Parabola vergini: tante raffigurazioni, un messaggio
La parabola narrata da Matteo è un monito unico e costante per i fedeli di ieri e di oggi: teniamo sempre viva la luce della nostra fede, mentre le rappresenatazioni artisitiche sono delle più diverse. Si va dalla Francia, alla Svizzera, alla Germania fino all'Italia con l'opera incompiuta, ma splendida, del Parmigianino in Santa Maria della Steccata.
«Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo» (Mt 25,1).
La parabola delle dieci vergini, propria del Vangelo di Matteo, ha a che fare con la venuta del Regno, potenzialmente imminente, che comporta, di conseguenza, l’incontro definitivo con Gesù, in questo contesto designato come “lo sposo”. La metafora evangelica, tra le più popolari nel corso del Medioevo, epoca particolarmente sensibile ai temi escatologici, fu fonte d’ispirazione per tanta arte gotica.
Ritroviamo, infatti, spesso queste fanciulle, stolte o savie che siano, rappresentate nell’apparato scultoreo delle principali cattedrali d’Oltralpe. In Francia, per esempio, ad Auxerre o a Reims, in Svizzera o in Germania. Qui sono celebri i portali della cattedrale di Strasburgo, prodigio di grandezza e leggiadria, diceva Victor Hugo. Le giovani donne si dividono in due gruppi a seconda che seguano Cristo o un bel giovane tentatore che dietro al suo manto nasconde, in realtà, rospi e serpenti.
Sempre restando in area germanica, ma compiendo un salto temporale in avanti di qualche secolo, ritroviamo lo stesso soggetto in un olio su tela di Peter von Cornelius. Il dipinto, realizzato tra il 1813 e il 1816, fa parte di una serie ideata dal pittore per illustrare tutte le parabole evangeliche. La scena è ambientata nel vicolo di un villaggio non meglio identificato. Gesù esce dalla porta del Paradiso, tenuta aperta dall’Apostolo Pietro, che, com’è noto, ne detiene le chiavi. Sul battente, non a caso, è raffigurata la Resurrezione. Cristo va incontro alle Sue spose, ovvero l’umanità tutta, tra cui è possibile distinguere le sagge, che tengono in mano le lampade accese, segno di una fede viva, dalle stolte che sul retro, viceversa, si affannano nella ricerca dell’olio per le loro lucerne.
Varchiamo le Alpi e arriviamo in Italia, a Parma per l’esattezza. Nel 1530 Girolamo Francesco Maria Mazzola, meglio noto come il Parmigianino, venne chiamato a decorare l’abside principale della basilica di Santa Maria della Steccata di nuovissima costruzione. L’incarico, che all’inizio sembrò essere all’artista un’occasione unica e di grande prestigio, si rivelò nel tempo un impegno davvero logorante. I lavori si protrassero per quasi dieci anni, causa continue interruzioni per mancanza di fondi, diatribe con i committenti confratelli della Steccata e inadempienza da parte del maestro che di tutto l’apparato iconografico riuscì a portare a termine solo gli affreschi del sottarco orientale, immediatamente precedente l’altare maggiore. Davvero, in compenso, splendidi.
Quattordici lacunari impreziositi da rosoni in rame dorato si susseguono lungo la volta a botte, incorniciati da grottesche su fondo rosso e fastose illustrazioni di granchi, aragoste, fiori, frutti e ubertosa vegetazione. Lungo da linea di imposta dell’arcone, da entrambe le parti, si dispongono figure di fanciulle, slanciate ed elegantissime. Sono tre per ciascun lato e non cinque come vorrebbe il brano neotestamentario, forse per problemi di spazio. Sul loro capo sorreggono un vaso di gigli, simboli della loro purezza, e tra le mani le proverbiali lanterne, accese o spente a seconda della loro saggezza.
La loro presenza in questa basilica è motivata dalla consuetudine della congregazione della Steccata di fornire ogni anno la dote nuziale a dieci fanciulle povere che sfilavano, vestite di bianco, tra le strade di Parma. Un riferimento chiaro, dunque, per gli uomini del tempo. E, contemporaneamente, un monito costante per i fedeli di ieri e di oggi che ammirano gli affreschi: teniamo sempre viva la luce della nostra fede.