Parasite, i poveri non sono senza peccato
Candidato all'Oscar come miglior pellicola straniera, il film Parasite, coreano, è un ritratto spietato di una lotta fra poveri e poi dei poveri contro i ricchi. Un film politicamente scorretto, che merita il premio, se non altro perché ci mostra la povertà senza poesia e senza sensi di colpa. Perché anche i poveri non sono senza peccato
Com’è noto, con l’Academy Award, detto anche premio Oscar, il cinema americano premia se stesso. Perciò, nulla spetterebbe al cinema altrui. Tuttavia, poiché i film americani incassano anche, se non soprattutto, al di fuori dei confini degli States, un premio, uno solo, lo si dà anche al «miglior film straniero». Quest’anno pare proprio che la statuetta andrà a un film coreano (Corea del Sud, ovviamente), Parasite, che onestamente lo merita davvero.
Tuttavia, se realmente verrà premiato, Hollywood dovrà farlo con grave imbarazzo, perché la trama di questo film contraddice in toto il marxismo liberal della Mecca del Cinema. Infatti, il titolo vuol dire proprio «parassita» ed è la storia di una famiglia di poveri che fa le scarpe ad altri poveri per installarsi da parassita in casa di una famiglia di ricchi. In tutta la vicenda, gli unici buoni, compassionevoli e morali sono proprio i ricchi, della cui ingenuità e disponibilità i «parassiti» approfittano indegnamente fino a cagionare la rovina di chi ha avuto il solo torto di accoglierli con fiducia. C’è un’unica scena osée, va detto subito, che il regista poteva risparmiarsi senza nulla togliere alla storia (ma va detto che questo è vero per tutti i film: fino alla rivoluzione sessuale il cinema ha resistito benissimo per decenni senza scene bollenti). Niente nudi, solo toccamenti. Tuttavia, la cosa fa riflettere: il #metoo non è altro che l’ennesima attrice cui il produttore ha indicato il divano preventivo se voleva una parte. Avuta la parte, il regista le indica il divano su cui dovrà avere rappprti con un collega attore talvolta mai visto prima del ciak. Però il produttore finisce nei guai per molestie, il regista no. Misteri di Hollywood. Ma torniamo al film.
La trama in breve è questa: una bella famiglia ricca con due figli e splendida casa dà lavoro a un autista e una governante. La famiglia parassita ha due figli giovani che, truccando carte e mentendo professionalmente, riesce a far licenziare autista e governante per farsi assumere al loro posto. Per giunta, il figlio-parassita fa innamorare di sé la figlia adolescente dei ricchi, mentre sua sorella, vera mente del complotto, plagia l’altro figlio dei ricchi, un bambino. L’autista viene fatto cacciare col semplice espediente di lasciare nell’auto del padrone un paio di mutande femminili (della parassita), la governante la si fa passare per tubercolotica (ketchup nei kleenex) colpevole di avere taciuto la sua malattia contagiosa. Tutti e quattro i parassiti si installano dunque nella stupenda magione e brindano al successo delle loro malefatte. Ma la vecchia governante torna alla carica e non diciamo il motivo perché da qui in poi cominciano i colpi di scena. Solo che a questo punto si scatena una guerra tra poveri che finirà in tragedia, e a farne le spese saranno tutti.
Ma i veri perdenti saranno i ricchi, che pagheranno salatissimo il fio di essersi fidati del loro prossimo meno abbiente. Se c’è una morale che a noi può interessare è questa: i poveri non sono categoria eletta, hanno il peccato originale come tutti; anzi, talvolta la loro avidità, esasperata dall’invidia, può rivelarsi davvero micidiale. La povertà evangelica è una virtù da acquisire con fatica e mantenere tramite la preghiera. Altra cosa rispetto alla semplice non abbienza.