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IL CASO MUZZARELLI

Pd convertito al federalismo sulla via di Modena

"Finora noi sindaci abbiamo fatto i gabellieri per conto dello Stato centrale. Adesso basta: almeno una quota delle risorse deve restare qui in Emilia, c’è tanto lavoro da fare, dalle strade alla sanità". Non lo dice un leghista, ma Muzzarelli, sindaco di Modena, del Pd. Lombardia e Veneto, col referendum sull'autonomia, danno l'esempio. 

Politica 07_09_2017
Modena

Le parole pronunciate due giorni fa dal sindaco Pd di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, hanno fatto discutere e creato imbarazzo soprattutto tra i dem. "Finora noi sindaci abbiamo fatto i gabellieri per conto dello Stato centrale. Adesso basta: almeno una quota delle risorse deve restare qui in Emilia, c’è tanto lavoro da fare, dalle strade alla sanità", ha dichiarato il primo cittadino della città emiliana. Al che, qualcuno ha sommessamente fatto notare che ci sono regioni come la Lombardia e il Veneto che questa consapevolezza l’hanno maturata già da tempo, promuovendo perfino dei referendum ad hoc, al fine di ascoltare la voce dei cittadini e di coinvolgerli fin dall’inizio in questa pacifica e salutare crociata federalista.

In verità in Emilia Romagna il presidente Stefano Bonaccini mesi fa aveva già lanciato l’idea di una via “soft” al federalismo, basata sull’articolo 116 della Costituzione, che offre alle Regioni con i bilanci in ordine una maggiore autonomia anche fiscale. Nelle prossime settimane sindaci di molte città emiliano-romagnole, tra cui Modena, rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori si riuniranno per definire un documento che lo stesso Bonaccini porterà a Roma per sottoporlo ai vertici del governo.

Ma la forza prorompente che avranno i referendum del 22 ottobre nelle altre due regioni del nord non è minimamente paragonabile all’iniziativa della Regione “rossa”, che appare soprattutto un’azione burocratica che intende sfruttare la sponda di Palazzo Chigi. La legislatura, però, volge al termine, e non è detto che nella prossima come Presidente del Consiglio ci possa essere ancora un esponente Pd disponibile a portare avanti il discorso.

Che la sinistra si converta al federalismo e sposi le battaglie leghiste senza dichiararlo esplicitamente lo si capisce anche dal prosieguo del discorso fatto dal sindaco di Modena: "C’è molta stanchezza verso il centralismo. Le tasse locali ora vanno tutte a Roma e torna indietro una quota molto bassa". Ovviamente, però, mentre Maroni e Zaia possono muoversi in scioltezza, gli amministratori locali di partiti di sinistra devono muoversi in punta di piedi senza urtare la suscettibilità di chi sta al governo e senza provocare scontri e conflitti istituzionali, tanto più alla vigilia del voto politico.

Daniele Manca, sindaco di Imola e presidente dell’Anci regionale, ha dichiarato alla Stampa che "l’obiettivo è recuperare risorse che vengono dai nostri cittadini e gestirle direttamente, con un accordo tra Regione, Comuni e Province". Ma quali dovrebbero essere queste risorse da trattenere sul territorio? In primo luogo Irpef, Rc Auto e imposte di bollo, ma anche altre. 

Questa mobilitazione del Pd emiliano-romagnolo ai vari livelli istituzionali dimostra con nitidezza che sempre di più contano le ragioni del territorio anziché le distinzioni tra destra e sinistra e che le battaglie non assumono più la veste di contrapposizioni tra partiti ma di rivendicazioni da parte di aree del Paese non più disposte ad accettare che lo Stato funzioni in questo modo squilibrato e penalizzante per chi produce di più e si dimostra più virtuoso.

E’ il principio che ha spinto la Regione Lombardia e la Regione Veneto a promuovere i referendum sull’autonomia, in calendario il 22 ottobre. Il traguardo da raggiungere, con una massiccia partecipazione dei cittadini e una schiacciante vittoria dei “si”, è quello di valorizzare gli elementi di specialità di quelle due regioni, attraverso l’ottenimento di una forte autonomia politica e amministrativa, con relative risorse. Il modello del regionalismo differenziato, che si ispira al federoregionalismo spagnolo, costituzionalizzato in Italia con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, è basato sul metodo della trattativa tra Stato e regione interessata, ma sin qui è rimasto solo sulla carta. Nel frattempo, le contraddizioni all’interno del Paese si sono acuite. La Lombardia è costituita da 10 milioni di abitanti, copre circa un quarto del Pil del Paese, ha una spesa pubblica del 34,6% in rapporto al Pil regionale, ha un residuo fiscale di circa 56 miliardi di euro ed è intensamente industrializzata.

Una ricerca dell’Ufficio studi Confcommercio rileva che, se tutte le regioni adottassero i criteri di spesa del Pirellone, vi sarebbe un risparmio, in termini di spesa pubblica, pari a 74 miliardi di euro per il Paese. La Lombardia è la regione che ha meno dipendenti pubblici (circa 41 ogni 1000 abitanti, meglio della Germania, della Spagna e del Regno Unito) e il rapporto tra i dipendenti pubblici e la popolazione residente è del 4,02%, contro il 5,18% del resto del Paese. Il costo del lavoro dei dipendenti pubblici lombardi è di gran lunga più basso rispetto al resto del Paese e risulta pari a 18,75 euro. Al secondo posto c’è proprio il Veneto, con 29,38 euro e al terzo l’Emilia Romagna, con 35,22 euro, mentre il costo medio per le regioni a statuto ordinario è di circa 39 euro. Queste cifre dimostrano in modo eloquente che la responsabilizzazione, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica e l’autonomia, se ulteriormente rafforzate dall’esito dei referendum di ottobre, possono valorizzare le eccellenze lombardo-venete e creare una sorta di benchmark per l’intero Paese rispetto al tema dell’ottimizzazione delle risorse. Il Pd si sta convertendo in ritardo a questi ragionamenti, ma ciò è comunque la riprova che si tratta di un’evoluzione naturale e necessaria dell’organizzazione dei poteri e dei territori, alla quale nessuna forza politica potrà opporsi.