Pelosi (forse) a Taiwan: solidarietà e minacce
Oggi sapremo definitivamente se a Taiwan arriverà Nancy Pelosi, presidente della Camera del Congresso degli Usa, in una visita tanto annunciata quanto mai confermata. Un gesto di solidarietà nei confronti dell'isola minacciata da Pechino. Ma anche un viaggio divisivo, che lascia perplesso lo stesso presidente Biden.
Oggi sapremo definitivamente se a Taiwan arriverà Nancy Pelosi, presidente della Camera del Congresso degli Usa, in una visita tanto annunciata quanto mai confermata.
Stati Uniti e Taiwan non hanno più relazioni diplomatiche dal 1979, da quando Washington (con Carter presidente) riconobbe il regime comunista di Pechino quale unico legittimo governo cinese. Tuttavia gli Usa sono ancora legati a Taiwan da un accordo per la loro difesa che, se non obbliga gli americani ad intervenire in caso di aggressione, per lo meno permette loro di rifornire l’isola di tutti gli armamenti e l’addestramento di cui ha bisogno. Questi mesi, dall’autunno scorso, sono particolarmente tesi, a causa delle continue minacce dalla Cina comunista e la visita della Pelosi, se avvenisse oggi o domani, servirebbe a rassicurare i cinesi di Taiwan che gli Usa sono ancora al loro fianco. Anche se la visita sta provocando non poche preoccupazioni negli Usa stessi, dove il presidente Biden la giudica inopportuna.
L’agenda ufficiale del viaggio di Nancy Pelosi in Asia include quattro Paesi: Singapore (da ieri), Malesia, Corea del Sud e Giappone. Un programma fitto di incontri di alto livello. La tappa di Taiwan, ovviamente, non è nell’elenco ufficiale.
Negli Stati Uniti, i Repubblicani, all’opposizione, stavolta sostengono la presidente democratica (e progressista) della Camera, mettendo da parte la dura contrapposizione politica interna. Il deputato repubblicano Steve Chabot, presidente del Caucus di Taiwan al Congresso, è entusiasta della prospettiva di un viaggio con incontri ad alto livello. E sostiene che gli Stati Uniti, in generale, non debbano genuflettersi ai desiderata del regime di Pechino. Del parere opposto è invece l’ex presidente Donald Trump (due tentativi di impeachment nei suoi confronti sono stati promossi dalla Pelosi) il quale sostiene: “il problema della Cina è l’ultima cosa in cui dovrebbe essere coinvolta - non farà altro che peggiorarlo”, aggiungendo che: “ogni cosa che tocca viene trasformata in caos, disagio e schifo”.
Ma ad essere perplesso, paradossalmente, è soprattutto il presidente in carica, Joe Biden. Che ha riferito come le forze armate siano convinte che “non sia il momento giusto, proprio adesso”. Tuttavia, il presidente democratico ha lasciato fare, non si è opposto al proposito della visita “a sorpresa” e ha gestito la crisi diplomatica con Pechino l’ultima settimana, parlando anche direttamente con Xi Jinping.
Perché la reazione non si è fatta attendere, con toni anche molto sopra le righe. “Se caccia americani scortassero l’aereo della Pelosi su Taiwan, sarebbe un’invasione. L’Esercito Popolare di Liberazione avrebbe il diritto di costringere l’aereo della Pelosi e i caccia a uscire dallo spazio aereo, anche sparando colpi di avvertimento o compiendo manovre tattiche di ostruzione”, ha scritto Hu Xijin, editorialista del Global Times. Altrettanto duri i toni scelti dal portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, che ha lanciato tre avvertimenti agli Usa, uno più duro dell’altro. Nell’ultimo ha intimato di evitare “una grave interferenza negli affari interni della Cina”, cosa che avrebbe “conseguenze e ripercussioni molto serie”. “Vorremmo dire ancora una volta agli Stati Uniti che la Cina è in attesa, che l’Esercito di Liberazione Cinese non resterà mai con le mani in mano e che la Cina adotterà risposte risolute e contromisure forti per difendere la propria sovranità e integrità territoriale”, ha dichiarato il portavoce.
Per evitare “contromisure”, Biden ha avuto un colloquio di due ore e mezza con l’omologo cinese Xi Jinping in cui hanno discusso di molti temi fra cui Taiwan. Le parole di Xi, secondo quanto riferito dal portavoce, sono state estremamente dure: la Cina difenderà la sua integrità nazionale (che nella visione di Pechino include anche Taiwan) che rappresenta “l’inflessibile volontà di 1,4 miliardi di cinesi”. La Casa Bianca invita la Cina ad evitare reazioni troppo forti, anche perché la Pelosi ha tutto il diritto di visitare Taipei. John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale ha ribadito che la politica di “una sola Cina” non è cambiata dal 1979. E che gli Usa non riconosceranno Taiwan come nazione indipendente: “Abbiamo detto ripetutamente che ci opponiamo ad ogni cambiamento unilaterale dello status quo, da entrambe le parti”. Quindi anche da parte di Pechino.
Le forze armate cinesi, che stanno celebrando in questi giorni l’anniversario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione, stanno incrementando la loro attività. Sono in corso esercitazioni della marina anche nelle acque della provincia di Fujian, di fronte a Taiwan.
Un precedente risale al 1997, quando Newt Gingrich, allora presidente della Camera (un Repubblicano) si recò in visita a Taipei. Il regime cinese, allora guidato da Jiang Zhemin, protestò ma non reagì. C’è da dire, però, che la Cina quell’anno era assorbita dalla restituzione di Hong Kong e il regime aveva la mente altrove. Adesso, al contrario, Taiwan è al centro dell’attenzione, non solo in Asia.