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L'APPELLO

Pena di morte, il Papa chiede un cambio nel Catechismo

Il Papa ricorda i 25 anni del del Catechismo della Chiesa Cattolica e chiede che venga modificato l'articolo 2267 che non esclude la pena capitale in particolari casi come unica via per difendere da un aggressore ingiusto. "In passato la Chiesa ha assunto una posizione non conforme al Vangelo". 

Ecclesia 12_10_2017

Ieri pomeriggio nell’Aula nuova del sinodo, il Papa è intervenuto per ricordare i 25 anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Francesco ha sottolineato l’importanza del dire le cose di sempre con un linguaggio adatto agli uomini del tempo. Ma soprattutto, ha sottolineato l’orizzonte della misericordia e, ha detto, «in questo orizzonte di pensiero mi piace fare riferimento a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente con queste finalità espresse».

LA PENA DI MORTE E’ INAMISSIBILE

«Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana». Ad oggi il tema della pena di morte è affrontato al n° 2267 del Catechismo, laddove si dice che «l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani»; se fossero sufficienti mezzi incruenti, ovviamente l’autorità deve ricorrere a questi.

Con le parole pronunciate ieri da Papa Francesco si chiede chiaramente di andare oltre l’attuale formulazione. «Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato», ha detto il Papa, «perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole». E’ il paradigma della difesa della vita durante tutto l’arco dell’esistenza, già spiegato durante la recente apertura delle attività della Pontificia Accademia per la Vita e ripetuto più volte dal suo presidente, membro storico della comunità di S. Egidio, monsignor Vincenzo Paglia.

Secondo Francesco, la Chiesa nel passato ha assunto una posizione non conforme al Vangelo nell’essere permissiva nei confronti della pena di morte, sebbene non abbia mai considerato tipologie di reati che richiedessero tale pena, ma era orientata a questa possibilità solo quando «questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani».

«Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana», dice Francesco. E aggiunge: «La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo».

Anche Benedetto XVI aveva auspicato uno sforzo per l’abolizione della pena di morte. Lo aveva fatto nel 2011, rivolgendosi, ai partecipanti a un meeting organizzato dalla comunità di S. Egidio, da sempre impegnata in questa istanza. Quello di Benedetto XVI era un appello perché vi fossero «iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescente di paesi per eliminare la pena di morte e continuare sostanziali progressi compiuti per conformare il codice penale sia alla dignità umana dei carcerati che all'efficace mantenimento dell'ordine pubblico». Nessun riferimento al progresso della dottrina o alla storia della chiesa, cosa che, invece, Francesco ha fatto proprio ieri per «far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana».

LA DOTTRINA PROGREDISCE

Dopo sei anni di lavoro nell’ottobre del 1992 con la costituzione apostolica Fidei depositum, a trent’anni dall’apertura del Vaticano II, usciva, appunto, il Catechismo della Chiesa Cattolica perché fosse un punto di riferimento della dottrina e della morale in tutto l’orbe. C’era bisogno di un punto di riferimento perché il post concilio, come più volte ripetuto dai papi, non fu esente da rischi e sbandamenti.

Paolo VI, poi Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, hanno messo in guardia contro un'interpretazione della dottrina in rottura con il passato. Lo sviluppo deve avvenire in modo omogeneo e in continuità. Sul tema del “progresso” della dottrina è intervenuto anche Francesco.

«La Tradizione è una realtà viva», ha detto ieri il Papa, «e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare».

SAN VINCENZO DI LERINO

Quando si tratta di sviluppo della dottrina è ricorrente la citazione a San Vincenzo di Lerino (V secolo), monaco francese che nel suo Commonitorium primum diceva che il dogma della religione «progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età». Questa citazione l’ha fatta Francesco ieri, a cui possiamo aggiungere la preoccupazione che ha più volte richiamato Benedetto XVI, che come cardinale ha presieduto i lavori che hanno condotto alla redazione del Catechismo.

E’ il concetto di « rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa», tale per cui «è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». Come direbbe lo stesso San Vincenzo di Lerino «anche nella stessa chiesa cattolica ci si deve preoccupare molto che ciò che noi professiamo sia stato ritenuto tale ovunque, sempre e da tutti».