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LA SVOLTA CHE MANCA

Parità scolastica, il vero nodo è economico

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Il governo vuole equiparare l’abilitazione dei docenti delle scuole paritarie a quella delle statali. Bene, ma serve anche una riforma finanziaria: altrimenti, le paritarie rischiano un esodo di insegnanti verso lo Stato.

Editoriali 12_07_2023

Nei giorni scorsi è stato presentato alla Camera un emendamento al Decreto Pa Bis, col quale si propone di equiparare i docenti delle scuole statali a quelli delle paritarie in termini di abilitazione all’insegnamento. Si intende, con ciò, provare a risolvere una situazione che grava su questo settore ormai da anni e che ha creato diffusi disagi, oltre a una discriminazione lavorativa.

Le norme attualmente in vigore, infatti, hanno generato una cronica precarietà lavorativa degli insegnanti delle scuole paritarie, con tutto quello che ne consegue per la gestione complessiva della scuola, della didattica e, inevitabilmente, dei rapporti con le famiglie. In base alla Legge 62/2000, la parità scolastica è riconosciuta solo alle scuole non statali che soddisfano determinati requisiti, tra cui la presenza di personale docente abilitato; tuttavia, molti di questi insegnanti non possono ottenere l’abilitazione a causa delle politiche di assunzione messe in campo dallo Stato negli ultimi anni.

Il governo in carica vuole provare, pertanto, a risolvere finalmente questa situazione, permettendo ai docenti delle scuole paritarie, che abbiano insegnato per almeno tre anni negli ultimi cinque, di conseguire l’abilitazione accumulando solo 30 crediti invece di 60. La proposta prevede un meccanismo transitorio fino al 2025/2026 per riconoscere la validità del servizio di insegnamento presso le scuole paritarie come requisito per la parità, anche in assenza dell’abilitazione. Si offre così a questi docenti l’opportunità di essere assunti a tempo indeterminato, eliminando nel contempo la necessità per queste scuole di assumere personale docente appena laureato.

Come accaduto in passato per situazioni analoghe, tuttavia, quello che può sembrare un passo in avanti verso una reale parità scolastica, rischia di produrre altri problemi per le paritarie, secondo la logica della “coperta troppo corta”… La possibilità di conseguire a condizioni facilitate l’abilitazione, infatti, potrebbe favorire un massiccio travaso di insegnanti neoabilitati dalle paritarie alle statali. Perché questo? La ragione è semplice e nota sin dall’anno 2000, quando fu varata la Legge 62 dall’allora ministro Berlinguer: il vero nodo della parità è economico. Tutte le norme che equiparano la scuola paritaria a quella statale riguardano perlopiù obblighi per le prime: abilitazione dei docenti; organi collegiali; sicurezza; piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; obbligo di accettare alunni con handicap (ma nessun diritto per la scuola all’insegnante di sostegno); rispetto dei contratti collettivi nazionali, eccetera. Nessuna equiparazione, invece, a livello economico, il che avrebbe rappresentato la vera risposta al problema della parità.

Ne consegue una precarietà strutturale di molte di queste realtà, che si esprime nei bassi livelli stipendiali dovuti a contratti piuttosto miseri, nelle croniche difficoltà per moltissime scuole paritarie a far quadrare i bilanci senza essere costrette ad aumentare costantemente le rette per le famiglie, e che genera nelle persone che vi prestano servizio un’endemica sensazione di instabilità lavorativa. Così, chi ne ha l’occasione spesso e volentieri transita nei ruoli dello Stato, dove si godono stipendi migliori (bassi, ma pur sempre migliori) e, nonostante l’ambiente lavorativo possa risultare meno gratificante, si può aspirare al tanto agognato “posto fisso”. E che quella della precarietà non sia solo un’impressione di persone ansiose, ma una sensazione fondata, lo dimostrano purtroppo i dati ufficiali elaborati dal Ministero dell’istruzione e del merito e dal Centro studi scuola cattolica della Conferenza episcopale italiana: dall’anno 2000 ad oggi, le scuole paritarie hanno perso il 38,1% degli allievi, passando da 1.186.667 a 734.415: quasi una desertificazione.

Un’emorragia di iscrizioni certamente dovuta anche al calo delle nascite (che ha colpito pure la scuola statale che però, nel medesimo arco di tempo, ha perso “soltanto” il 3,4% degli allievi), ma soprattutto al fatto che tantissime scuole non statali sono state costrette a chiudere, non essendo più in grado di sostenere gli ingenti costi di gestione, a fronte di un contributo statale più che residuale. 

Attribuire l’abilitazione ai docenti delle paritarie è pertanto una buona cosa, perché aiuta a risolvere un problema, ma rischia di incentivare l’emorragia di docenti verso lo Stato e non contribuisce, nella sostanza, a realizzare una vera parità scolastica. Se non ci si decide a mettere in campo con coraggio una riforma seria e sostenibile del sistema di finanziamento delle scuole paritarie, magari attraverso il meccanismo del costo standard e della quota capitaria, assisteremo inevitabilmente ad una sempre più drastica riduzione del numero di scuole non statali e alla trasformazione di quelle residue in istituti di élite, riservate ai pochi o pochissimi che se le possono permettere. Ma, forse, è proprio ciò che si vuole.