Paul Ryan il cattolico che piace ai Tea Party
Il nuovo presidente della Camera federale degli Stati Uniti è Paul Ryan, ex candidato alla vicepresidenza nel 2012. E' cattolico, come il suo predecessore John Boehner. Ma contrariamente a lui, piace al movimento Tea Party per la sua provata fede anti-establishment.
La successione al presidente dimissionario della Camera federale di Washington John Boehner, è compiuta. A sostituirlo, dal 29 ottobre, è Paul Ryan, giovane, aitante, di ottime prospettive, capace persino (e non è facilissimo) di far scordare certe magre come l’essere stato il candidato alla vicepresidenza di Mitt Romney nel 2012 e di avere con lui fallito.
Deputato del Wisconsin dal 1998 e sempre con margini superiori al 60% dei voti, il vero salto di qualità Ryan lo ha spiccato alla presidenza della Commissione Bilancio della Camera dal 2011 al 2015, quando non ha solo fatto le pulci ai conti della macchina governativa, ma ha pure proposto quei funzionali piani alternativi di riduzione delle tasse e di contenimento della spesa pubblica che ne hanno fatto un beniamino del movimento dei “Tea Party”. Conservatore con le carte in regola a ogni voce di programma (dalla politica interna ai princìpi non negoziabili), Ryan è così divenuto il simbolo vivente della sfida ai vecchi arnesi di partito, vale a dire cioè che con una formula usurata ma sempre efficace viene chiamato “establishment”.
Ora, nel personale di quell’establishment i “Tea Party” avevano da tempo iscritto anche Boehner che proprio per questo, al termine di un lungo braccio di ferro, ha lasciato. Che al suo posto sia arrivato Ryan significa che l’establishment ha perso e che l’ala più barricadera ha vinto. Il candidato più naturale per la successione a Bohner era infatti il deputato della California Kevin McCarthy, buon conservatore pure lui. McCarthy era il favorito un po’ perché leader della maggioranza Repubblicana alla Camera, un po’ perché in sintonia con lo stesso Boehner, ma gli oltranzisti che hanno avuto ragione di Boehner sono riusciti a bloccare pure lui assicurandosi uno dei posti chiave dell’architettura istituzionale degli Stati Uniti. Sconfitto è insomma l’establishment più disponibile al compromesso con l’Amministrazione Democratica; meglio: quello che l’ala dei Repubblicani facente riferimento ai “Tea Party” percepisce come l’establishment più disponibile al compromesso se non addirittura all’inciucio. Le due cose, infatti, sono molto diverse.
Delle molte considerazioni possibili, la prima ha la veste di una notizia. Questa: il mondo dei “Tea Party”, ultimamente dato (dai media) per disperso, è tornato, e in verità non se n’è mai andato. È attivo, è forte, e forse lo è più di prima. Certamente più di prima riesce a incidere nel profondo del Partito Repubblicano (dove ha fondato una vera e propria colonia) e, per suo tramite, nelle istituzioni del Paese. All’arco ha ancora molte frecce, temibili in un anno di elezioni quale sarà il 2016.
La seconda considerazione è che con l’avvento di Ryan alla presidenza della Camera il baricentro politico del Partito Repubblicano, in costante spostamento a destra da decenni, ma in fortissima accelerata negli anni della presidenza di George W. Bush (2000-2008) e di Barack Obama (dal 2008), si è mosso ancora più a destra.
La terza è che questo spostamento a destra non avviene affatto ai danni della “Sinistra” interna ai Repubblicani per il semplice fatto che la “Sinistra” interna non c’è più. Storicamente, il cosiddetto establishment ha incarnato l’ala liberal del partito, per lungo tempo maggioritaria, e per questo avversata dai conservatori. Ma proprio perché il baricentro del partito sta da anni puntando a destra, lo spazio politico dei liberal si è assottigliato fino di fatto a scomparire. Il risultato è che quello che viene chiamato establishment oggi non è più la Sinistra liberal interna, ma una Destra diversa da quella movimentista aggregata ai “Tea Party”.
Quarta considerazione: con l’uscita di scena di Boehner (e di McCarthy), l’establishment (oramai di destra, benché di una Destra diversa da quelle dei “Tea Party”) di fatto evapora lasciando il posto a un “monocolore” movimentista. Fine dello scontro? Forse no. Come dimostrano queste vicende, in casa Repubblicana il termine establishment ha perso i connotati ideologici finendo per significare soltanto politica di governo (dei quadri Repubblicani). Ma se così è, una volta eletto alla presidenza della Camera (politica di governo dei quadri Repubblicani) l’anti-establishment Ryan è già automaticamente il simbolo dell’establishment (nuovo). Vale a dire: o i “Tea Party” sono la nuova “casta” Repubblicana, oppure il vecchio gergo politico è oramai afono. Potrebbero sembrare solo oziose questioni di filologia, se non persino di vacuo nominalismo, ma non lo sono affatto. La presidenza Ryan è infatti il vero banco di prova (qualcuno direbbe le forche caudine) dei “Tea Party”, chiamati finalmente a essere il nuovo “sistema” del Partito Repubblicano, con tutto ciò che questo comporta, oppure destinati a non sbocciare mai in un’autentica cultura di governo. Visto che prestissimo dovranno accompagnare la selezione del candidato presidenziale che sfiderà lo sfascismo dei Democratici, e auspicabilmente governare il Paese più importante del mondo, è ora che facciano mente locale. Il poscritto non secondario è che entrambe le Destre del Partito Repubblicano, “casta” e “movimento”, hanno espresso figure istituzionali (Boehner e Ryan) di grande serietà e di sicura fede, cattolica.