Panzer, ma col sorriso: nasce il Trump style
Media americani ancora incapaci di capire che a votare il tycoon sono stati anche ispanici, neri e bianchi della upperclass. E credono che il presidente sarà diverso dal candidato "matto". Dalle prime mosse si sbagliano di grosso. Intanto lui va a trovare il New York Times, che lo ha osteggiato e dispensa sorrisi da gran signore.
Tra i valori, che l’Illuminismo aveva creduto invano di poter far vivere e anzi di poter fare ulteriormente crescere anche staccandoli dalla loro radice cristiana, si sta cominciando a scoprire che c’è pure la democrazia. Lo confermano le reazioni che la vittoria di Trump sta provocando nei circoli illuminati e progressisti della cultura e della stampa negli Usa, e anche altrove.
Nel senso moderno, universale della parola la democrazia si basa sul principio dell’uguaglianza e sulla fraternità tra tutti gli uomini in quanto tali, siano essi maschi o femmine, colti o incolti, concittadini o stranieri. Se però non si crede di avere tutti quanti non solo una mente, ma anche un’anima, e soprattutto uno stesso padre comune che ci ama di uguale amore, allora sentirsi uguali e fratelli diventa a lungo andare una difficile impresa.
I primi sintomi della crisi si erano già avvertiti nella stessa patria principale della democrazia moderna, la Gran Bretagna, quando dopo la vittoria della Brexit su organi di stampa noti come sacrosanti baluardi delle libertà democratiche qualcuno ha cominciato a domandarsi se fosse giusto che il voto dei più anziani e dei residenti fuori delle aree metropolitane avesse lo stesso peso di quello dei più giovani e degli abitanti di Londra. Con la vittoria poi di Trump nelle elezioni presidenziali americane tale sussurro è diventato sempre più spesso un grido. Con quella bella capacità di rivoltare con eleganza la frittata, che caratterizza il mondo dei salotti borghesi progressisti, nella prosa dei più noti commentatori quella che un tempo era la mitica classe operaia si è trasformata in un’opaca massa di “bianchi di mezza età, poco istruiti, pensionati o disoccupati”.
In realtà il voto di costoro, per lo più favorevole a Trump, non basta comunque a spiegare la sua vittoria. Conti alla mano è evidente che ad esso si è aggiunto anche il voto di un bel numero di donne e di americani di origine non europea. Come però riconoscerlo? Né il Washington Post né il New York Times se la sentono di ammettere che a quei bianchi di mezza età poco istruiti e poco fortunati si sono aggiunti anche dei neri e degli ispanici loro coetanei e con i loro stessi guai, per non dire di bianche, di nere e di ispaniche spesso sgualcite, e per lo più basse e sovrappeso, che hanno votato per Trump benché siano distanti anni-luce da Melania, da Ivanka e da tutte le altre ragazze del clan rigorosamente alte, rigorosamente bionde e rigorosamente in gran forma. Insomma, una quantità di gente “out” che ciononostante ha votato per Trump invece che per Clinton, ma forse non per futili motivi.
A questo punto i dubbi sulla positività della democrazia sono stati per il momento accantonati, ma non per lasciare spazio a un salutare esame di coscienza. Non insomma per chiedersi se c’è qualcosa che non va nella propria cultura politica e nelle proposte che ne derivano: non sia mai. Si è imboccata una nuova strada: quella della ricerca e se necessario dell’invenzione di quanto il Trump presidente sia diverso dal Trump candidato. Come dire: l’uomo ha fatto un po’ il matto per raccogliere i voti, ma in fin dei conti sa che deve fare quello che diciamo noi. In realtà, se si vanno a vedere nel testo originale le dichiarazioni del nuovo Presidente su cui si stanno facendo i titoli dei giornali ci si accorge che l’uomo non si muove di un millimetro dagli obiettivi su cui si è impegnato con gli elettori.
In questo delicato periodo, in cui non è ancora in carica e sta formando il suo governo, semplicemente usa un tono più benevolo e conciliante nella forma; tutto qui. C’è un documento che al riguardo merita attenzione. Se tratta degli appunti del suo recente incontro a porte chiuse con lo stato maggiore del New York Times, uno dei giornali che gli avevano dato più addosso. Trump ha fatto il gesto di andare lui stesso ad incontrare il direttore e alcune firme importanti del quotidiano nella sua stessa sede. E’ significativa pure la documentazione fotografica dell’entrata di Trump nell’atrio della sede del giornale, salutato da una folla di dipendenti, assiepati dietro a delle transenne, che lo fotografano con i loro telefonini. Gli appunti della conversazione, diffusi via Internet mano a mano che l’incontro aveva luogo, si trovano anche tradotti in italiano sul sito de la Repubblica. Dalla loro lettura si capisce quanto furbo e determinato sia Trump, e quanto incapaci siano i suoi interlocutori di capire la nuova realtà cui si trovano di fronte.