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PERSECUZIONE

Pakistan, altre due vittime cristiane della legge nera

Il 13 dicembre, in Pakistan, Qaisar e Amoon Ayub, due fratelli cristiani, sono stati giudicati colpevoli di blasfemia e condannati a morte. Si tratta di un nuovo caso simile a quello più celebre di Asia Bibi (la donna cristiana che, su accuse di colleghe ostili, è stata condannata, poi assolta in appello, ma ancora a rischio). L'accusa, nel caso dei fratelli Ayub è supportata da prove fragilissime e riguarda la pubblicazione online, nel 2011, di materiale "irriverente". Su un sito che Qaisar afferma di aver chiuso due anni prima del presunto reato. La Legge Nera sulla blasfemia continua a mietere vittime innocenti, usata come pretesto per schiacciare le minoranze religiose, quella cristiana in particolar modo.

TURCHIA: LA PAROLA ALLE MINORANZE di Stefano Magni

 

Libertà religiosa 17_12_2018
Collane e rosari in un negozio cristiano a Islamabad

Il 13 dicembre, in Pakistan, Qaisar e Amoon Ayub, due fratelli cristiani, sono stati giudicati colpevoli di blasfemia e condannati a morte. Per motivi di sicurezza il processo si è svolto nel carcere distrettuale di Jhelum, nel Punjab, in cui Qaisar e Amoon sono rinchiusi dal 2015. A emettere la sentenza capitale è stato il giudice Javed Iqbal Bosal, spiega il Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement, Claas, un organo interconfessionale che offre assistenza legale gratuita alle vittime dell’intolleranza religiosa e che assiste entrambi i fratelli da quando nel 2015 Huma, la moglie di Amoon, insegnante della Cathedral School di Lahore, ha chiesto il suo aiuto.

Tutto ha avuto inizio nel 2010. All’epoca Qaisar, che è sposato e ha tre figli, lavorava presso il Raja Center di Lahore. Dopo un diverbio con dei colleghi, ha incominciato a ricevere minacce, serie al punto da indurlo a lasciare il paese per qualche tempo, insieme al fratello. Al loro ritorno in patria, Qaisar ha saputo di essere ricercato perché accusato di aver pubblicato nel 2011 sul proprio sito internet del materiale irrispettoso nei confronti dell’islam e poco dopo è stato arrestato. Amoon a sua volta è stato accusato di cospirazione e poi di blasfemia. Fermato dalla polizia per l’immigrazione all’aeroporto di Lahore mentre tentava di espatriare, è stato rinchiuso nello stesso carcere del fratello. Qaisar si è sempre difeso dalle accuse sostenendo di aver chiuso il sito internet nel 2009 e quindi di non essere responsabile dei contenuti irriverenti di cui è accusato. Afferma che a riaprirlo e a servirsene per metterlo nei guai deve essere stata una persona che credeva sua amica, Shahrvar Gill, un musulmano.

Il Claas, che oltre a fornire assistenza legale ai due fratelli fa del suo meglio per aiutare le loro famiglie anche in termini materiali, e si prende cura di uno dei figli di Qaisar che ha manifestato problemi mentali dopo l’arresto del padre, ha annunciato che presenterà ricorso presso l’Alta corte di Lahore. Le accuse di blasfemia spesso provocano nei musulmani radicali reazioni violente che interferiscono con il normale funzionamento del sistema giudiziario. I fondamentalisti arrivano a minacciare di morte i giudici in caso di assoluzione di accusati di blasfemia, e non di rado riescono a mettere in atto le loro minacce – spiega il direttore di Claas-Regno Unito, Nasir Saeed – “i tribunali di grado inferiore passano alle corti superiori i casi e allora ci vogliono anni per dimostrare l’innocenza degli imputati. Lo abbiamo visto di recente nel caso di Asia Bibi che ha impiegato quasi dieci anni per arrivare alla Corte suprema e ottenere giustizia. Ho paura che adesso succederà la stessa cosa per Qaisir e Amoon”. 

Il caso dei due fratelli cristiani ha in effetti delle analogie evidenti con quello di Asia Bibi. Come lei, che è stata incriminata in seguito alla denuncia di alcune compagne di lavoro vendicative, dopo una discussione, anche Qaisir e Amoon pagano da anni con il carcere, e adesso con il rischio di perdere la vita, il fatto di essere stati coinvolti in una lite con dei colleghi di lavoro, per motivi futili oltre tutto, stando alle testimonianze. Come è stato fatto osservare da chi anche all’interno del Pakistan non approva la cosiddetta “legge nera”, le norme in materia di blasfemia sono molto severe: insultare il profeta Maometto è un crimine che può essere punito con la morte, chi oltraggia una copia del sacro libro del Corano merita l’ergastolo. Inoltre si prestano a essere usate per vendetta e interesse. Un collega di lavoro che sta per avere un riconoscimento a cui si aspirava, un vicino di casa che intralcia un progetto edilizio, il proprietario di un terreno che rifiuta di venderlo o di abbassare il prezzo si eliminano accusandoli di blasfemia. Per infondata e pretestuosa che appaia l’accusa, spesso il destino della persona denunciata è segnato: vale per i musulmani e a maggior ragione per le minoranze religiose.

Asia Bibi, come è noto, è stata assolta solo a ottobre da una accusa rivoltale nel 2009, a novembre è uscita dal carcere, ma ancora non è fuori pericolo. Le autorità pachistane l’hanno trasferita in una località segreta e la proteggono da attentati. La sua speranza di trascorrere un Natale sereno, libera e al sicuro lontano dal Pakistan, difficilmente si potrà realizzare. Sarà molto se potrà finalmente festeggiarlo insieme al marito e ai suoi cinque figli. 

L’11 dicembre gli Stati Uniti hanno inserito il Pakistan nell’elenco dei paesi che suscitano “speciale preoccupazione”. È la prima volta che Islamabad finisce nella lista nera in cui figurano tra gli altri Corea del Nord, Myanmar, Arabia Saudita, Iran e Cina. Nel dare l’annuncio il segretario di stato Usa Mike Pompeo ha spiegato che il Pakistan merita lo status attribuitogli perché “intraprende o tollera sistematiche, persistenti e palesi violazioni della libertà religiosa”. Il fatto che Asia Bibi, di cui gli Usa continuano a seguire con attenzione la sorte, sia ancora in Pakistan dove la sua vita è in pericolo ha contribuito alla decisione, che si deve in gran parte alla legge sulla blasfemia.