Parità scolastica, così la legge ha mandato in crisi le paritarie
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La legge di parità si è rivelata una sostanziale sclerotizzazione della disparità, avendo esteso alle scuole non statali, a fronte di un contributo finanziario irrisorio, una serie di obblighi burocratici e gestionali che ne hanno appesantito il funzionamento, spesso snaturandole e, ancora più spesso, mettendole in ginocchio dal punto di vista economico.

Pochi giorni fa, a margine del convegno sulle Nuove Indicazioni Nazionali, suor Anna Monia Alfieri ha denunciato una situazione critica ai microfoni di Orizzonte Scuola: “L’Italia è l’unica grave eccezione, accanto alla Grecia, in Europa. In tutto il continente, le famiglie scelgono a costo zero tra scuola statale e paritaria, avendo già pagato le tasse”.
E’ vero, sono ormai trascorsi venticinque anni dall’introduzione della legge 62/2000 sulla parità scolastica, varata dall’allora Ministro dell’Istruzione Berlinguer, e il pluralismo educativo in Italia rimane ancora un miraggio. Le scuole paritarie, spesso guardate con sospetto o con malcelato disprezzo, poiché considerate fasulle o, viceversa, troppo elitarie a causa delle rette esose che le famiglie sono costrette a sborsare, ricevono dallo Stato solo un magro contributo, pari a 700 euro per alunno, a fronte dei 7.300 euro spesi per ogni studente nella scuola statale.
Dopo aver raggiunto un picco di oltre 13mila scuole e quasi 1 milione e 300mila studenti intorno all’anno 2010, in questi ultimi anni migliaia di istituti hanno chiuso e attualmente sono rimaste in attività solo 11.000 realtà con circa 770mila studenti in totale, concentrate soprattutto al Nord.
Non era impossibile prevederlo: la legge di parità si è rivelata, in realtà, una sostanziale sclerotizzazione della disparità, avendo esteso alle scuole non statali - quelle che volevano essere riconosciute come paritarie - a fronte di un contributo finanziario irrisorio, una serie di obblighi burocratici, amministrativi e gestionali che ne hanno appesantito il funzionamento oltre misura, spesso snaturandole e, ancora più spesso, mettendole in ginocchio dal punto di vista economico.
Indubbiamente, in questi ultimi anni sono arrivati dai vari Governi diversi segnali positivi, facendo seguito alle pressioni delle associazioni di categoria; ultimamente, sono stati aumentati i contributi alle paritarie da 500 a 700 euro/alunno e avviati i percorsi di abilitazione per i docenti. Il Ministro Valditara ha anche promesso di rivedere la questione IMU, che grava sulle scuole con 500.000 euro annui, e di riprendere il discorso sul buono scuola, già adottato con successo in regioni come Lombardia e Veneto. Il problema, però, non è solo economico, e probabilmente non sarebbe sufficiente nemmeno una totale parità a livello economico a fermare il declino del settore delle scuole non statali.
Si ha la sensazione, infatti, che la spinta propulsiva della concezione cristiana, che ha sempre promosso la libertà di scelta educativa come valore imprescindibile, sia in via di esaurimento: il ruolo centrale dello Stato è ormai dato per scontato anche nella Chiesa e i compiti educativi, svolti dalla Chiesa lungo la storia, sono comunemente considerati supplenze temporanee là dove lo Stato non può o non vuole intervenire. La Chiesa si accontenta, ormai, delle “briciole che cadono dalla tavola dei padroni” e di fatto ha accettato, con il sistema integrato della parità, di essere interna e funzionale al progetto educativo statale, con tutto ciò che ne consegue anche a livello di impostazione educativa e formativa.
Il valore della “libertà di educazione”, da parte sua, sta diventando sempre più un concetto fumoso o addirittura estraneo per la maggior parte dei cristiani di nuova generazione. Perché mai, allora, si dovrebbe optare per una scuola paritaria anziché per la statale? Continuano a farlo, soprattutto, quelle famiglie che – potendo permetterselo - cercano un luogo che garantisca maggiore sicurezza, miglior accudimento per i propri figli o livelli esclusivi di insegnamento (per esempio nelle scuole internazionali in lingua). Insomma, una vera e propria nicchia.
Certamente, l’appello rivolto da suor Anna Monia alla premier Giorgia Meloni (“Il pluralismo educativo è il sogno libero e democratico dell’Occidente. Se si intervenisse con il buono scuola per le famiglie svantaggiate, potremmo almeno congelare lo status quo”) resta sacrosanto poiché fondato su un diritto originario e imprescindibile dei genitori, che in quanto tali hanno la priorità assoluta a riguardo della educazione dei figli; tuttavia, sarebbe auspicabile che la Chiesa tornasse a ribadire apertamente quanto ha sempre sostenuto fino alla metà del secolo scorso, sfidando apertamente il potere e ricordando ai cristiani i propri diritti/doveri in tema di educazione, così come con mirabile chiarezza e coraggio è espresso nella Enciclica Divini illius Magistri di Pio XI, vera e propria “Magna Carta” delle educazione cristiana dei della gioventù.
Non è solo un problema di democrazia, ma di verità e giustizia, nonché di responsabilità educativa della Chiesa nei confronti dei fedeli e della società intera.
Occorre tornare a rivendicare, innanzitutto, il dovere/diritto fondativo della Chiesa nell’educazione, perché sia recuperato anche il ruolo educativo dei genitori. Diversamente, si consoliderà sempre di più quanto profeticamente scrisse il prof. Stefano Fontana alcuni anni fa: “Rivendicare il dovere/diritto dei genitori di educare i propri figli senza rivendicare pubblicamente il dovere/diritto della Chiesa non raggiunge il fondo del problema. (….) Espulsa la Chiesa dalla pubblica educazione e negato che essa sia indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell’origine così nell’esercizio della sua missione educativa, come dice la Divini illius Magistri, dall’educazione vengono espulsi anche i genitori. Per questa via non si giungerà – come molti dicono - ad una educazione naturale, razionale, semplicemente umana, ma nascerà un altro Grande Educatore, il Mondo, che educherà anche i genitori e non solo i figli ad una religione disumana. L’uomo non si identifica immediatamente col cristiano, ma tolto nell’uomo il cristiano non rimarrà nemmeno l’uomo".
Chi lavora nella scuola, sa bene che tutto questo è già realtà in atto.