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VIAGGIO

Papa in Sri Lanka: religioni condannino le violenze

Il 13 gennaio Papa Francesco ha iniziato la sua visita apostolica nello Sri Lanka: in un paese uscito da pochi anni da una lunga e sanguinosa guerra civile, papa Francesco ha ricordato l'urgenza del «perseguimento della verità» non con lo scopo di aprire vecchie ferite, ma piuttosto quale mezzo necessario per promuovere la loro guarigione».
- OGGI SARA' SANTO JOSEPH VAZ, L'APOSTOLO DELLO SRI LANKA, di Pierluigi Vajra

Ecclesia 14_01_2015
Papa Francesco in Sri Lanka

Il Papa in Sri Lanka

Il 13 gennaio Papa Francesco ha iniziato la sua visita apostolica nello Sri Lanka: una visita, ha detto durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto della capitale Colombo, «anzitutto pastorale» di cui ha indicato tre scopi: «incontrare ed incoraggiare i cattolici di quest’Isola»; celebrare solennemente la canonizzazione del padre oratoriano Joseph Vaz (1651-1711), che ricostruì la Chiesa Cattolica nel Paese resistendo alle persecuzioni degli olandesi calvinisti; testimoniare il messaggio di riconciliazione della Chiesa Cattolica annunciandolo in un Paese dove comunità religiose sono state «in guerra tra di loro» per molti anni.

Per comprendere il messaggio di Papa Francesco nello Sri Lanka è necessario un rapido cenno storico. Per ben ventisei anni, dal 1983 al 2009, il Paese è stato teatro di quelli che il Pontefice ha chiamato «gli orrori dello scontro civile», dovuti a «tensioni etniche e religiose» e a una persistente «incapacità di riconciliare le diversità e le discordie». Lo Sri Lanka, in effetti, è un esempio quasi da manuale di conflitto religioso. Certo, non esistono guerre religiose «pure» e occorre sempre tenere conto di fattori etnici, economici e politici. Ma gli studi accademici più autorevoli della guerra civile sono d’accordo nel ritenere centrale il fattore religioso.

Il buddhismo è una religione nata in India, ma musulmani e induisti l’hanno perseguitata e quasi totalmente spazzata via dalla penisola indiana. All’inizio del XX secolo gli studiosi inglesi potevano descrivere il buddhismo come pressoché estinto in India. Un’attività missionaria da parte di organizzazioni buddhiste, che negli anni 1950 hanno convertito soprattutto un certo numero di «fuori casta» con una predicazione incentrata sulla critica dell’induismo come fonte delle ingiustizie legate al sistema delle caste, ha ricostruito una presenza della religione del Buddha in India. Tuttavia, i buddhisti non superano oggi lo 0,7% della popolazione indiana.

Cacciati dall’India, i buddhisti si sono rifugiati a Ceylon, l’attuale Sri Lanka, che è diventato nel XIX secolo un baluardo e un simbolo del buddhismo mondiale, grazie anche agli sforzi di occidentali filo-buddhisti tra cui il colonnello americano Henry Steel Olcott (1832-1907), uno dei fondatori della Società Teosofica. Nello stesso tempo, l’immigrazione dall’India per ragioni economiche rafforzava la presenza di induisti di etnia Tamil, da sempre maggioritari nel Nord e nell’Est dell’isola.

Con l’indipendenza del 1948 la maggioranza buddhista dello Sri Lanka ha percepito come prima minaccia per il nuovo Stato le mire annessionistiche dell’India, un Paese molto più grande dove tra l’altro vivono quarantacinque milioni di Tamil, affini per lingua e religione alla minoranza induista Tamil che costituisce il 12% della popolazione dell’isola. Di qui diverse misure intese a rafforzare l’identità buddhista dello Sri Lanka, con conseguente risentimento della minoranza induista che si percepiva come discriminata. Una serie di incidenti ha fatto scoppiare nel 1983 una delle più lunghe e sanguinose guerre civili asiatiche, scatenata dalle cosiddette Tigri Tamil. Le Tigri chiedevano la secessione e la nascita di uno Stato induista indipendente nel Nord dell’isola. Il conflitto ha fatto secondo alcuni studi circa centomila morti, prima di concludersi con la vittoria delle truppe del governo centrale ampiamente controllato dai buddhisti.

Nello Sri Lanka, peraltro, non ci sono solo buddhisti e induisti. Commercio ed emigrazione hanno portato dall’India poco meno di due milioni di musulmani. In gran parte residenti nella zona controllata dalle Tigri Tamil, sono stati spesso uccisi o cacciati dalle loro case in nome di una feroce pulizia religiosa che avrebbe dovuto lasciare soltanto induisti nella zona destinata a diventare l’ipotetico Stato Tamil. Lo stesso è capitato ai cristiani – un milione e duecentomila cattolici e poco meno di trecentomila protestanti –, che sono stati attaccati e discriminati, in varie fasi della guerra civile, sia dagli induisti sia dai buddhisti, tanto più che denunciavano con coraggio le violazioni dei diritti umani e le atrocità perpetrate dagli uni e dagli altri.

Un caso da manuale, si diceva, di conflitto religioso, che smentisce facili buonismi secondo cui quelle dell’Estremo Oriente sarebbero sempre e solo «religioni di pace». Il Papa ha chiesto di non nascondere le persecuzioni e le atrocità: uscire davvero dalla guerra civile implica «il perseguimento della verità, non con lo scopo di aprire vecchie ferite, ma piuttosto quale mezzo necessario per promuovere la loro guarigione». La Chiesa, come in tanti altri conflitti, non si limita a celebrare i suoi martiri e a rivendicare la libertà religiosa per i cattolici: la chiede, ha spiegato il Papa, per tutti, e a tutti chiede dopo la fine della guerra civile «di consolidare la pace e di curare le ferite di quegli anni. Non è un compito facile quello di superare l’amara eredità di ingiustizie, ostilità e diffidenze lasciata dal conflitto. Si può realizzare soltanto superando il male con il bene».

La tragedia dello Sri Lanka mostra che il dialogo interreligioso è l’unica strada per la pace. I seguaci delle varie religioni «devono essere pronti ad accettarsi l’un l’altro, a rispettare le legittime diversità ed imparare a vivere come un’unica famiglia». Al Centro Congressi Bandaranaike Memorial, Papa Francesco ha riunito i rappresentati delle quattro religioni dell’Isola: buddhisti, induisti, cristiani e musulmani, in un incontro dal significato storico considerando il tormentato passato dello Sri Lanka.

«Nel Concilio Vaticano II – ha ricordato Francesco – la Chiesa Cattolica ha dichiarato il proprio rispetto profondo e duraturo per le altre religioni. Ha dichiarato che “nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto [quei] modi di agire e di vivere, [quei] precetti e [quelle] dottrine” (Nostra aetate, 2)». La parola «rispetto», ha spiegato il Papa, è fondamentale per capire il vero atteggiamento della Chiesa nei confronti del dialogo con le altre religioni. Sarebbe sbagliato pensare che il rispetto implichi una sorta di confusione fra le diverse posizioni e religioni. Al contrario, perché il «dialogo ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni. Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche». Proprio e solo «se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune».

Occorre pure che ogni religione condanni le violenze che sono state e continuano a essere commesse nel suo nome. Francesco lo ha detto ai musulmani in Turchia, lo ripete agli induisti e ai buddhisti nello Sri Lanka. «Per il bene della pace, non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».

La storia recente dello Sri Lanka mostra come il dialogo interreligioso, rettamente inteso, abbia «un significato particolare ed urgente». Senza dialogo, restano solo «lotta civile e violenza». Ma, ha detto il Papa, curate che il dialogo non vi faccia perdere l’identità. Le persone che veramente dialogano «non devono dimenticare la propria identità, sia essa etnica o religiosa». Solo così una nazione distrutta dalla guerra civile potrà «ricostruire le fondamenta morali dell’intera società»