Parola di "femminista": «Le ragioni della Chiesa sul sesso»
La filosofa Therese Hargot contraddice l'antitesi fra materinità e carriera. Bellissima e colta, condanna la contraccezione che col femminismo sessantottino è servita a rendere "il corpo della donna un oggetto" e a privare l'uomo delle sue responsabilità.
-SCIOPERO PER OGNI INGIUSTIZIA? di P. Zola
E’ belga, è sposata, ha 3 figli, una laurea in filosofia e un master in scienze sociali alla Sorbona di Parigi e ha solo 32 anni. Ma Thérèse Hargot non contraddice solo “l’antitesi contemporanea (che ha il suo simbolo nella contraccezione) per cui la maternità e la carriera sono inconciliabili” avendo studiato mentre era già sposata con bambini al seguito, ma bellissima e tutt’altro che volgare dimostra anche che la donna è valorizzata dalla sua modestia. Femmina fino al midollo, Thérèse pare poi la dimostrazione vivente del fatto che affidamento all’uomo non è sinonimo di “debolezza”, anzi. Questa giovane filosofa francese è molto decisa e sicura di sé, proprio perché sa che “l’ambivalenza femminile” si risolve nell’affidamento alla figura maschile. Infine, da non credente dimostra che “la visione della Chiesa sull’uomo non è vera solo per chi ha fede”, ma per ogni uomo ragionevole. Questi i temi che Hargot toccherà anche durante l’ultima tappa del tour italiano (domani ore 15 Cinema Teatro Cristallo di Cesano Boscone - Milano -) di presentazione del volume “Una gioventù sessualmente libera” (Sonzogno, pagine 176, 14,03 euro).
Hargot, nel suo libro parla dell’aborto come di una conseguenza della contraccezione, per poi spiegare che la vera libertà è nella messa in pratica dei metodi naturali. Può spiegarci perché?
Il fatto che le donne possano conoscere il proprio corpo dà loro una grande autonomia, ma anche ai loro uomini. Per me la vera libertà non può risiedere nella dipendenza da un medico che mi prescrive la contraccezione e da una ditta farmaceutica che produce contraccettivi.
Come mai sostiene che la contraccezione sia responsabile di una visione sociale che ha reso la figura della madre antitetica a quella della lavoratrice?
Quando la donna contemporanea arriva al momento fatale della nascita del primo figlio si accorge che esiste un’incompatibilità fra questi due ruoli. Non perché lo siano di per sé, ma perché la nostra società li ha resi tali, spingendo la donna a fare carriera come se fosse un uomo, secondo modalità che non le appartengono. In questo senso il femminismo ha fallito. La vera rivoluzione sociale, il nuovo femminismo, dovrebbero all’opposto spingere affinché il mondo del lavoro permetta alle donne di fare carriera tenendo conto del loro ruolo di madre, ad esempio attraverso la flessibilità o comunque secondo tempi e modi adatti alla natura femminile. Bisognerebbe poi aiutare le adolescenti a prendere confidenza con il proprio corpo e i propri desideri, anche quello di formare una famiglia senza contrapporlo alla volontà di fare carriera. Anche perché la maternità valorizza la donna nelle sue capacità.
La contraccezione è l’esito di una visione “libertina” riassunta dallo slogan del “corpo è mio e lo gestisco io”. Eppure mai come nel secolo femminista la donna è diventata un oggetto. Perché secondo lei?
Sì, predicare che “il corpo è mio" e dunque "lo gestisco io” ha trasformato il corpo femminile in un oggetto. Questa stessa frase di fatto giustifica la mercificazione consensuale del corpo. Lo vediamo con l’utero in affitto: “Se la donna vuole – si sente dire - lo può fare”. Solo che chi sposa quello slogan non ha poi nemmeno argomenti teorici con cui confutare, ad esempio, la pratica dei servizi sessuali delle adolescenti in cambio di soldi o di cellulari. Per questo credo che sia un’ipocrisia quella delle femministe che si oppongono a queste pratiche o all’utero in affitto senza rivedere le premesse del loro pensiero riassunto da quello slogan.
Pensa che ci sia un legame fra i diritti femministi e la guerra che mira a rendere la donna e l’uomo nemici?
Il fatto è che il femminismo di Simone de Beauvoir e delle sue compagne ha prodotto un ideale femminile superiore a quello maschile, misconoscendo l’uguaglianza fra i sessi che a parole dicevano di volere. Ma anche in questo caso il conflitto è possibile grazie alla contraccezione che genera una guerra interna alle donne, le quali faticano appunto a far convivere il loro essere madri con il loro essere donne. E’ grazie a questa lotta interna che la guerra è potuta scoppiare anche a livello sociale.
Descrive la donna come un essere dalla natura ambivalente: può essere incinta, desiderare di avere il figlio e nello stesso tempo avere dei dubbi a riguardo. Al contrario l’uomo è l’autorità che, a garanzia della legge, ricorda alla donna che il figlio deve venire al mondo. In questo modo non contrappone anche lei i due sessi?
Non direi, perché l’uomo ha questa natura in funzione protettiva della donna, sebbene la società lo abbia spodestato dal suo ruolo. Basti pensare alla legge sull’aborto che lo priva di ogni responsabilità.
Quando parla di legge cosa intende?
Non di “lex” ma di “ius”, ossia non di legge particolare, adattata al caso singolo, ma di norma generale. Infatti, c’è un livello oggettivo fondamentale della legge (ius) che poi si sviluppa a più livelli da adeguare ai casi particolari (lex). La legge sull’aborto contraddice lo ius banalizzando il problema della maternità. Vorrei ripetere però che il problema a monte resta la contraccezione, a cui l’aborto fa da servizio clienti in caso di fallimento.
Qual è invece la funzione della donna rispetto all’uomo e quindi alla società?
La donna è testimone del mistero della vita. Mi piace molto una frase di GPII per cui “la donna è testimone dell’invisibile”. Testimonia, cioè, un legame con il senso sacro dell’esistenza. Per questo il suo ministero è quello dell’umiltà, nel senso che ha il compito di ricordare al maschio che non è Dio. Ad esempio, quando una donna partorisce soffrendo dice all’uomo la sua impotenza: lui inquel momento ha il compito di proteggerla ma nello stesso tempo non può fare nulla per impedire il travaglio doloroso. Questa posizione di umiltà in cui l’uomo viene messo dalla donna gli è poi necessaria ad accompagnare il figlio nella vita.
Molto spesso il suo pensiero arriva alle stesse conclusioni del Magistero della Chiesa. Non si è mai chiesta perché?
Me lo spiego con il fatto che condividiamo la stessa visione filosofica relativa all’idea di persona: per la Chiesa la fede e la ragione sono due ali con cui l’intelletto si eleva verso la verità. Questo è il lato interessante per i cattolici del mio lavoro, che condividendo da laica il realismo del magistero cattolico dimostro proprio la ragionevolezza della fede.