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EURO-FLOP

Parigi non val più una messa. Macron ospita un irrilevante vertice sull'Ucraina

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In risposta all'inizio delle trattative per la fine della guerra in Ucraina, che iniziano oggi a Riad, gli esclusi si incontrano a Parigi. Francia e Regno Unito, una selezione di governi europei, fra cui l'Italia e i vertici di Ue e Nato si confrontano su come continuare il sostegno all'Ucraina. Ma non hanno alle spalle né i mezzi né il consenso necessari. Esercizio di futilità europea.

Esteri 18_02_2025
Il vertice di Parigi (La Presse)

Almeno nei contenuti, a Parigi sembra essere andata in scena la replica della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, con la differenza che non vi sono state conferenze stampa e dichiarazioni pubbliche, conferma indiretta che la riunione informale di alcuni leader europei, conclusasi ieri sera poco prima delle 20, non ha portato e non poteva portare a nessuna decisione concreta.

Il primo ministro polacco e presidente di turno della UE, Donald Tusk, ha sottolineato l'importanza di coinvolgere tutti gli alleati della NATO per parlare con una sola voce e che le relazioni dell'Europa con gli Stati Uniti sono “in una nuova fase”.

Del resto ormai il dado è tratto e l’Europa, vittima di una guerra che lei per prima non ha cercato di evitare senza ricoprire il consueto ruolo di cameriere degli Stati Uniti, è tagliata fuori da un negoziato per la pace che verrà gestito nei contenuti esclusivamente da Stati Uniti e Russia.

Resta però evidente, oltre allo smacco subito da un’Europa oggi economicamente, militarmente e politicamente in ginocchio, il paradosso degli europei che sembrano voler fare di tutto per impedire la conclusione di un conflitto che li ha azzoppati e ridicolizzati e che militarmente né loro né gli ucraini possono vincere.

Come alla conferenza di Monaco, anche a Parigi sembra si sia discusso di sostenere in armi l’Ucraina, ma nessuno ha più armi e munizioni da inviare a Kiev, di istituire una “forza di pace” europea da schierare in Ucraina dopo gli accordi che nessuna nazione ha però intenzione di mettere in campo senza il sostegno (cioè la protezione) degli Stati Uniti e di una Russia che deve essere sconfitta quando di fatto ha già vinto sul campo di battaglia e sembra sicura di poter ottenere molto dai negoziati con gli Usa.

L’incontro informale di Parigi ha avuto lo scopo di assicurare a Emmanuel Macron un podio da cui riproporre il ruolo guida di Parigi in un’Europa della Difesa che appare divisa, priva di obiettivi credibili e che guarda al suo massiccio riarmo come un diktat imposto dagli Usa e con scarso realismo, poiché anche investendo oggi ingenti somme queste si tradurranno solo tra molti anni in maggiori capacità operative.

Del resto Macron guida una Francia politicamente da tempo instabile, con l’economia in profonda crisi e dove un recente rapporto ha rivelato che le forze aeree di Parigi dispongono di un numero di missili sufficienti a combattere non più di tre giorni contro l’aeronautica russa.

Anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha alzato la voce, pur se a pochi giorni dal voto che appare certo ricaccerà all’opposizione i partiti che composero il suo governo, dichiarando che «l'Ucraina non può accettare tutto ciò che le viene presentato, a nessuna condizione. L'Ucraina può fidarsi di noi», ha promesso, aggiungendo che gli europei «continueranno a sostenere» Kiev.  Promesse gratuite che non può mantenere a nome della Germania, figuriamoci a nome di tutta Europa.

All'incontro hanno partecipato anche (con scetticismo) il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, il premier spagnolo Pedro Sanchez, l’olandese, Dick Schoof, il polacco Donald Tusk, la danese Mette Frederiksen, oltre al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il segretario generale della Nato Mark Rutte e il premier britannico, Keir Starmer. Una sorta di meeting degli esclusi dal momento che i veri negoziati sul destino dell’Ucraina cominciano in realtà oggi a Riad, in Arabia Saudita, dove si incontrano delegazioni russe e statunitensi. 

Non è un caso che ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia usato toni duri con Donald Trump. «Il problema è che gli Stati Uniti oggi dicono cose che sono molto gradite a Putin. Penso che sia questo il problema. Perché vogliono compiacerlo».

Paradossale anche la posizione della Danimarca che ha ceduto a Kiev i suoi caccia F-16, tutta la sua artiglieria e munizioni e si trova minacciata dall’Amministrazione Trump che la definisce un “pessimo alleato” perché vuole prenderle la Groenlandia. Ciò nonostante Mette Frederiksen ha detto che «dobbiamo aumentare il sostegno militare all'Ucraina, produrre di più e farlo più velocemente. Dobbiamo anche rimuovere le restrizioni sull'uso delle armi da parte degli ucraini, in modo che possano effettivamente difendersi dai russi senza avere un braccio legato dietro la schiena. Un cessate il fuoco non deve portare a un riarmo russo seguito da nuovi attacchi russi». 

Insomma, la solita aria fritta degli ultimi tre anni, come le dichiarazioni del premier polacco Tusk. «Se noi europei non spendiamo molto per la difesa adesso, saremo costretti a spendere 10 volte di più se non impediamo una guerra più ampia. Come primo ministro polacco ho il diritto di dirlo forte e chiaro, dato che la Polonia spende già quasi il 5% del suo PIL per la difesa. E continueremo a farlo». Non è chiaro se Tusk non abbia compreso che la guerra in Ucraina si avvicina alla sua conclusione o se sia rammaricato per il mancato successo ucraino. In ogni caso esclude l’invio di truppe polacche in Ucraina.

Posizione su cui convergono di fatto moltissimi Stati membri della Ue inclusa Italia e Germania con Berlino che, per rendere disponibili i suoi militari, chiede un impegno totale degli Stati Uniti che però hanno già fatto sapere che non manderanno i loro soldati a Kiev e che se lo faranno gli europei non sarà sotto le bandiere della Nato e in caso di guerra con la Russia non potrà essere evocato l’Articolo 5 dell’alleanza che impone l’intervento di tutti gli alleati.

In realtà anche il dibattito sulle forze europee in Ucraina, che si trascina da settimane, è del tutto irrealistico dal momento che Mosca ha sempre sostenuto che il negoziato è possibile solo se non vi saranno basi e forze di paesi aderenti alla Nato in Ucraina. Lo ha ribadito ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov affermando che «il possibile dispiegamento di militari di Paesi della Nato in Ucraina presenterebbe complicazioni significative».

Solo Macron e il premier britannico Keir Starmer hanno anticipato la disponibilità a mettere a disposizione un contingente militare da schierare in Ucraina, ma da Londra diversi analisti e alti ufficiali in pensione hanno chiaramente ammesso che le forze britanniche non sarebbero in grado di far fronte a un impegno con forze rilevanti e col rischio di combattere i russi.

In realtà anche l'Olanda non è contraria all'ipotesi di inviare truppe in Ucraina, ma qualsiasi operazione del genere avrebbe bisogno del sostegno degli Stati Uniti, come ha detto il primo ministro olandese Dick Schoof. Quindi non se ne farà nulla e del resto l’esercito olandese conta appena 13mila militari il che significa che potrebbe schierarne in Ucraina non più di un paio di migliaia.   

Di fronte all’irreale e infondato approccio europeo sembra emergere invece una più ragionevole proposta statunitense tesa a mettere in campo una forza di peacekeeping in Ucraina che includa truppe di nazioni neutrali quali Brasile o Cina, da schierare a presidio di un'eventuale linea di cessate il fuoco.

Si tratta in ogni caso di ipotesi premature (come ha fatto sapere anche il governo brasiliano) anche perché la Russia ha ribadito ieri per voce dell'ambasciatore all’Onu Vassily Nebenzia che «la futura Ucraina dovrebbe essere uno Stato demilitarizzato e neutrale, che non appartenga ad alcun blocco o alleanza».

Il summit di Parigi sembra quindi aver posto ancora più in luce l’irrilevanza e l’assenza di valutazioni realistiche dell’Europa ma anche le sue sempre più evidenti divisioni interne, palesate anche dalle reazioni isteriche alle dure critiche mosse dal vicepresidente statunitense JD Vance.

Il governo ungherese ha criticato l'incontro "filo-bellico" di Parigi definito un «vertice di persone frustrate che non vogliono la pace», come ha affermato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, denunciando «una strategia errata di coloro che continuano a provocare un'escalation. A differenza di loro, noi sosteniamo le aspirazioni di Donald Trump».

Anche il primo ministro slovacco, Robert Fico, in una conversazione telefonica con il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, ha chiesto di chiarire le circostanze del vertice informale di Parigi. Il premier slovacco considera la partecipazione di rappresentanti dell'Ue alla riunione senza un mandato «un evento che non aiuta la fiducia all'interno dell'Ue». L'Unione «non è autorizzata a prendere decisioni sullo schieramento di truppe straniere nel territorio di un altro Stato», ha spiegato Fico.

Romania e Repubblica Ceca deplorano invece di non essere state invitate a Parigi, denunciando così "l'arroganza" di Macron. «Nessuno ospita più rifugiati ucraini pro capite della Repubblica Ceca, e gestiamo uno dei sistemi di approvvigionamento di armi più efficienti», ha detto una fonte del governo ceco a Le Monde. A Bucarest Cristian Diaconescu, consigliere per la difesa e la sicurezza del presidente a interim Ilie Bolojan, ha espresso rammarico per il fatto che il suo paese non sia stato invitato a Parigi "nonostante i suoi sforzi" compiuti dalla Romania che a causa della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze soffre oggi di una forte instabilità.