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LA FIGURA

Péguy, uno scrittore “profeta” del nostro tempo

Il 7 gennaio di 150 anni fa nasceva lo scrittore e poeta francese Charles Péguy. Dopo la conversione al cattolicesimo, sentì l’urgenza di tornare al messaggio centrale del Vangelo. Grandioso il suo poema “Eva”, sui cui versi si basa anche un’opera musicale di Jehan Alain.

Cultura 10_01_2023

Centocinquanta anni fa, il 7 gennaio 1873, nasceva a Orléans, nella Francia centro-settrionale, un «letterato fuori serie, uno scrittore inclassificabile»: Charles Péguy. Così lo definisce Bernard Guyon († 1975) a conclusione di un attento studio sul poeta francese; e aggiunge: «Mai sarà completamente accettato. Mai diverrà un “classico” nel senso ordinario del termine. Mai cesserà d’essere discusso. Ma finché il nostro vecchio popolo si manterrà ad un certo livello spirituale, la sua opera farà prorompere in esclamazioni simili a quella che uscì dalle labbra di Roman Rolland, al termine d’una lunga vita dedicata alla meditazione dei geni: “Je ne puis rien lire après Péguy (Non riesco a leggere niente dopo Péguy)”» (B. Guyon, Péguy, Hatier, Parigi 1961, p. 281).

Appartenente a una famiglia di umili condizioni, studia per pochi anni – grazie a una borsa di studio – con il filosofo Henry Bergson († 1941) all’École normale supérieure di Parigi. Per abbattere le barriere che dividevano i ricchi dai poveri, insegue il miraggio socialista. Conduce una battaglia contro quattro idoli del «mondo moderno»: lo scientismo, secondo cui l’unica verità accettabile è quella che può essere conosciuta e verificata sperimentalmente; lo storicismo, in cui si dice che la verità cambia secondo il suo adeguamento ad un'epoca determinata della storia che di per sé passa; il progresso, contro cui lo scrittore francese ha parole di fuoco, riconoscendo e accettando lo sviluppo tecnico, ma non a sfruttamento e detrimento dell’umano; il denaro, il quale «per la prima volta nella storia del mondo […] è un padrone senza limiti e senza misura. Per la prima volta […] è solo in faccia allo Spirito. […] Per la prima volta nella storia del mondo è solo davanti a Dio» (C. Péguy, Note conjointe sur M. Descartes et la philosophie cartésienne, 1031-1032).

Tornato alla fede nel 1908, Péguy sente l’urgenza di ricostruire la cristianità sugli elementi più genuini del Vangelo, ritrovando, da vecchio socialista, il senso della solidarietà e interdipendenza, poiché «bisogna salvarsi insieme. Bisogna arrivare insieme dal buon Dio. Bisogna presentarsi insieme. Non bisogna arrivare a trovare il buon Dio gli uni senza gli altri. Bisognerà tornare tutti insieme nella casa di nostro Padre. Bisogna anche pensare un po' agli altri; bisogna lavorare un po' (gli uni) per gli altri. Che ci direbbe se arrivassimo, se tornassimo gli uni senza gli altri» (C. Péguy, Il mistero della carità in Giovanna dArco, Jaca Book, Milano 1997, p. 39). Péguy muore in guerra il 5 settembre 1914, combattendo nella prima battaglia della Marna, nella Francia settentrionale.

Il 28 dicembre 1913 usciva nei Cahiers de la Quinzaine (Quaderni della quindicina), la rivista da lui fondata nel 1900, il suo immenso poema Eva, un lunghissimo discorso rivolto da Cristo alla progenitrice dell’umanità. Questa sua grandiosa opera finale rappresenta, secondo il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar «l’unico grande tentativo – dopo la Civitas Dei di Agostino – di acquisire dominio poetico sulle tre essenziali situazioni teologiche […] dell’uomo reale: stadio originario nel tempo innocente, stadio peccaminoso nel tempo caduto che corre verso la morte e la perdizione, stadio della salvezza in Cristo e Maria che ricevono l’eredità del mondo e riportano alla casa del Padre la messe della morte» (H. U. von Balthasar, Stili laicali, in Gloria, vol. 3, Milano 1986, p. 444).

Nel 1938, l’organista e compositore francese Jehan Alain musicò la Prière pour nous autres charnels (Preghiera per noialtri carnali), tratta dai versi 2969-3444 di Eva dello scrittore di Orléans, per tenore, basso e organo. Come Péguy, il compositore fu patriota e cristiano e morì in guerra il 20 giugno 1940. Il pezzo, eseguito per la prima volta l’11 novembre 1938, fu poi orchestrato dal musicista francese Henri Dutilleux († 2013), audace erede di Claude Debussy († 1918), per un concerto nel novembre 1944, tre mesi dopo la Liberazione di Parigi. «Era il 1944», diceva il compositore in un’intervista del 1996. «Ho accettato di farlo prima di tutto per profondo rispetto per la memoria di Jehan Alain e per la musica che questo giovanissimo compositore ci ha lasciato, e anche perché sono affezionato a Péguy. I versi iniziali di questa Prière pour nous autres charnels sono travolgenti da soli – “Beati coloro che son morti per la terra carnale, ma purché sia stato in una guerra giusta” – e la scelta di Alain di questa poesia – nel 1939 – colpisce noi come premonitrice. Ma questo testo non aveva una forza premonitrice [in] Péguy stesso?» (H. Dutilleux, Mystère et mémoire des sons, Parigi 1997, nostra traduzione, p. 235). Ecco il testo della preghiera in nostra traduzione:

«Beati quelli che son morti per la terra carnale, / Purché sian morti per una giusta guerra. / Beati quelli che sono morti per un pugno di terra. / Beati quelli che son morti d’una morte trionfale. / Beati coloro che morirono nelle grandi battaglie, / Coricati sul suolo al cospetto di Dio. // Beati quelli che morirono sopra l’ultima altura / In mezzo a scenario di grandi funerali. / Beati quelli che sono morti per le città carnali, / Perché sono esse il corpo della città di Dio. / Beati quelli che sono morti per il loro focolare e il loro angolo, / E per i poveri onori della casa paterna. / Perché sono l’immagine e il principio / E il corpo e la prova della casa di Dio. / Beati coloro che sono morti perché sono tornati / Nell’antica dimora e nella vecchia casa. // Sono scesi nella giovane stagione / Onde Dio li risuscitò miseri e nudi. / Felici quelli che sono morti, perché sono tornati / Nell’argilla originaria nutrita dai loro resti / In questa prima tomba, in torba e carbone. / Beati i grandi vinti, i re delusi».

Anche questa musica commovente ci fa dire Charles Péguy ancora attuale, a centocinquanta anni dalla nascita, anzi un profeta del nostro tempo.