Pakistan, «violentate e costrette a convertirsi»
Ogni anno 700 donne subiscono
il rapimento, lo stupro, l’intento
di "normalizzare l'abuso" con un matrimonio forzato. E chi evita quest'ultimo sopruso, deve affrontare la tragedia di vivere nello stesso villaggio con il proprio aggressore: quasi mai il responsabile viene arrestato e condannato.
Sidra, Tina, Samina, Shazia... La lista è spaventosamente lunga. Ogni anno si aggiungono 700 nuove caselle in cui si susseguono i nomi, i luoghi, le date. Episodi diversi, intrecciati dallo stesso orrore.
Queste donne hanno in comune un’esperienza tremenda: il rapimento, lo stupro selvaggio, l’intento di “normalizzare l’abuso” con un matrimonio forzato. E chi evita quest’ultimo sopruso, deve affrontare la tragedia di vivere nello stesso villaggio col suo aggressore: quasi mai il responsabile viene arrestato e condannato.
In Pakistan, gli abusi contro i cristiani - specie se donne - da parte dei musulmani sono un crimine "invisibile". Anzi, gli stupri sistematici di ragazzine cristiane sono una strategia pianificata degli integralisti per costringerle a sposare un islamico e, dunque, convertirsi alla fede musulmana. Un caso di “pulizia religiosa”, per usare un termine forte.
A denunciarlo, in un lungo e dettagliato rapporto, è l’Asian Human Rights Commission (Ahrc), organizzazione indipendente con sede a Hong Kong che raggruppa giuristi e attivisti per i diritti umani. Le cifre contenute nello studio sono allarmanti: sono settecento i casi rilevati ogni anno. Molti di più quelli di cui non si hanno notizie. L’ultimo dramma è avvenuto appena due settimane fa, il 12 ottobre. Zubaida Bibi, un’inserviente cristiana impiegata nella fabbrica di un islamico, è stata aggredita dal suo principale.
Zubaida ha cercato di opporsi, per questo l’uomo l’ha sgozzata e lasciata a morire in un bagno di sangue. L’impunità, oltre a favorire il perpetuarsi dei crimini, produce un effetto ulteriore. Secondo l’Ahrc, le violenze «compromettono la convivenza tra fedi diverse a causa della totale assenza dello Stato di diritto» e diventano alla fine un ulteriore elemento di discriminazione verso le minoranze.
L’organizzazione sottolinea come «nessuno, all’interno del sistema giudiziario e nella polizia e perfino nel governo ha il coraggio di fare fronte alle minacce dei gruppi fondamentalisti islamici». Inoltre, prosegue il rapporto, «la situazione è resa peggiore dall’atteggiamento della polizia che si schiera sempre dalla parte dei gruppi islamici e tratta le minoranze come forme inferiori di vita».
Neppure nella provincia del Punjab, quella culturalmente più emancipata e religiosamente più varia, le cristiane sono tutelate. Anzi, proprio qui si registrano i casi più conosciuti di discriminazione che hanno al centro la diversità religiosa, l’arretratezza socio-economica delle minoranze e la difesa ad oltranza di strumenti giuridici nei fatti discriminatori, come la “legge antiblasfemia”.
Per una sua interpretazione parziale è stata condannata a morte Asia Bibi, ora in carcere in attesa dell’appello.
Da Avvenire del 26 ottobre 2011