Paganini, le esequie negate e il monito per l’oggi
Il 27 maggio di 180 anni fa moriva il violinista e compositore Niccolò Paganini. Al quale il vescovo di Nizza, forse per il racconto poco sincero di un sacerdote, negò le esequie ecclesiastiche. Paganini, in realtà, pur con una vita privata non esemplare, non aveva mancato di professarsi cattolico. E chissà cosa avrebbe fatto quel vescovo ai nostri giorni, in cui dei Novissimi non si parla più
Nel pomeriggio di 180 anni or sono, il 27 maggio 1840, moriva a Nizza, a 58 anni non ancora compiuti, il violinista e compositore genovese che sorprese per la sua splendida tecnica e le grandi innovazioni portate al suo strumento: Niccolò Paganini (1782-1840).
La sua biografia attesta che, giovanissimo, si esibisce in tutta Italia. Nel 1828 dà (quattordici) concerti a Vienna, davanti a «un pubblico dotto di musica», dove «si gusta la vera musica», come si legge in nelle sue lettere del 15 maggio e dell’11 giugno 1828 (Paganini, epistolario, Siag Editore, Genova 1982, pp. 106 e 108). Fino al 1834 il nostro si produce in numerose città europee, raccogliendo ampio successo. Il 21 giugno 1837 si trasferisce in Francia, in condizioni di salute sempre più precarie: un’affezione alla laringe l’aveva reso completamente afono.
Morì a Nizza, dicevamo, allora appartenente al Regno di Sardegna. Dal 1891 lo attesta pure la lapide in italiano sul palazzo di rue de la Préfecture: «Poi che da questa casa volgendo il giorno XXVII di maggio del MDCCCXL lo spirito di Nicolò Paganini si ricongiunse alle fonti della eterna armonia giace l'arco potente di magiche note ma nelle aure soavi di Nizza ne vive ancora la dolcezza suprema». Indotto da un probabile malinteso, tra il moribondo e il reverendo Pietro Caffarelli, venuto per aiutarlo a vivere gli ultimi momenti con dignità e pace, Domenico Galvano, vescovo di Nizza tra il 1833 e il 1855, negò le esequie ecclesiastiche, la sepoltura in terra consacrata e i conseguenti suffragi. È quanto i canoni 1184 e 1885 del Codice di Diritto Canonico del 1983 stabiliscono per apostati, eretici, scismatici e per gli altri peccatori manifesti. Il sacerdote, poco sincero, aveva riferito di un malato arrogante che alla fine lo avrebbe scacciato; e, inoltre, che nella casa non vi fosse alcun segno «né di religione, né di cristiano»; anzi, che ci fossero quattro quadri indecenti - copie, a dire il vero, di celebri dipinti custoditi in Vaticano - «e tra questi una Venere in atto il più turpe e disonesto» (V. Castiglioni, Paganini: biografia, La Pilotta, Parma 1982, p. 183).
Paganini «annoverato tra gli empi» (Is 53,12)? Eppure, al netto dei suoi difetti e dell’aneddotica della sua vita, da lui incoraggiata per promuovere la propria immagine pubblica, le prove della sua fede cristiana, pur conducendo una vita privata non esemplare, non mancano. Qualche esempio. Il 3 aprile 1827 a Roma riceve da papa Leone XII il brevetto di nomina a cavaliere della Milizia Aurata o dello Speron d’Oro, quello stesso che hanno avuto prima di lui i compositori Orlando di Lasso, Christoph Willibald Gluck e Wolfgang Amadeus Mozart, dove il «diletto figlio Niccolò Paganini» è detto «in arte fidicina […] nemini secundus», secondo a nessuno nell’arte violinistica. In varie sue lettere private, specialmente quelle all’«illustrissimo avvocato» nonché «caro amico» Luigi Guglielmo Germi, egli manifesta sentimenti cattolici. Impartisce ad Achille Ciro (1825-1895), suo unico figlio, un’educazione religiosa e si preoccupa della preparazione di questi alla Prima Comunione. Quando si parla del matrimonio con la giovane inglese Charlotte Watson, scrive a Germi che la sua intenzione è di rendere cattolica la sposa. E infine, nella parte conclusiva del suo testamento, dettato il 27 aprile 1837 e aperto l’1 giugno 1840, si legge: «Mi faranno celebrare numero cento Messe da’ RR. PP. Cappuccini. Raccomando l’anima mia alla immensa misericordia del mio Creatore» (F. Mompellio, Vita Di Niccolò Paganini, Società editrice Dante Alighieri, 1936, p. 351).
Che avrebbe fatto il vescovo di Nizza oggi, dopo la «svolta conciliare», immersi come siamo in una sorta di cristianesimo «pagano»? Avrebbe ricordato i quattro novissimi dell’uomo (morte, giudizio - particolare e universale -, Inferno e Paradiso) senza ridurli, quando va bene, al Paradiso? Avrebbe citato il messaggio di Fatima, che, con la terrificante visione dell’Inferno, è un monito per noi a vivere molto seriamente il nostro pellegrinaggio terreno, e a scegliere tra la felicità eterna e l’eterna dannazione, prima del giudizio ultimo nel quale sarà pronunciata la sentenza definitiva? Avrebbe oggi, durante i funerali di personaggi dai trascorsi discutibili, favorito il silenzio - più dignitoso - e la preghiera di suffragio e scoraggiato quei panegirici scandalosi, nei quali analfabeti religiosi sono indotti a pensare che si può fare tutto sotto un Cielo ‘misericordioso’ che a nessuno negherebbe la salvezza? Avrebbe sostenuto che parole come «salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti» (Preghiera eucaristica I o Canone Romano: Messale Romano, Libreria Editrice Vaticana 1993, p. 386) non siano ormai antiquate, superate, ingombranti per l’uomo post-moderno?
Nel suo testamento, Paganini nominava il figlio Achille suo erede universale, conferiva beni alle sorelle, alla madre di suo figlio e ad altre persone. E aggiungeva: «Proibisco qualunque pompa al mio funerale. Non amo che gli artisti eseguiscano Requiem per me… Lego il mio violino alla Città di Genova, onde sia perpetuamente conservato».
Soltanto dopo 36 anni di vicissitudini, le tribolate spoglie dell’artista trovarono degna collocazione nel Cimitero della Villetta a Parma. Come si legge nelle iscrizioni rispettivamente dietro l’urna, nel piedistallo che regge il busto sopra di essa, sul fianco destro e sul fianco sinistro della stessa, «il figlio Achille da Palermo pose questo monumento a imperitura memoria» sulle «ceneri di Nicolò Paganini che, traendo dal violino armonie divine, scosse, genio insuperabile, tutta l’Europa e cinse all’Italia nuova folgorante corona»; «cuore oltremodo generoso, donò largamente ai parenti, agli artisti, ai poveri»; «mente elettissima, compose stupendamente in musica, ammirato dai più illustri maestri».