di alcuni elementi scenografici un po’ splatter, pare che non ci sia nessuna differenza di rilievo tra queste due situazioni.

Non abortire è dunque una tortura. E così il gioco di prestigio è presto fatto: è l’Irlanda il vero delinquente e non le povere donne che marciscono al fresco perché non vogliono il figlio (il cui numero negli anni è pressoché inesistente). Manco a ricordarlo il vero torturato in tutta questa storia è il bambino che è nel ventre della madre, il quale viene ucciso il più delle volte tramite straziante aspirazione uterina. Ma si sa: il ventre dell’ONU è sterile di buoni pronunciamenti per i non-nati ed anzi partorisce “raccomandazioni” che oltre a suonare come vere e proprie minacce per gli Stati appaiono sempre più come sentenze di morte per i nascituri.