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IL CASO

Per i lefebvriani si avvicina l'ora X

Il superiore della Fraternità San Pio X, monsignor Fellay, ha ricevuto a Castel Gandolfo un "preambolo dottrinale",
le condizioni per la piena comunione.

Attualità 16_09_2011
concilio vaticano II
È un momento cruciale quello che sta vivendo in questo momento la Fraternità San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre. Dopo la conclusione dei colloqui dottrinali che si sono svolti tra l’ottobre 2009 e l’aprile di quest’anno, la Santa Sede ha presentato al vescovo Bernard Fellay un breve documento, un «preambolo dottrinale» di due pagine, chiedendo ai lefebvriani di valutarlo e di decidere in merito in un tempo non troppo lungo.

Durante l’incontro che si è svolto nella mattina del 14 settembre al palazzo del Sant’Uffizio il cardinale William Levada e l’arcivescovo Ladaria, rispettivamente Prefetto e segretario della Congregazione per la dottrina della fede, insieme a monsignor Guido Pozzo, segretario della commissione Ecclesia Dei, hanno presentato a Fellay e a due suoi collaboratori ciò che la Santa Sede ritiene imprescindibile perché si torni alla piena comunione.

Ne è passata di acqua sotto i ponti dal Giubileo del 2000, quando una nutrita schiera di lefebvriani venne in pellegrinaggio a Roma e sciamò nella basilica di San Pietro, colpendo molti in Vaticano per la compostezza e il fervore della preghiera. Anche Giovanni Paolo II rimase colpito. E così, leggendo l’intervista nella quale il vescovo Fellay si diceva pronto a dialogare se in Vaticano qualcuno l’avesse ricevuto, Papa Wojtyla volle farlo convocare. Lo incontrò brevemente per un rapido saluto, affidando al cardinale Dario Castrillón Hoyos la «patata bollente» delle trattative.

Dopo l’elezione di Benedetto XVI, Fellay venne ricevuto dal nuovo Papa a Castel Gandolfo. Ratzinger ha mostrato una magnanimità senza precedenti nei confronti della Fraternità: ha liberalizzato la messa preconciliare, come richiesto dai lefebvriani. Ha tolto le scomuniche ai quattro vescovi consacrati illecitamente da Lefebvre nel 1988. Ha voluto che si avviassero i colloqui dottrinali per permettere che i problemi sollevati dalla Fraternità fossero sviscerati e discussi.

Ora la conclusione è arrivata. E dopo tutte queste mani tese da parte del Pontefice e dei suoi collaboratori, il passo spetta alla Fraternità San Pio X. Si era detto più volte che la condizione per la piena comunione sarebbe dovuta essere l’accettazione dell’ultimo Concilio da parte dei lefebvriani. In realtà il «preambolo dottrinale» consegnato ieri a Fellay e non ancora reso pubblico, ha una portata più vasta, e rappresenta una sorta di piattaforma imprescindibile, con «alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica».

Il testo ricalca la «Professio fidei» pubblicata nel 1989 dall’ex Sant’Uffizio e ricorda i tre diversi gradi di assenso a cui è tenuto il fedele. In sostanza, il cattolico si impegna a credere «con ferma fede» ciò che è «contenuto nella Parola di Dio» e ciò che la Chiesa propone «come divinamente rivelato». In secondo luogo, si impegna ad accogliere tutti i dogmi dichiarati tali fino a oggi. Infine, ed è certamente il punto più problematico per la Fraternità, al fedele cattolico si richiede di aderire «con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto» agli insegnamenti che il Papa e il collegio dei vescovi «propongono quando esercitano il loro magistero autentico», anche se questi insegnamenti non sono proclamati in modo dogmatico, cioè definitivo. È questa peraltro la parte più consistente del magistero, alla quale appartengono, ad esempio, le encicliche. E nella quale si situano anche molti documenti del Vaticano II, che come tutto il magistero vanno letti, spiega la Santa Sede, alla luce della tradizione, come sviluppo e non come rottura con la dottrina precedente, secondo l’ermeneutica proposta da Benedetto XVI nell’ormai celebre discorso alla Curia romana del dicembre 2005.

In Vaticano spiegano che la richiesta di accettare la professione di fede contenuta nel «preambolo dottrinale» non significa voler ridurre al silenzio i lefebvriani, né tantomeno rendere impossibile la discussione franca su singole affermazioni dei testi conciliari e sulla loro interpretazioni. Del resto, le critiche al magistero non sono mai state una prerogativa del solo mondo tradizionalista: basti pensare a quanti sono, invece, gli attacchi in questo senso che provengono dal mondo progressista. Le diverse interpretazioni non devono però diventare il pretesto – questa è la linea della Santa Sede – per rifiutare il magistero ordinario del Papa e del collegio dei vescovi.

L’incontro si è svolto in un clima cordiale, Fellay ha chiesto chiarimenti e ha insistito molto sulla situazione critica in cui, a suo dire, versa la Chiesa. Da parte vaticana si è però osservato che bisognerà continuare a discutere sui singoli fatti – ad esempio gli abusi liturgici in certi Paesi – ma senza per questo mettere in discussione il magistero del Papa o attribuire la crisi della Chiesa al Concilio.

Nella parte finale dell’incontro in Vaticano si è parlato anche della possibile sistemazione canonica per la Fraternità San Pio X. La proposta che è stata avanzata a Fellay è quella di costituire una «prelatura personale», istituzione auspicata dal Concilio, introdotta nel nuovo codice di diritto canonico e finora utilizzata soltanto per l’Opus Dei. Il suo superiore dipende direttamente dalla Santa Sede e non ha un’estensione legata a un territorio particolare.

Ora la decisione è nelle mani dei lefebvriani. Il vescovo Fellay si riserva di prendere il «tempo necessario» per decidere e annuncia di voler «consultare i principali responsabili della Fraternità di San Pio X, perché su una questione così importante mi sono impegnato con i miei confratelli a non prendere decisioni senza averli consultati preventivamente». Da Benedetto XVI è stato fatto tutto il possibile per tendere la mano e per cercare di arrivare a sanare la ferita apertasi con le ordinazioni illecite del 1988. C’è da augurarsi che anche dall’altra parte a prevalere sia la nostalgia dell’unità e dell’amore a Pietro, e non le sirene della divisione che facendo fallire questa occasione storica porterebbero all’affermarsi di una mentalità settaria.