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LA STORIA DI KOMAL

Pakistan, disabile cristiana rapita in odio alla fede

Una minorenne disabile, Komal Patras, è stata rapita due mesi fa vicino a Lahore. Da subito il sospetto della madre, che teme lo sfruttamento sessuale, è caduto su tre musulmani del posto, dai quali avrebbe ricevuto foto di sua figlia nuda. Autorità inerti, ‘svegliate’ solo pochi giorni fa da un video-denuncia sul web. Il Paese di Asia Bibi si conferma tra i luoghi più pericolosi per i cristiani.

Libertà religiosa 14_05_2020

Nella World Watch List, il Pakistan occupa stabilmente la quinta posizione. Il Paese del caso di Asia Bibi continua ad essere uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i cristiani. Come ricorda la onlus specializzata, Porte Aperte, il clima di terrore in cui vivono i cristiani non è tanto determinato dal verificarsi di attacchi terroristici, ma da violenze e discriminazioni spesso individuali che colpiscono soprattutto le donne: rapimenti, stupri e matrimoni forzati.

L'emergenza Coronavirus, purtroppo, non ha firmato questa spirale d'odio. L'ultima angosciante storia arriva da una località vicina a Lahore, antica città del Nord-Est che nasce sul fiume Ravi. È una vicenda resa ancora più atroce dal fatto che ad esserne protagonista è una giovane disabile. La ragazza si chiama Komal Patras. Oltre ad essere minorenne, ha gravi problemi di udito e di linguaggio.

La madre (nella foto), in un drammatico appello a Voice of Pakistan Minority - una piattaforma online che raccoglie le storie di persecuzione ai danni delle minoranze religiose del Paese -, ha raccontato di non vederla da ormai due mesi. “Quando sono tornata dal lavoro - ha spiegato la donna in un video - ho scoperto che la mia Komal non c'era più. Prima ho chiesto a mio figlio e poi mi sono precipitata a casa delle sue amiche, ma non avevano informazioni. Sono passati due mesi da quando è scomparsa”. Da quando è sparita, la ragazza è riuscita a mettersi in contatto soltanto una volta con la famiglia attraverso una telefonata durata soltanto due minuti e in cui implorava aiuto.

Chi può aver fatto del male a una minore con serie disabilità? Sin dall'inizio, i sospetti della madre si sono concentrati su tre giovani del posto di fede islamica. Secondo il terribile sospetto della donna, i tre musulmani - Ali, Mubashir e Azeem - potrebbero aver rapito la figlia a scopo di sfruttamento sessuale. A confermare questo scenario, la giornalista pakistana Naila Inayat, riportando il grido di dolore della signora Patras, ha scritto su Twitter che una delle tre persone indiziate sarebbe in possesso di foto della minorenne nuda. Anche Voice of Pakistan Minority ha raccontato che i tre rapitori avrebbero sadicamente inviato le foto alla famiglia.

Nonostante ciò e nonostante la denuncia del rapimento sia stata fatta lo scorso 16 marzo, il lavoro della polizia è andato avanti a rilento almeno fino al 10 maggio, quando la pubblicazione della video-denuncia della madre sulla pagina di Voice of Pakistan Minority ha svegliato le autorità pakistane dal torpore. Il ministro federale per i diritti umani, Shireen Mazari, ha definito il rapimento un “atto vergognoso e orribile” e ha assicurato che “i colpevoli saranno catturati”. Ci sono stati due blitz da parte degli investigatori nella città di Okara che però non hanno dato esito positivo.

È una corsa contro il tempo, quella per salvare la giovane cristiana dalle grinfie dei suoi rapitori islamici. Ed è proprio la tempistica dell'intervento ad essere finita sul banco dell'accusa da parte della famiglia della vittima: la madre, infatti, ha accusato la polizia di non aver mosso un dito fino ad oggi nonostante la denuncia fatta due mesi fa contro i tre sospettati. Un ritardo e una noncuranza nelle indagini, come visto già in tanti altri casi avvenuti in Pakistan, resi possibili dal fatto che la vittima è una cittadina di fede cristiana e quindi considerata di “serie B” da molti. Casi come questo confermano quanto scritto nel rapporto annuale di Porte Aperte: il rapimento a scopo di aggressione sessuale viene portato a compimento per “costringere la donna a sposarsi con il violentatore stesso ed è utilizzato intenzionalmente per disonorare la donna cristiana e, di conseguenza, la sua famiglia e comunità”.

Un atto criminale fatto in odium fidei, nella consapevolezza di poter contare molto spesso sull’impunità per via della vulnerabilità della comunità d’appartenenza della vittima. Una barbarie, in questo caso, resa ancora più odiosa dall’età minore della ragazza e dalla sua grave disabilità. “Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è giustizia e il ritorno sicuro a casa di mia figlia”, ha detto la signora Patras. Una speranza che facciamo anche nostra.